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October 11, 2022 TerapieUncategorized

L’ozonoterapia è una terapia medica che utilizza come agente terapeutico un gas,
l’ozono, miscelato in piccole percentuali con ossigeno medicale.

L’ozono (O3) è una forma allotropica dell’ossigeno (O2) ed è conosciuto principalmente per il ruolo che svolge
nell’equilibrio ecologico della terra. Esso, infatti, assorbe la maggior parte delle radiazioni
ultraviolette provenienti dal sole, impedendo loro di giungere direttamente alla superficie
terrestre.

Quindi ci protegge dai danni dei raggi solari che attraversando l’atmosfera
terrestre senza un filtro protettivo, possono creare gravi danni alla pelle, se foto esposta
anche per poco tempo.

L’ozono in medicina non viene mai utilizzato puro, ma sempre miscelato in piccola
percentuale (circa 3%) con l’ossigeno medicale (97%) che funge da veicolo. A questa
concentrazione l’ozono non ha alcun effetto tossico ma diventa un agente terapeutico
straordinariamente versatile.

Scoperto da Christian Friedrich Schonbein nel 1832, è stato usato per la prima volta come
antisettico durante la Prima guerra mondiale. Negli anni ’30 il dott. E. Payr ne estende
l’utilizzo anche ad altre patologie.

Numerosi sono gli articoli che hanno ampiamente descritto i suoi effetti terapeutici:
modulazione del sistema immunitario, stimolazione e modulazione, in base alla
concentrazione di ozono utilizzata; potere antinfiammatorio, antidolorifico ed
antiedemigeno; capacità antibatterica (l’ozono si usa anche per depurare le acque),
antivirale, antifungina; miglioramento del microcircolo, nonché la conseguente scomparsa
del dolore ischemico; il recupero funzionale dei gruppi muscolo-articolari; aumentata
capacità cicatrizzante e di rigenerazione tissutale (la guarigione di ulcere trofiche).

Tali effetti contribuiscono in modo significativo a migliorare la qualità della vita dei pazienti, a
rendere più efficaci molte terapie farmacologiche o riabilitative, a riparare anche alcuni
danni iatrogeni (da farmaci).

Diverse sono le proprietà dell’ozono che lo rendono uno strumento efficace nella lotta
contro il tumore.
La proprietà di ossigenazione cellulare dell’ozono è alla base della sua applicazione.
(a) Migliora la saturazione di ossigeno nel sangue:
L’ozono aumenta la saturazione di ossigeno dell’emoglobina e sposta la curva di
saturazione di ossigeno verso il lato destro, in modo che venga rilasciato più ossigeno ai
tessuti periferici. Gli esperimenti dimostrano che l’autoemoterapia incrementa il 2,3-

bifosfoglicerato nei globuli rossi. Non c’è pericolo di embolia con ozono nel sangue
essendo altamente solubile. Inoltre, nessun cambiamento negativo nell’integrità dei globuli
rossi o nelle funzioni dei neutrofili sono state trovate usando l’autoemoterapia. Tutti i
risultati assicurano la completa sicurezza dell’autoemoterapia.

(b) Effetto vasodilatatore:
L’ozono migliora anche l’afflusso di sangue ai tessuti periferici mediante l’effetto
vasodilatatore. Questa proprietà può essere attribuita al suo effetto stimolante su
vasodilatatori come NO. Uno studio sul flusso sanguigno cerebrale eseguito su 7 soggetti,
ha mostrato un aumento del 75% del flusso ematico nell’arteria carotidea con 3 sedute di
autoemoterapia per un periodo di una sola settimana.

(c) Riduzione della viscosità del sangue:
L’autoemoterapia riduce la viscosità del sangue. Questo è stato dimostrato in uno studio
su 27 pazienti con malattie arteriose occlusive periferiche, dove l’autoemoperfusione per
30 minuti ha diminuito in modo significativo la viscosità del sangue e i livelli di fibrinogeno.
L’iperossia indotta da O3, contrastando il fattore HIF1A (hypoxia-inducing factor 1 A), il cui
livello è aumentato in molte patologie che sfrutta la carenza di ossigeno per progredire.

Siamo stati i primi a utilizzare esami di laboratorio specifici per avere un riscontro
sull’efficacia e durata del trattamento con ozono.

Gli esami sono misurazione di HIF1a o
fattore ipossico e Nrf2 o fattore antiossidante di protezione. L’ozono è un potente
immunomodulatore e antiossidante. La sua capacità di aumentare la produzione di fattori
di difesa, trai quali Interferone, Interleuchina2, e altri fattori di protezione cellulare, con
attività immunomodulante.

In condizioni fisiologiche, la formazione e l’eliminazione di radicali liberi e altre specie
reattive dell’ossigeno (ROS) è strettamente regolata da antiossidanti endogeni e
neutralizzatori dei ROS con l’obiettivo di mantenere l’omeostasi ed evitare gli effetti
dannosi dello stress ossidativo. Quando il processo di eliminazione non viene eseguito
correttamente, si verifica un maggiore accumulo di ROS, un fattore che porta a
cambiamenti permanenti e dannosi, come la morte cellulare, cancerogenesi e fibrosi. Di
fronte a questa situazione, l’ozono medicale è in grado di attivare il Nuclear factor erythroid
2-related factor 2 (Nrf2), che a sua volta comporta l’attivazione di antiossidanti endogeni,

come glutatione perossidasi (GPx), catalasi (CAT), superossido dismutasi (SOD) e
glutatione (GSH). Altri esami che facciamo prima della seduta di ozono, dosaggio della
Barriera Antiossidante ( glutatione ridotto, glutatione ossidato, SOD1).

In relazione allo stress ossidativo, la somministrazione ricorrente di ozono medicale, nota
anche come precondizionamento, a dosi non tossiche fornisce un adattamento dei tessuti
allo stress ossidativo per induzione di enzimi o attivazione delle vie metaboliche,
mantenendo un equilibrio redox bilanciato così come l’incremento dei livelli di GSH e la
diminuzione della perossidazione lipidica.

Infine, ma non meno importante, è il beneficio che si è potuto osservare nei pazienti affetti
da stanchezza cronica (spesso denominata fatigue). Durante le infezioni virali croniche, la
stanchezza può essere considerata come parte integrante della sintomatologia infettiva.
A tutt’oggi non esistono protocolli specifici per il trattamento della stanchezza, che spesso
viene sottovalutata. La terapia con ossigeno-ozono (attraverso le autoemoinfusioni
sistemiche) può dare un contributo significativo sia nei pazienti con fatigue relativa alla
infezione cronica e acuta.

Tutte queste azioni benefiche rendono l’ozono-terapia un
trattamento adiuvante estremamente prezioso nella patologia infettiva, anti-aging,
rigenerante e di sostegno per tante affezioni che debilitano l’organismo. Uno dei riscontri
che abbiamo da parte di chi segue le nostre terapie con ozono, è la riduzione della
stanchezza, riacquisto del benessere psicofisico, migliorando la qualità di vita.

Esami che eseguiamo preseduta di ozono-terapia:
1. dosaggio dei Radicali Liberi e capacità antiossidante (d-Roms e BAP)
2. Barriera Antiossidante (Glutatione ridotto, Glutatione ossidato, Super-Ossido-
Dismutasi, SOD)
3. Hif1alfa (fattore ipossico)
4. Nrf2 (fattore anti ipossico-antiossidante)



Si può sostituire un pasto con un cono gelato? Ecco il consiglio della nutrizionista. 

Si possono coniugare dieta e gelato? Spesso in estate quando si ha voglia di gelato si scelgono gusti alla frutta, pensando siano meno calorici e più dietetici, ma non è sempre così. La dottoressa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega perché a volte è meglio scegliere il gusto preferito piuttosto che optare per un gusto frutta che poi non è così dietetico come sembra.

Gelato alla frutta o alla crema? L’importante è come viene fatto.

In estate la voglia di consumare alimenti freschi è chiaramente maggiore. Nel caso del gelato a fare la differenza non è tanto il gusto alla frutta o alla crema, ma gli ingredienti utilizzati per prepararlo.
Gli ingredienti usati per la preparazione dei gelati a base cremosa possono essere latte, panna e zucchero a cui vengono aggiunte uova fresche o in polvere. A questa base vengono aggiunti gli ingredienti che determinano il gusto (cacao, caramello, caffè, biscotti, frutta secca), aromi ed eventualmente coloranti. Quindi, a meno che non sia segnalato, anche il gelato alla frutta ha una base cremosa a base di latte.
In linea generale i gelati artigianali hanno meno conservanti e coloranti dei gelati confezionati e la qualità è data dalla presenza o meno di ingredienti freschi come la frutta o di prima scelta nel caso di frutta secca o altri gusti.
La differenza tra le due tipologie di gelato è anche dal punto di vista nutrizionale: il gelato alla crema contiene più proteine e calcio di quello alla frutta, mentre quest’ultimo se realizzato con materie prime fresche può contenere un discreto contenuto di antiossidanti e vitamine.

Si può mangiare il gelato a dieta?

Se viene mangiato con moderazione, il gelato può essere inserito in una dieta equilibrata, ma non può essere considerato come sostituto del pasto. Dal punto di vista nutrizionale il gelato è fortemente sbilanciato, spiega la dottoressa Temponi. Va considerato come un vero e proprio sgarro, come un’eccezione alla routine alimentare.

Il gelato: “mai come sostituto di un pasto”

Il gelato è un dessert e non può essere considerato un valido sostituto di un pasto bilanciato a causa della totale assenza di fibre. La fibra è essenziale per abbassare i livelli di glicemia, ovvero di glucosio nel sangue, e controbilanciare la presenza di zuccheri del gelato.

Per bilanciare al meglio il gelato la nutrizionista consiglia di optare per un cono o una coppetta misti, con gusti alla frutta e alla crema, al fine di coniugare le diverse composizioni nutrizionali delle due tipologie di gelato.

La ricetta della nutrizionista per preparare a casa un gelato sano e goloso

A chiunque volesse cimentarsi nella preparazione casalinga di un gelato sano, la nutrizionista ha pensato ad una ricetta semplice, rapida e gustosa come il frozen yogurt proteico con anacardi e cioccolato, perfetto come merenda proteica fresca o come spuntino post workout.

Frozen yogurt anacardi e cioccolato

Ingredienti per 2 porzioni

20 gr anacardi
15 gr cacao amaro o cioccolato fondente
200 gr yogurt greco 0%
1 cucchiaino miele (opzionale)
40 gr bevanda vegetale alle mandorle o avena senza zucchero
pizzico di sale

Preparazione

Metti in freezer lo yogurt greco per almeno due ore.
In un mixer frulla anacardi e cacao, in un secondo momento aggiungi sale, miele e frulla ancora. 
Infine aggiungi lo yogurt greco congelato, la bevanda vegetale e frulla fino ad ottenere un gelato cremoso.

Un’altra idea golosa e fresca è quella di consumare la frutta allo stesso modo.
Congelate ad esempio fragole, lamponi e mirtilli e frullateli con un po’ di acqua o latte vegetale per preparare un buon sorbetto ready-to-eat.

Per qualsiasi consiglio nutrizionale personalizzato non esitare a contattarci per metterti in contatto la nostra nutrizionista.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Gelato, Estate
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


La riflessologia plantare applicata ai bambini può essere un ottimo strumento per ridurre piccoli grandi disturbi quotidiani dei più piccoli

L’accezione odierna della riflessologia deriva dagli studi del medico statunitense W. H. Fitzgerald (1872-1942), il primo a definirla terapia zonale. Fitzgerald suddivise il corpo umano con 10 linee verticali partendo dal capo e arrivando alle estremità mani e piedi. Tutte le linee attraversano organi e apparati che si riflettono poi sul palmo della mano e del piede.

Le mani hanno le stesse zone riflessogene dei piedi, ma negli anni sono andate incontro a una riduzione della capacità propriocettiva; si possono massaggiare qualora non sia possibile l’intervento sui piedi, sui quali invece si preferisce lavorare in quanto zone maggiormente sensibili e recettivi, qui infatti risiedono i punti che agiscono di riflesso in corrispondenza di tutte le ghiandole, gli organi e differenti parti del corpo.

Con la digitopressione di tali punti si agisce quindi sugli organi corrispondenti a livello nervoso, circolatorio, linfatico ed energetico, ristabilendo l’equilibrio all’interno del corpo dei nostri bambini, un po’come nell’agopuntura, che agisce a distanza sugli organi attraverso la stimolazione di punti specifici, ma molto meno doloroso.

Come funziona la riflessologia plantare sui bambini?

Sono numerose le teorie che illustrano i meccanismi che governano l’efficacia della riflessologia plantare nel mondo del bambino.

La modalità più frequentemente utilizzata nell’ambito della seduta di riflessologia plantare è quella del movimento del “dito a bruco”.

La pressione esercitata sulle varie zone riflesse, invia un messaggio al centro della sede del dolore (localizzato a livello dell’intestino tenue), che a sua volta invierà un messaggio al cervello, stimolandolo ad intervenire sui vari organi di riferimento ripristinando l’equilibrio generale dei vari organi interessati. Il bambino avrà un grande sollievo e così pure notti serene per i genitori.

Quali sono i benefici della riflessologia per i bambini?

La riflessologia è di aiuto in diverse situazioni: da problematiche come la stipsi o le coliche gassose, fatica all’addormentamento a patologie più strutturate come la contrazione e “l’argento vivo addosso” molto spesso chiamato già con il termine di iperattività – ADHD. La reflessologia è di supporto anche in situazioni come il torcicollo miogeno, il piede torto e traumi articolari.

I punti riflessi sono paragonabili agli interruttori della luce mentre gli organi hanno la funzione di accumulatori di energia, spiega la dott.ssa Licia Lavigna, omeopata-neuropsichiatra infantile presso lo studio IMBIO di Milano. Questa interazione permette di riattivare la circolazione elettrica del nostro organismo e in base alle differenti frequenze elettrolitiche sarà gradualmente eliminata l’anidride carbonica dal corpo e questo aiuta i bimbi a sonni più tranquilli.

A chi rivolgersi per la riflessologia plantare dei bambini?

Il professionista che pratica trattamenti di riflessologia plantare sui bambini e sugli adulti, deve per legge aver completato un ciclo di studio specialistico, che può variare da 2 a 3 anni e che deve essere conseguito presso una scuola riconosciuta, che fornisca un diploma di qualifica professionale da mostrare in caso venga richiesto dai pazienti.

I risultati non mancheranno, la riflessologia plantare per i bambini è un alleato fondamentale per la buona crescita dei nostri figli e soprattutto la digitopressione favorirà una migliore postura dei piedi dei nostri cari bambini. La costanza di sottoporsi ai trattamenti è un requisito importante che assicura il raggiungimento di ottimi risultati.

Solitamente i bambini rispondono molto bene e rapidamente alle sedute, riducendo notevolmente il numero di trattamenti rispetto ad un adulto, assicura la dott.ssa Licia Lavigna dopo 24 anni di esperienza sul campo.

Come sperimentare la riflessologia sui bambini?

Consigliamo di affidarsi a un terapeuta per una prima seduta, che può mostrarvi quali sono i punti più benefici per vostro figlio/a.

Lasciamoli liberi di correre o camminare a piedi scalzi sull’erba o sulla sabbia. Compriamo loro scarpe non strette, non di moda ma semplici. Il contatto con il suolo è un inconsapevole auto-massaggio che riattiva la circolazione e il flusso delle correnti di energia.

Il benessere dei nostri figli passa anche dall’essere liberi di muoversi e di correre.

Contattaci per info e prenotazioni di riflessologia plantare

 

Dott.ssa Licia Lavigna
Omeopata-neuropsichiatra infantile

Ivano Lualdi
Riflessologo, massofisioterapista

Riferimenti: RIflessologia plantare, bambini
Redattore: Dott.ssa Licia Lavigna


Il caldo ci rende inattivi, molto stanchi e spesso ci impedisce di affrontare anche i semplici impegni quotidiani privandoci dell’energia fisica e mentale necessaria. Ma gli integratori servono davvero?

Quando le temperature aumentano, la pressione sanguigna scende, provocando spossatezza, affaticamento e stanchezza generale che possono essere aggravati da un alto livello di stress e dall’abitudine di bere poca acqua.

Con i primi caldi afosi, come quelli di questi giorni, c’è chi pensa già ad un integratore a base di magnesio e potassio per recuperare le energie. Ma quando è davvero il caso di assumerli e quando, invece, può essere sufficiente un’integrazione alimentare?

Magnesio e potassio svolgono una serie di funzioni molto importanti:

  • il magnesio fa bene alle ossa e al sistema nervoso ed è necessario per la produzione di energia;
  • il potassio regola l’equilibrio di fluidi e minerali, mantiene la giusta pressione corporea, aiuta a contrarre i muscoli e tutela l’attività delle cellule nervose

La dottoressa Giulia Temponi, nutrizionista in Imbio, ci aiuta a scegliere gli alimenti più ricchi di questi minerali e a capire quando è necessario integrarli al di fuori dell’alimentazione.

Le proprietà del potassio

Il potassio è il principale minerale presente nelle cellule degli adulti. Si tratta di un elemento indispensabile all’organismo e d’estate, complice l’innalzamento delle temperature, il nostro fabbisogno aumenta.

Tra le sue funzioni importantissime:

  • stimola la contrazione muscolare, compresa quella del muscolo cardiaco
  • contribuisce alla regolazione e all’equilibrio dei fluidi all’interno e all’esterno delle cellule, mantenendo la pressione arteriosa regolare
  • riduce il rischio di aterosclerosi
  • regola la trasmissione degli impulsi nervosi e muscolari

Quali sono gli alimenti che contengono potassio?

Fortunatamente il potassio a tavola non è difficile da trovare. È presente in quasi tutti gli alimenti, ma quelli più ricchi sono i vegetali freschi, frutta, verdura e legumi, meglio se poco trasformati, poiché la lavorazione ne può modificare il contenuto nutrizionale.

In particolare sono buone fonti di potassio:

  • verdure in foglia come insalata e spinaci
  • pomodori
  • cetrioli
  • zucchine
  • melanzane
  • zucca
  • patate
  • carote
  • fagioli
  • frutta secca
  • banana
  • fragole

Carenza di potassio

Crampi muscolari, stanchezza e piccoli disturbi metabolici come inappetenza e stitichezza, possono essere sintomi di una carenza di potassio.

La carenza di potassio può essere un semplice deficit passeggero determinato dal caldo, una sudorazione eccessiva, esercizio fisico intenso o una dieta drastica e non equilibrata, ma in casi più rari, può essere causata da patologie più importanti a carico dell’apparato gastro-intestinale. Anche l’abuso di diuretici o una terapia cortisonica prolungata possono provocare l’ipocaliemia, ovvero una carenza di potassio importante.

In questi casi, la quota di elettroliti viene compromessa ed è consigliabile integrarli con un’alimentazione corretta e con alcuni rimedi naturali semplici ma efficaci.

Le proprietà del magnesio

Anche il magnesio è un minerale dalle numerose funzioni, piuttosto diffuso negli alimenti.

Questo minerale partecipa a numerose reazioni cellulari e regola gli enzimi che controllano la sintesi proteica (e quindi la formazione e il funzionamento di muscoli e nervi), la regolazione di glicemia e pressione arteriosa. Inoltre allevia i crampi e aiuta ad eliminare tossine e scorie, stimolando il transito intestinale.

Grazie alle sue proprietà miorilassanti stimola il rilassamento muscolare e, in combinazione con la melatonina, può favorire un buon sonno. Infine, è utile contro i crampi mestruali.

Quali sono gli alimenti che contengono magnesio?

Le fonti di magnesio sono simili a quelle di potassio. Anche questo minerale è presente in:

  • vegetali a foglia verde come gli spinaci e l’insalata
  • legumi
  • frutta secca e semi oleosi
  • cereali integrali

In generale tutti quegli alimenti ricchi di fibre sono anche buone fonti di magnesio.

Carenza di magnesio

Come per il potassio, anche per il magnesio le carenze non sono frequenti. I soggetti più a rischio sono coloro che assumono farmaci o che soffrono di malattie che possono compromettere l’assorbimento a livello intestinale dei minerali, come:

  • celiachia
  • diabete di tipo 2
  • morbo di Crohn
  • chi ha affrontato un bypass gastrico

Nelle situazioni più gravi la carenza di magnesio può portare a contrazioni muscolari e crampi, intorpidimenti, aritmie, riduzione dei livelli di calcio e potassio nel sangue, mentre un eccesso di magnesio può dare diarrea, nausea e crampi addominali.

Gli integratori di magnesio e potassio sono davvero utili?

Una dieta equilibrata e varia dovrebbe garantirci il giusto apporto di questi sali minerali, tuttavia vi sono alcune circostanze in cui potremmo averne un fabbisogno maggiore come ad esempio in gravidanza, con l’età avanzata o quando svolgiamo attività fisica particolarmente intensa che porta ad una grande sudorazione.

Per chi, prima di assumere un integratore, volesse provare a ritrovare il proprio equilibrio elettrolitico anche in estate con degli spuntini ricchi di potassio e magnesio la dottoressa Temponi suggerisce: una banana, 30-40 grammi di frutta secca, altrettanti di semi oleosi, un panino integrale o un piatto di cereali integrali.

Senza dimenticare che, per contrastare la disidratazione è importantissimo non solo bere, ma anche “mangiare acqua” consumando molta frutta fresca e verdura.

Se non sapete quale sia il vostro caso specifico, vi aspettiamo per una consulenza personalizzata per trovare il rimedio migliore ai vostri problemi stagionali di caldo.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Magnesio e potassio, Caldo
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


Cefalea, stanchezza cronica, irritabilità possono essere sintomi della sindrome dell’intestino permeabile o gocciolante. Una patologia sempre più frequente che porta al deterioramento della barriera intestinale con il rischio di sviluppare allergie ed altri disturbi 

La sindrome dell’intestino permeabile o sindrome dell’intestino gocciolante (Leaky Gut Syndrome), è una condizione in cui la barriera intestinale non è più in grado di svolgere la sua funzione protettiva, che consente l’assorbimento dei nutrienti e impedisce l’ingresso di tossine, agenti patogeni o sostanze allergizzanti nel circolo sanguigno.

La barriera intestinale è di fondamentale importanza, non solo per il benessere fisico e psichico, ma anche per la salute e la buona risposta del sistema immunitario. Se questa barriera viene meno, siamo più esposti ad una serie di rischi che possono portare allo sviluppo di allergie, disturbi, problemi alla tiroide e malattie autoimmuni.

La dottoressa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega quali sono le possibili cause di questa sindrome, come riconoscerla e come l’alimentazione può giocare un ruolo fondamentale nella cura.

Cause della sindrome dell’intestino permeabile 

Le cause della sindrome dell’intestino permeabile o gocciolante possono essere diverse.
Alla base può essere causata da stress fisici prolungati, sovrallenamento, cattiva alimentazione (eccessi alimentari, abuso di zuccheri e cereali raffinati, ecc…), utilizzo di farmaci come antibiotici o fans, abuso di lassativi, deficit enzimatici e disbiosi (disequilibrio della flora batterica).

A seguito di queste situazioni le funzioni della barriera si possono alterare innescando un processo infiammatorio ed un’iper-reattività del sistema immunitario. Questo può portare a malattie infiammatorie croniche o autoimmuni, come ad esempio la celiachia e la psoriasi.

Quali sono i sintomi della sindrome dell’intestino permeabile?

I sintomi più comuni della sindrome dell’intestino permeabile (sindrome dell’intestino gocciolante) sono:

  • cefalea
  • irritabilità
  • ansia
  • sbalzi d’umore
  • stanchezza cronica
  • dolori articolari e muscolari
  • disturbi intestinali (intestino irritabile, costipazione, gonfiore addominale, diarrea)
  • allergie e intolleranze alimentari
  • alterazioni tiroidee (soprattutto ipotiroidismo)

Gli sbalzi d’umore sono connessi al rilascio di serotonina, che ha origine proprio nell’intestino.

Complicanze della sindrome dell’intestino permeabile: deficit di vitamine e minerali

Uno dei campanelli d’allarme utili a diagnosticare la sindrome dell’intestino permeabile è il deficit di micronutrienti.
Una carenza di vitamine e/o minerali può essere causata dal mal assorbimento intestinale.

Se si riscontrano carenze importanti di minerali e vitamine (ferro, magnesio, zinco, selenio, iodio, vitamine del gruppo B, vitamine A, C, E e omega 3) è bene provvedere ad una integrazione.

Il test per diagnosticare questa patologia è un esame su feci, che rileva i livelli di zonulina, la proteina prodotta dalle cellule enteriche che modula la permeabilità delle giunzioni strette tra le cellule della parete del tubo digerente e ne regola la permeabilità intestinale. Alti livelli di zonulina sono correlati ad un deterioramento della mucosa intestinale.

Quali alimenti possono provocare la sindrome dell’intestino permeabile?

Oltre allo stress e all’assunzione di farmaci, esistono alimenti che possono provocare la sindrome dell’intestino permeabile.
Se soffriamo di questo disturbo dovremmo eliminare dalla nostra dieta:

  • gli alimenti contenenti glutine, proteina che interferisce con il rilascio di zonulina, ed alimenti ad alto indice glicemico (come i carboidrati raffinati, i prodotti da forno, i dolci) che fermentano facilmente nell’intestino
  • i prodotti lattiero-caseari, la beta caseina in essi contenuta causa un aumento dei livelli del marker infiammatorio del colon e un aumento della secrezione di mucina che in elevate quantità, contribuisce a questa sindrome
  • la solanina, alcaloide contenuto nelle solanacee (ovvero pomodori, patate, melanzane, peperoni, peperoncino), che può risultare tossica e stimolare una risposta immunitaria in presenza di questa sindrome
  • le saponine, contenute in quinoa, liquirizia, basilico, legumi, soia e avena (inducono la formazione di pori permanenti sulle membrane cellulari che permettono il passaggio di grosse molecole come la ferritina)
  • fruttosio, che determina alterazioni del microbiota e della permeabilità intestinale oltre ad un’infiammazione sistemica mediante l’aumento dei livelli di proteine marker dello stress ossidativo

L’ intervento nutrizionale ed integrativo da adottare va comunque personalizzato, considerando ogni singolo caso.

Cosa mangiare se soffriamo di sindrome dell’intestino permeabile?

Esistono alimenti che possiamo definire “amici dell’intestino” e del suo microbiota (la flora batterica intestinale).
Tra questi troviamo:

  • le proteine ad alto valore biologico (come quelle del pollame allevato all’aperto, del pesce selvaggio, delle carni grass fed)
  • i cibi ricchi di grassi buoni come l’olio extravergine di oliva, il pesce grasso e azzurro di piccola taglia, la frutta a guscio e i semi oleosi (che in alcuni casi possono essere fermentanti)
  • i carboidrati integrali ricchi di fibre, ma a basso indice glicemico
  • gli alimenti fermentati ricchi di probiotici, che hanno un ruolo chiave nel ripristinare la barriera intestinale, come crauti, kefir, kimchi, yogurt di cocco o da latte di capra o tè kombucha

Il consiglio generale se soffriamo di sindrome dell’intestino permeabile è quello di seguire una dieta anti-fermentativa.

Rimedi alla sindrome dell’intestino permeabile

L’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nella cura della sindrome dell’intestino permeabile. Oltre all’alimentazione la Dott.ssa Giulia Temponi, nutrizionista, consiglia di evitare di bere molto durante i pasti, perché causa fermentazione, assumere prebiotici (fibre solubili e insolubili, ricche di inulina e FOS) e in un secondo momento, integrare con probiotici.

Inoltre, usare miscele di enzimi digestivi che facilitano l’assorbimento degli alimenti ingeriti.
A livello di cottura degli alimenti è meglio prediligere quelle più semplici e leggere, evitando fritti e soffritti.

La sindrome dell’intestino permeabile è la conseguenza di un prolungato stato di disbiosi intestinale: per questo il consiglio è quello di fare ciclicamente, almeno ad ogni cambio di stagione, un ciclo di prebiotici e probiotici.
Se poi vogliamo aggiungere una pulizia profonda dell’intestino meglio ancora.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Sindrome dell’intestino permeabile, Sindrome dell’intestino gocciolante
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi

 

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Con i primi caldi torna la sensazione di gonfiore e di gambe pesanti, ma possiamo contrastare la ritenzione idrica con dieta, idratazione e integrazione

Finocchio, ananas, frutti rossi, gli alimenti con effetti drenanti sono molti e contrastare la ritenzione idrica attraverso la dieta è possibile, grazie ad alcuni cibi e integratori alimentari drenanti.

Bere una tisana non fa dimagrire o perdere grasso, ma certamente può rivelarsi un utile aiuto per contrastare i liquidi in eccesso che possono accumularsi a causa di una vita sedentaria.

La dottoressa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega come “lavorano” i drenanti e quali sono gli alimenti o gli integratori che possiamo introdurre nella dieta per trattenere meno liquidi e sentirci più leggeri.

Il finocchio, un ottimo drenante naturale contro la ritenzione idrica

I drenanti lavorano a livello linfatico, favorendo l’espulsione dei liquidi in eccesso presenti nell’organismo attraverso le urine, il sudore e la traspirazione. Molti drenanti sono sostanze naturali che si possono assumere sotto forma di tisane, decotti, succhi o integratori.

Alcune sostanze naturali, come il finocchio, possono essere un valido alleato per drenare i liquidi accumulati passando molte ore fermi. Il finocchio è una delle migliori opzioni per depurare, oltre che per migliorare la digestione e ridurre i gas intestinali. Consumato sotto forma di infuso può promuovere l’eliminazione di liquidi in eccesso.

Se con l’arrivo del caldo un infuso non è particolarmente gradito si può utilizzare il finocchio come base per estratti e centrifugati: un estratto drenante dal sapore gradevole è a base di sedano, finocchio e zenzero, oppure anche finocchio e cetriolo, un altro ortaggio che favorisce l’eliminazione dei liquidi in eccesso.

Aloe vera e the verde: drenanti naturali da bere

Il succo di aloe vera può aiutare a drenare i liquidi in eccesso, accumulati durante una giornata molto sedentaria.
L’aloe vera, consumata pura, stimola il lavoro del fegato, eliminando le tossine a livello epatico, grazie al suo elevato contenuto di polisaccaridi.

Un buon modo per favorire la depurazione e il drenaggio dei liquidi è bere ogni mattina a stomaco vuoto un cucchiaio di aloe vera con un bicchiere d’acqua tiepida.

Il the verde è un’altra bevanda con moltissime proprietà benefiche drenanti e antiossidanti. Il the verde contiene l’acido clorogenico, considerato uno dei migliori drenanti naturali ed in grado di favorire la digestione e l’eliminazione delle tossine. L’ideale è bere da una a tre tazze di the verde al giorno. Nei periodi più caldi provalo anche freddo con una fetta di limone.

Tisane drenanti: l’aiuto delle erbe per eliminare i liquidi in eccesso

Tra gli ingredienti naturali utili come base per tisane e decotti drenanti troviamo:

  • Equiseto (coda cavallina): è una pianta in grado di drenare i liquidi in eccesso stimolando la diuresi. Viene usata spesso  per le tisane drenanti, ma anche in molti integratori alimentari;
  • Tarassaco: è una pianta dall’azione diuretica, ricca di flavonoidi e potassio. Può essere usata in cucina direttamente come alimento per stimolare l’azione depurativa del fegato, ma si trova più frequentemente sotto forma di tisane e integratori;
  • Betulla: la linfa di betulla è un drenante naturale che stimola la diuresi con un’efficacia particolare per gli inestetismi. Ha capacità diuretiche e può essere consumata con tisane, integratori o linfa, diluita solitamente in acqua;
  • Ortica: direttamente dal giardino alla tavola, l’ortica è una pianta dalle proprietà straordinarie. La troviamo in natura, in integratori o tisane.

Non è raro trovare questi ingredienti naturali in combinazione nello stesso preparato.

La frutta che aiuta a drenare i liquidi: Ananas e frutti rossi 

Alcuni frutti svolgono un’azione drenante. L’ananas e i frutti rossi, ad esempio sono tra i migliori frutti drenanti.

L’ananas contiene la bromelina, un enzima che migliora la digestione e la circolazione del sangue. Grazie all’alto contenuto di potassio, un minerale che permette di regolare la quantità di acqua nelle cellule è davvero un ottimo drenante.
Un consiglio estivo è di consumare l’ananas da solo oppure come base per centrifugati freschi e dissetanti come ad esempio ananas, cetrioli e zenzero.

I frutti rossi sono noti per le loro proprietà antiossidanti, ma anche legate alla circolazione. Infatti, questi piccoli tesori della natura, sono anche validi alleati nel contrastare la ritenzione idrica. Ribes, mirtilli e frutti rossi favoriscono l’azione del microcircolo, stimolando il drenaggio dei liquidi. Si possono consumare interi, come frutti, oppure in estratti, ma anche in succhi confezionati, stando però ben attenti che questi non contengano zuccheri aggiunti

Integratori per drenare

Tutti questi ingredienti naturali vengono spesso combinati per creare integratori in grado di stimolare l’organismo alla diuresi e al rilascio dei liquidi in eccesso.
Tra i più comuni troviamo i concentrati liquidi di betulla, gambo d’ananas ed aloe vera, da diluire in acqua e sorseggiare durante l’arco della giornata.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Ritenzione idrica, drenanti, gambe gonfie
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


Il ferro, un minerale essenziale per la sopravvivenza

Il ferro è un minerale essenziale per la sopravvivenza dell’organismo: serve per il trasporto dell’ossigeno nel sangue, per tenerlo depositato nei muscoli, per la replicazione cellulare e per costruire la struttura di organi e tessuti.

Il nostro organismo non è in grado di produrlo, infatti, il ferro presente nell’organismo deriva dall’alimentazione: se seguiamo una dieta varia e bilanciata i livelli di questo minerale sono adeguati. Un bilanciamento che va mantenuto perché il ferro viene eliminato attraverso la sudorazione, le urine, le feci, il ciclo mestruale e l’allattamento. Proprio per questo motivo le donne e gli sportivi possono essere più soggetti a carenze di ferro.

La Dott.ssa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega qual sono gli alimenti più ricchi di questo minerale e come consumarli per assimilarlo meglio.

Differenza tra ferro di origine vegetale e animale

Una differenza importante che riguarda il ferro è relativa alle due forme sotto le quali si presenta nelle fonti alimentari di origine animale e in quelle di origine vegetale.

Nelle fonti di origine animale si trova il ferro eme o emico, che viene assorbito più rapidamente e facilmente, mentre nelle fonti alimentari di origine vegetale il ferro presente è chiamato ferro non eme o non emico, ed è meno facilmente assimilabile dal nostro organismo.

Una differenza importante fra questi due tipi di ferro è legata al diverso meccanismo di assimilazione. Il ferro eme o emico è assorbito da siti altamente specifici presenti nella mucosa intestinale e non è influenzato dalla presenza di sostanze che ne inibiscono o promuovono l’assimilazione. Invece, l’assorbimento del ferro da origine vegetale può essere favorito o inibito da determinati alimenti o sostanze.

Quali sono gli alimenti più ricchi di ferro?

Una dieta vegetariana o vegana non implica carenze di ferro, spiega la dottoressa Temponi, perché il ferro è presente in moltissimi alimenti di origine vegetale, come ad esempio:

  • Vegetali a foglia verde scuro: cavolo riccio, crescione, cavoletti di Bruxelles, spinaci, radicchio verde
  • Avocado
  • Legumi: soia, fagioli, lenticchie, ceci
  • Cereali integrali: in particolare l’avena
  • Funghi secchi
  • Frutta secca: mandorle, pistacchi, anacardi
  • Frutta disidratata: fichi secchi
  • Alghe

In generale è quindi possibile affermare senza timore che gli alimenti animali non sono i soli ricchi di ferro, in quanto anche il regno vegetale è in grado di garantire un abbondante introito di questo prezioso minerale.

Mentre riguardo alle fonti di ferro origine animale, tra i più ricchi troviamo:

  • fegato
  • manzo
  • prosciutto crudo
  • bresaola
  • cervo
  • agnello
  • pesce
  • molluschi e crostacei

Come assimilare meglio il ferro da fonti vegetali

Nel caso del ferro presente negli alimenti di origine vegetale, va prestata particolare attenzione a come lo si assume: alcune sostanze, infatti, possono diminuirne o addirittura inibirne l’efficacia.

L’assorbimento del ferro da alimenti vegetali, viene favorito dalla vitamina C e dall’acido citrico. La prima è presente in frutta e verdura come agrumi, kiwi, peperoni, pomodori, peperoncino, mentre il secondo si trova soprattutto nel limone. Per questo è ottimale consumare legumi o verdure a foglia verde con un po’ di limone, dei pomodori o del peperoncino, oppure bere ai pasti una spremuta d’arancia o dell’acqua con del limone spremuto.

Un altro metodo suggerito dalla dottoressa riguarda il metodo di cottura di legumi e cereali integrali: se vengono cotti con del limone si favorisce l’assorbimento del ferro in essi contenuto.

Ci sono invece degli alimenti che possono limitare l’assorbimento del ferro non eme e sono quegli alimenti che contengono calcio e tannini, come latte, latticini, caffè e tè. Per questo sarebbe bene consumare questi alimenti lontano da cibi contenenti ferro di origine vegetale.

Carenza di ferro: i sintomi e le analisi consigliate

I sintomi di una carenza di ferro di solito sono piuttosto evidenti: spossatezza, stanchezza, affaticamento e fiato corto sono tra i principali sintomi di una carenza di ferro e in particolare dell’anemia sideropenica. Oltre a donne in età fertile e sportivi, ad essere soggetti a carenze di ferro sono anche coloro che hanno disturbi intestinali di mal assorbimento o intolleranze alimentari.

Per diagnosticare una carenza di ferro, però, non ci si dovrebbe limitare a controllarne i valori nel sangue: lepcidina, ad esempio, è il principale ormone regolatore dei livelli di ferro intra cellulare e circolatorio.

L’epcidina: l’ormone che regola il metabolismo del ferro

La funzione principale dell’epcidina è quella di regolare la ferroportina (FNP), legandosi ad essa e determinandone l’endocitosi e la conseguente degradazione. L’anemia con carenza di ferro funzionale, ad esempio, è caratterizzata da elevati livelli di epcidina nel sangue che causano accumulo di ferro nelle cellule di deposito e poca disponibilità per la produzione di globuli rossi che oltre a svolgere importanti funzioni, trasportano l’ossigeno ad organi e muscoli.

L’analisi dei livelli di epcidina, abbinata a sideremia, ferritinemia, transferrinemia risulta particolarmente utile nelle indagini per anemia, carenza di ferro, emocromatosi e malattie da sovraccarico di ferro. Quindi oltre a valutare il livello di ferro presente nel sangue, è utile capire se il rapporto tra il ferro circolante e quello di riserva è regolato correttamente.

I livelli di epcidina si possono valutare grazie ad uno specifico esame ematico che abbiamo introdotto fra i nostri esami di laboratorio ImbioLab. 

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Ferro, Anemia, Epcidina
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


May 13, 2022 dieta e nutrizione

Caffè e salute

Il caffè in Italia e in molti altri paesi, spesso non rappresenta solo un’abitudine, ma un vero e proprio rituale a cui è difficile rinunciare quando il medico ci consiglia di ridurne l’assunzione. Tuttavia, più che alla tazzina, dovremmo far attenzione al principio attivo della caffeina che è presente anche negli alimenti più inaspettati come ad esempio il cioccolato.

Quando siamo a dieta spesso il nutrizionista mette un limite al consumo di caffè per diverse ragioni.
In realtà Il caffè ha un contenuto calorico praticamente uguale a zero e si può bere tranquillamente anche durante una dieta ipocalorica, ma la caffeina in esso contenuta può avere controindicazioni.

Infatti, un consumo eccessivo di caffeina può comportare problemi di anomala frequenza cardiaca, aumenti di pressione, provocare una reazione infiammatoria o ancora un aumento della secrezione gastrica (con possibili irritazioni della mucosa) e negli individui particolarmente sensibili anche a basse quantità.

C’è un rapporto profondo e millenario tra l’uomo e le varie sostanze stimolanti come alcool, tabacco e caffeina ed il legame non è casuale. La caffeina, infatti, è chiamata in causa nella genesi di una moltitudine di effetti positivi e in parte negativi associati al consumo di caffè.

Non solo nel caffè! Quali sono gli alimenti ricchi di caffeina?

La caffeina è una sostanza naturale presente in diverse piante da cui si ottengono bevande e alimenti.
È il caso, ad esempio di:

  • Tè (da 28 a 150 mg/tazza a seconda del tipo di tè e del tempo di infusione)
  • Yerba Mate (85 mg/tazza)
  • Cola (35-40 mg/lattina)
  • Cioccolato (100 mg/100 gr)
  • Bevande energizzanti (100 mg/100 ml)
  • Guaranà (50 mg/tazzina)
  • Caffè espresso o moka (85 mg/tazzina)

per non parlare degli analgesici, dei cosmetici anticellulite, farmaci e integratori vari.

La quantità di caffeina che generalmente un individuo sano è in grado di sopportare senza problemi è nell’ordine dei 4-5 mg di caffeina per Kg di peso corporeo ideale.

In pratica, il consumo anche regolare di 4-5 tazzine di caffè al giorno generalmente non crea problemi agli adulti sani che seguono uno stile di vita equilibrato e che non consumano altri alimenti contenenti caffeina (tè, cioccolata, cola).

Perché bere caffè ci fa sentire subito più “svegli”?

L’abitudine di bere una buona tazzina di caffè quando siamo un po’ stanchi o quando dobbiamo svegliarci non è del tutto sbagliata perché ci fa sentire subito più svegli.

La sensazione in realtà è una reale conseguenza dell’assunzione di caffeina. Infatti, grazie ad una sua caratteristica molecolare, la caffeina ha la capacità di passare rapidamente la barriera emato-encefalica (una specie di parete virtuale presente nel cervello, preposta ad impedire il passaggio di molte molecole trasportate dal sangue).

Gli effetti della caffeina sul nostro organismo

La caffeina è il principio attivo psicoattivo più usato al mondo. La sua conformazione chimica la rende infatti idonea ad interagire con specifici recettori biologici che regolano la funzionalità del sistema cardiovascolare, endocrino e nervoso.

Anche se gli effetti di questa sostanza sono numerosissimi, la maggior parte di essi è dovuta agli effetti stimolanti che la caffeina esercita sull’intero organismo.

Il tratto intestinale, ad esempio, assorbe la caffeina molto rapidamente ed i picchi di concentrazione plasmatica si osservano dopo circa un’ora dalla sua ingestione. Il suo metabolismo, tuttavia, è molto rapido e decisamente superiore rispetto ad altri stimolanti come le anfetamine. I livelli plasmatici di caffeina si riducono del 50% dopo circa 3-6 ore dall’assunzione.

Ecco gli effetti della caffeina sul nostro organismo:

  • Sistema nervoso: eccitabilità, miglioramento dei riflessi e della capacità di concentrazione, azione analgesica
  • Sistema cardiocircolatorio e respiratorio (azione mediante l’interazione con i recettori biologici): grazie alla sua azione di antagonista competitivo nei confronti dei recettori dell’adenosina, la caffeina favorisce il rilascio di due ormoni chiamati adrenalina e noradrenalina. Le catecolamine favoriscono l’aumento del metabolismo corporeo, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e del numero di atti respiratori (aumentando così l’ossigenazione del sangue)
  • Sistema digerente: aumento della sintesi acida a livello gastrico, aumento della diuresi
  • Sulla pelle: se applicata sulla cute tramite cosmetici specifici (creme, gel e patch) risulta utile nel trattamento delle adiposità localizzate.

Posso bere il caffè durante la gravidanza?

Durante la gravidanza si tende a ridurre o eliminare completamente alimenti e bevande ricche di caffeina.
Questo perché la caffeina riesce ad attraversare anche la placenta e può essere presente nel latte materno. Durante gravidanza e alattamento è pertanto consigliabile ridurre fortemente l’assunzione di caffè e degli altri alimenti ricchi in caffeina.

Caffeina e sport: le bevande energetiche e gli integratori sono considerati doping?

La caffeina ha un’azione positiva sulle performance della maggior parte degli atleti.
Anche dosi tutto sommato moderate (200-400 mg) ingerite un’ora prima della competizione migliorano l’attenzione, la concentrazione e la resistenza. Considerata la grande variabilità individuale si consiglia comunque di sperimentarne l’utilizzo in allenamento prima di assumerla in gara.

Un atleta risulta positivo ai controlli antidoping quando la concentrazione di caffeina nelle sue urine supera i 0.012 mg/ml (= 12 mcg/ml). Non è facile stabilire con esattezza quale sia la dose di assunzione in grado di far superare tale soglia perché è piuttosto soggettiva. In genere si consiglia di non assumere più di 6-8 tazzine di caffè espresso o due tre tazze di caffè tradizionale, nelle tre ore precedenti la competizione.

Bere caffè fa dimagrire?

In virtù del loro elevato contenuto in caffeina, the e caffè vengono spesso consigliati per favorire il dimagrimento (in associazione ad una dieta corretta). Diversi studi hanno confermato questa proprietà, che trova una spiegazione logica nel suo effetto stimolante sul metabolismo basale.

In particolare 500 mg di caffeina (l’equivalente di 5 o 6 caffè) possono aumentare il metabolismo basale del 10-15%. Tradotto in termini più semplici un simile livello di assunzione permette di consumare un quantitativo di calorie maggiore al giorno, ovviamente in relazione alla peso e soprattutto alla massa muscolare del soggetto.

Quindi bere caffè non fa dimagrire, ma può aiutare ad accelerare il metabolismo.

La caffeina è un ingrediente caratteristico dei cosmetici per trattare la cellulite e le adiposità localizzate; applicata sulla cute favorisce la mobilizzazione dei trigliceridi dal tessuto adiposo sottocutaneo mediata dalla lipasi lipolitica.

Il caffè fa male? 

Per godere al massimo dei benefici della caffeina, senza disturbi del sonno o per la salute, la scienza suggerisce di non assumerne più di quella contenuta in 3-4 tazzine di caffè al massimo. Gli effetti di questa sostanza sono però molto soggettivi. Diversi studi genetici hanno identificato specifiche varianti genetiche che sembrano predisporre al metabolismo di caffeina (e quindi a un suo maggiore consumo).

Uno studio del 2016 ha dimostrato che le persone che assumono grandi quantità di caffeina sono anche quelle che geneticamente la metabolizzano con facilità. Ciò suggerisce che l’organismo umano sia in grado di autoregolarsi, e che non sia pericolosa perché ci manteniamo naturalmente all’interno dei nostri limiti.

Il discorso vale per le persone in buona salute: per chi ha problemi di pressione alta o di cuore, per i bambini e le donne in gravidanza, vale la regola di una maggiore cautela o anche dell’astensione.

In casi estremi, comunque, la caffeina può essere letale: 10 grammi di caffeina sono quasi sempre sufficienti a provocare reazioni che portano a un arresto cardiaco. Una tazzina di caffè, però, ne contiene meno di 100 milligrammi (0,1 grammi). Occorrerebbero quindi 100 tazzine di caffè in rapida successione per assumere una dose mortale di questa sostanza.

Gli effetti negativi della caffeina sull’organismo

Il caffè riduce l’assorbimento e la biodisponibilità di alcune sostanze:

  • riboflavina o vitamina B2
  • calcio
  • ferro
  • creatina

Un intossicazione da caffeina causata dalla massiccia assunzione di questa sostanza causa eccitazione smodata, nervosismo, insonnia e tachicardia.

La caffeina va assunta con moderazione in caso di:

  • esofagite e reflusso gastroesofageo (oltre ad aumentare il potere lesivo dei succhi gastrici la caffeina rilassa la “valvola” che impedisce la risalita del contenuto gastrico nell’esofago)
  • ulcera allo stomaco
  • anemia
  • ipertensione
  • tachicardia, aritmie e problemi cardiaci in genere
  • osteoporosi o in caso di fratture ossee

L’utilizzo prolungato di caffeina tende a smorzare gli effetti benefici che abbiamo visto prima e se assunta ad alte dosi, ne accentua quelli collaterali (acidosi, edema polmonare, allucinazioni).

Curiosità sul caffè e sulla caffeina 

La caffeina stimola il sistema nervoso. Dà, quindi, una sferzata di “energia”, accelerando i riflessi e aumentando la vigilanza. Attenzione, però: il caffè e le bevande energetiche a base di caffeina non possono annullare gli effetti dell’alcool. Anzi, berli ci dà la falsa illusione di aver recuperato la prontezza di riflessi, quando invece l’effetto sedativo dell’alcol è ancora prevalente, con un grave rischio per se stessi e per gli altri.

Il caffè non favorisce la digestione, anzi, se preso con molto zucchero o peggio ancora con panna o alcolici, la rallenta. Gli effetti stimolanti della caffeina possono comunque dare la sensazione di una digestione apparentemente migliore.

Contatta il Dott. Alessio Tosatto per una consulenza nutrizionale personalizzata

Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Caffè, Caffeina, Alimentazione
Redattore: Dott. Alessio Tosatto


La vitamina “del sole”, un pre-ormone fondamentale per la salute delle nostre ossa e non solo!

Si chiama vitamina D, ma non possiamo considerarla strettamente una vitamina.
Il termine vitamina identifica le sostanze organiche indispensabili per la vita, che devono necessariamente essere introdotte con la dieta perché l’organismo non è in grado di sintetizzarle. La vitamina D, invece, viene sintetizzata tramite l’esposizione ai raggi del sole.

La vitamina D è un pre-ormone, che ha il compito di regolare il metabolismo del calcio e del fosforo.
Una carenza di vitamina D può minare la salute muscolare, espone al rischio di fratture e osteoporosi negli adulti o un difetto nello sviluppo dello scheletro, denti ed ossa nei bambini.

Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Giulia Aliboni, biologo nutrizionista, perché la Vitamina D è così importante per la nostra salute e cosa dovremmo fare in caso di carenza.

Cos’è la vitamina D?

La vitamina D fa parte della famiglia delle vitamine liposolubili, viene accumulata a livello del fegato e viene rilasciata nel circolo sanguigno al bisogno, in piccole dosi.

La vitamina D può essere assunta con l’alimentazione (sotto forma di ergocalciferolo, D2) oppure essere sintetizzata direttamente dal nostro corpo, nel momento in cui la pelle viene esposta al sole (in questo caso è nella forma di colecalciferolo, D3).

La vitamina D, una volta assunta o prodotta, passa nel sangue e viene trasportata ai diversi tessuti: a livello del fegato viene trasformata in calcitriolo, la forma attiva.

A cosa serve la vitamina D?

La vitamina D ha suscitato molto interesse negli ultimi anni, proprio per le sue funzioni benefiche sulla salute.

La sua funzione principale, e anche la più conosciuta, è quella di preservare la salute delle ossa: questa vitamina è in grado di aumentare l’assorbimento di calcio, ferro, magnesio, zinco e fosforo a livello intestinale, evitando che si perdano con feci e urine. Questi minerali sono fondamentali per la costruzione del tessuto osseo, per cui avere livelli adeguati di vitamina D sembra possa contrastare l’osteoporosi ed il rischio di fratture o infortuni.

La vitamina D è un prezioso alleato del sistema immunitario

Ultimamente però, la funzione più ricercata della vitamina D è il suo prezioso contributo al funzionamento del sistema immunitario. Diversi studi hanno mostrato una minore incidenza ad infezioni virali e respiratorie nelle persone con livelli adeguati di vitamina D, mentre chi è in carenza tende ad ammalarsi di più. Questo perché la Vitamina D ha la funzione di aumentare la capacità delle cellule del sistema immunitario di riconoscere ed eliminare i microrganismi patogeni.

Inoltre, la vitamina D sembra essere in grado di modulare la risposta infiammatoria del corpo, controllando l’attivazione delle cellule del sistema immunitario e la produzione delle citochine pro-infiammatorie.

Alcune linee di ricerca hanno suggerito una possibile associazione tra omeostasi della vitamina D e malattie infettive, metaboliche, tumorali, cardiovascolari e immunologiche. Sono in corso numerosi studi sulla correlazione tra la severità dell’infezione da Covid-19 e i livelli di vitamina D.

Nonostante il crescente interesse da parte della comunità scientifica e la grande mole di studi prodotta oggi non esistono ancora basi solide e incontrovertibili per raccomandare il suo impiego in questi ambiti.

Cos’è la carenza di vitamina D?

Nel periodo invernale (da ottobre ad aprile) a causa della latitudine non favorevole in Italia, la produzione di vitamina D è significativamente ridotta, infatti la carenza di vitamina D è molto comune e si stima che le persone con carenza siano circa l’80% della popolazione.

La carenza di vitamina D può essere dovuta a diversi fattori:

  • Uno scarso apporto nutrizionale: una dieta ricca di alimenti industriali e processati è povera di Vitamina D. In ogni caso, la Vitamina D proveniente dall’alimentazione è circa il 10-20% del totale, per cui spesso non è sufficiente da sola
  • Uno scarso assorbimento intestinale: in caso di intestino infiammato e non in forma, anche se l’alimentazione è ricca di alimenti che contengono vitamina D, questa non verrà assorbita
  • Una scarsa esposizione al sole: la vita sedentaria ed i ritmi lavorativi sempre più impegnativi, uniti allo sviluppo della tecnologia, impediscono di passare al sole ed all’aria aperta il tempo necessario per sintetizzare quantità efficienti di vitamina D. I raggi solari sono sufficientemente potenti solo nei mesi estivi: in inverno quindi la carenza aumenta. Teniamo sempre in considerazione che non possiamo esporci al sole per troppo tempo senza protezione dai raggi UV.

Quali sono le conseguenze di una carenza di vitamina D?

Gli stati di carenza possono essere diversi e più o meno gravi.

La carenza grave di vitamina D nell’infanzia può portare al rachitismo, una patologia caratterizzata da una mineralizzazione ossea inadeguata, che rende l’apparato scheletrico fragile e spesso deformato. Nell’adulto, una grave carenza può portare all’osteomalcia, simile al rachitismo, ed all’indebolimento dei denti, con conseguente predisposizione a carie.

Ci sono poi stati di carenza meno evidenti, che non portano a rachitismo o osteomalcia, ma ad una serie di conseguenze e sintomi più difficili da isolare.

La carenza di Vitamina D tende ad aumentare con l’avanzare dell’età, in quanto diminuisce l’assunzione di alimenti ricchi in questa vitamina, a causa di difficoltà digestive. Inoltre, anche l’esposizione al sole viene meno. Recenti studi hanno rilevato un’associazione interessante tra la carenza medio-grave di vitamina D e la comparsa di alcune patologie, tra cui:

  • Infiammazione cronica e relative patologie
  • Diabete
  • Malattie autoimmuni
  • Malattie della pelle
  • Rischio di incidenza di neoplasie
  • Malattie respiratorie
  • Malattie neurologiche

Altri studi hanno dimostrato l’efficacia dell’integrazione di Vitamina D in pazienti anziani per la prevenzione del rischio di fratture ossee.

Un recente studio sul British Medical Journal ha messo in relazione la supplementazione di vitamina D con un effetto protettivo dal rischio di infezioni acute del tratto respiratorio (tosse, infezioni, laringite, bronchite, etc.).

La protezione dell’integrazione di vitamina D è risultata maggiore nelle persone che partivano da un livello di vitamina D sierica più basso (e quindi da uno stato di carenza).

I risultati migliori, inoltre, sono stati raggiunti con la somministrazione di vitamina D settimanale o giornaliera piuttosto che con dosi più alte e meno frequenti, il che probabilmente è dovuto a un maggiore assorbimento della vitamina D somministrata.

In quali alimenti si trova la vitamina D?

Gli alimenti ricchi in vitamina D sono diversi e si tratta per lo più di prodotti di origine animale (l’unica eccezione sono i funghi).

Tra questi troviamo l’olio di pesce (spesso consumato come integratore) ed alcuni tipi di pesce grasso (tra cui il salmone ed il pesce azzurro). Per quanto riguarda la carne, il tipo di carne che contiene più vitamina D è il fegato. Latte, burro e formaggi grassi mostrano piccole quantità di vitamina D, mentre le uova (soprattutto a livello del tuorlo) sembrano contenerne di più.

È importante in questo senso consumare prodotti di origine animale che provengono da allevamenti seri e che tengano in considerazione anche il benessere animale: se l’animale, ad esempio la gallina, ha passato tanto tempo al sole, le sue uova saranno più ricche di vitamina D. Lo stesso vale per carne, formaggi e pesce.

La vitamina D proveniente dall’alimentazione incide solo del 20% sui livelli di vitamina D riscontrabili in circolo.

I consigli della nutrizionista

La vitamina D è presente in alcuni alimenti ma non in concentrazioni sufficienti a soddisfare le richieste del nostro organismo.

Oltre ad esporci al sole quando possibile, in inverno ed in caso di carenza, dovremo ricorrere all’uso di integratori.

Esistono molti tipi di integratori ed anche in questo caso è opportuno chiedere al proprio medico o biologo nutrizionista che, valutando i livelli di vitamina D del singolo paziente, sarà in grado di suggerire un dosaggio ed un tipo di integrazione adatta ad ogni esigenza.

Contatta la Dott.ssa Giulia Aliboni per una consulenza personalizzata

Dott.ssa Giulia Aliboni
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Vitamina D
Redattore: Dott.ssa Giulia Aliboni

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