Articoli

Tutto sul nostro settore


Il caldo ci rende inattivi, molto stanchi e spesso ci impedisce di affrontare anche i semplici impegni quotidiani privandoci dell’energia fisica e mentale necessaria. Ma gli integratori servono davvero?

Quando le temperature aumentano, la pressione sanguigna scende, provocando spossatezza, affaticamento e stanchezza generale che possono essere aggravati da un alto livello di stress e dall’abitudine di bere poca acqua.

Con i primi caldi afosi, come quelli di questi giorni, c’è chi pensa già ad un integratore a base di magnesio e potassio per recuperare le energie. Ma quando è davvero il caso di assumerli e quando, invece, può essere sufficiente un’integrazione alimentare?

Magnesio e potassio svolgono una serie di funzioni molto importanti:

  • il magnesio fa bene alle ossa e al sistema nervoso ed è necessario per la produzione di energia;
  • il potassio regola l’equilibrio di fluidi e minerali, mantiene la giusta pressione corporea, aiuta a contrarre i muscoli e tutela l’attività delle cellule nervose

La dottoressa Giulia Temponi, nutrizionista in Imbio, ci aiuta a scegliere gli alimenti più ricchi di questi minerali e a capire quando è necessario integrarli al di fuori dell’alimentazione.

Le proprietà del potassio

Il potassio è il principale minerale presente nelle cellule degli adulti. Si tratta di un elemento indispensabile all’organismo e d’estate, complice l’innalzamento delle temperature, il nostro fabbisogno aumenta.

Tra le sue funzioni importantissime:

  • stimola la contrazione muscolare, compresa quella del muscolo cardiaco
  • contribuisce alla regolazione e all’equilibrio dei fluidi all’interno e all’esterno delle cellule, mantenendo la pressione arteriosa regolare
  • riduce il rischio di aterosclerosi
  • regola la trasmissione degli impulsi nervosi e muscolari

Quali sono gli alimenti che contengono potassio?

Fortunatamente il potassio a tavola non è difficile da trovare. È presente in quasi tutti gli alimenti, ma quelli più ricchi sono i vegetali freschi, frutta, verdura e legumi, meglio se poco trasformati, poiché la lavorazione ne può modificare il contenuto nutrizionale.

In particolare sono buone fonti di potassio:

  • verdure in foglia come insalata e spinaci
  • pomodori
  • cetrioli
  • zucchine
  • melanzane
  • zucca
  • patate
  • carote
  • fagioli
  • frutta secca
  • banana
  • fragole

Carenza di potassio

Crampi muscolari, stanchezza e piccoli disturbi metabolici come inappetenza e stitichezza, possono essere sintomi di una carenza di potassio.

La carenza di potassio può essere un semplice deficit passeggero determinato dal caldo, una sudorazione eccessiva, esercizio fisico intenso o una dieta drastica e non equilibrata, ma in casi più rari, può essere causata da patologie più importanti a carico dell’apparato gastro-intestinale. Anche l’abuso di diuretici o una terapia cortisonica prolungata possono provocare l’ipocaliemia, ovvero una carenza di potassio importante.

In questi casi, la quota di elettroliti viene compromessa ed è consigliabile integrarli con un’alimentazione corretta e con alcuni rimedi naturali semplici ma efficaci.

Le proprietà del magnesio

Anche il magnesio è un minerale dalle numerose funzioni, piuttosto diffuso negli alimenti.

Questo minerale partecipa a numerose reazioni cellulari e regola gli enzimi che controllano la sintesi proteica (e quindi la formazione e il funzionamento di muscoli e nervi), la regolazione di glicemia e pressione arteriosa. Inoltre allevia i crampi e aiuta ad eliminare tossine e scorie, stimolando il transito intestinale.

Grazie alle sue proprietà miorilassanti stimola il rilassamento muscolare e, in combinazione con la melatonina, può favorire un buon sonno. Infine, è utile contro i crampi mestruali.

Quali sono gli alimenti che contengono magnesio?

Le fonti di magnesio sono simili a quelle di potassio. Anche questo minerale è presente in:

  • vegetali a foglia verde come gli spinaci e l’insalata
  • legumi
  • frutta secca e semi oleosi
  • cereali integrali

In generale tutti quegli alimenti ricchi di fibre sono anche buone fonti di magnesio.

Carenza di magnesio

Come per il potassio, anche per il magnesio le carenze non sono frequenti. I soggetti più a rischio sono coloro che assumono farmaci o che soffrono di malattie che possono compromettere l’assorbimento a livello intestinale dei minerali, come:

  • celiachia
  • diabete di tipo 2
  • morbo di Crohn
  • chi ha affrontato un bypass gastrico

Nelle situazioni più gravi la carenza di magnesio può portare a contrazioni muscolari e crampi, intorpidimenti, aritmie, riduzione dei livelli di calcio e potassio nel sangue, mentre un eccesso di magnesio può dare diarrea, nausea e crampi addominali.

Gli integratori di magnesio e potassio sono davvero utili?

Una dieta equilibrata e varia dovrebbe garantirci il giusto apporto di questi sali minerali, tuttavia vi sono alcune circostanze in cui potremmo averne un fabbisogno maggiore come ad esempio in gravidanza, con l’età avanzata o quando svolgiamo attività fisica particolarmente intensa che porta ad una grande sudorazione.

Per chi, prima di assumere un integratore, volesse provare a ritrovare il proprio equilibrio elettrolitico anche in estate con degli spuntini ricchi di potassio e magnesio la dottoressa Temponi suggerisce: una banana, 30-40 grammi di frutta secca, altrettanti di semi oleosi, un panino integrale o un piatto di cereali integrali.

Senza dimenticare che, per contrastare la disidratazione è importantissimo non solo bere, ma anche “mangiare acqua” consumando molta frutta fresca e verdura.

Se non sapete quale sia il vostro caso specifico, vi aspettiamo per una consulenza personalizzata per trovare il rimedio migliore ai vostri problemi stagionali di caldo.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Magnesio e potassio, Caldo
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


Cefalea, stanchezza cronica, irritabilità possono essere sintomi della sindrome dell’intestino permeabile o gocciolante. Una patologia sempre più frequente che porta al deterioramento della barriera intestinale con il rischio di sviluppare allergie ed altri disturbi 

La sindrome dell’intestino permeabile o sindrome dell’intestino gocciolante (Leaky Gut Syndrome), è una condizione in cui la barriera intestinale non è più in grado di svolgere la sua funzione protettiva, che consente l’assorbimento dei nutrienti e impedisce l’ingresso di tossine, agenti patogeni o sostanze allergizzanti nel circolo sanguigno.

La barriera intestinale è di fondamentale importanza, non solo per il benessere fisico e psichico, ma anche per la salute e la buona risposta del sistema immunitario. Se questa barriera viene meno, siamo più esposti ad una serie di rischi che possono portare allo sviluppo di allergie, disturbi, problemi alla tiroide e malattie autoimmuni.

La dottoressa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega quali sono le possibili cause di questa sindrome, come riconoscerla e come l’alimentazione può giocare un ruolo fondamentale nella cura.

Cause della sindrome dell’intestino permeabile 

Le cause della sindrome dell’intestino permeabile o gocciolante possono essere diverse.
Alla base può essere causata da stress fisici prolungati, sovrallenamento, cattiva alimentazione (eccessi alimentari, abuso di zuccheri e cereali raffinati, ecc…), utilizzo di farmaci come antibiotici o fans, abuso di lassativi, deficit enzimatici e disbiosi (disequilibrio della flora batterica).

A seguito di queste situazioni le funzioni della barriera si possono alterare innescando un processo infiammatorio ed un’iper-reattività del sistema immunitario. Questo può portare a malattie infiammatorie croniche o autoimmuni, come ad esempio la celiachia e la psoriasi.

Quali sono i sintomi della sindrome dell’intestino permeabile?

I sintomi più comuni della sindrome dell’intestino permeabile (sindrome dell’intestino gocciolante) sono:

  • cefalea
  • irritabilità
  • ansia
  • sbalzi d’umore
  • stanchezza cronica
  • dolori articolari e muscolari
  • disturbi intestinali (intestino irritabile, costipazione, gonfiore addominale, diarrea)
  • allergie e intolleranze alimentari
  • alterazioni tiroidee (soprattutto ipotiroidismo)

Gli sbalzi d’umore sono connessi al rilascio di serotonina, che ha origine proprio nell’intestino.

Complicanze della sindrome dell’intestino permeabile: deficit di vitamine e minerali

Uno dei campanelli d’allarme utili a diagnosticare la sindrome dell’intestino permeabile è il deficit di micronutrienti.
Una carenza di vitamine e/o minerali può essere causata dal mal assorbimento intestinale.

Se si riscontrano carenze importanti di minerali e vitamine (ferro, magnesio, zinco, selenio, iodio, vitamine del gruppo B, vitamine A, C, E e omega 3) è bene provvedere ad una integrazione.

Il test per diagnosticare questa patologia è un esame su feci, che rileva i livelli di zonulina, la proteina prodotta dalle cellule enteriche che modula la permeabilità delle giunzioni strette tra le cellule della parete del tubo digerente e ne regola la permeabilità intestinale. Alti livelli di zonulina sono correlati ad un deterioramento della mucosa intestinale.

Quali alimenti possono provocare la sindrome dell’intestino permeabile?

Oltre allo stress e all’assunzione di farmaci, esistono alimenti che possono provocare la sindrome dell’intestino permeabile.
Se soffriamo di questo disturbo dovremmo eliminare dalla nostra dieta:

  • gli alimenti contenenti glutine, proteina che interferisce con il rilascio di zonulina, ed alimenti ad alto indice glicemico (come i carboidrati raffinati, i prodotti da forno, i dolci) che fermentano facilmente nell’intestino
  • i prodotti lattiero-caseari, la beta caseina in essi contenuta causa un aumento dei livelli del marker infiammatorio del colon e un aumento della secrezione di mucina che in elevate quantità, contribuisce a questa sindrome
  • la solanina, alcaloide contenuto nelle solanacee (ovvero pomodori, patate, melanzane, peperoni, peperoncino), che può risultare tossica e stimolare una risposta immunitaria in presenza di questa sindrome
  • le saponine, contenute in quinoa, liquirizia, basilico, legumi, soia e avena (inducono la formazione di pori permanenti sulle membrane cellulari che permettono il passaggio di grosse molecole come la ferritina)
  • fruttosio, che determina alterazioni del microbiota e della permeabilità intestinale oltre ad un’infiammazione sistemica mediante l’aumento dei livelli di proteine marker dello stress ossidativo

L’ intervento nutrizionale ed integrativo da adottare va comunque personalizzato, considerando ogni singolo caso.

Cosa mangiare se soffriamo di sindrome dell’intestino permeabile?

Esistono alimenti che possiamo definire “amici dell’intestino” e del suo microbiota (la flora batterica intestinale).
Tra questi troviamo:

  • le proteine ad alto valore biologico (come quelle del pollame allevato all’aperto, del pesce selvaggio, delle carni grass fed)
  • i cibi ricchi di grassi buoni come l’olio extravergine di oliva, il pesce grasso e azzurro di piccola taglia, la frutta a guscio e i semi oleosi (che in alcuni casi possono essere fermentanti)
  • i carboidrati integrali ricchi di fibre, ma a basso indice glicemico
  • gli alimenti fermentati ricchi di probiotici, che hanno un ruolo chiave nel ripristinare la barriera intestinale, come crauti, kefir, kimchi, yogurt di cocco o da latte di capra o tè kombucha

Il consiglio generale se soffriamo di sindrome dell’intestino permeabile è quello di seguire una dieta anti-fermentativa.

Rimedi alla sindrome dell’intestino permeabile

L’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nella cura della sindrome dell’intestino permeabile. Oltre all’alimentazione la Dott.ssa Giulia Temponi, nutrizionista, consiglia di evitare di bere molto durante i pasti, perché causa fermentazione, assumere prebiotici (fibre solubili e insolubili, ricche di inulina e FOS) e in un secondo momento, integrare con probiotici.

Inoltre, usare miscele di enzimi digestivi che facilitano l’assorbimento degli alimenti ingeriti.
A livello di cottura degli alimenti è meglio prediligere quelle più semplici e leggere, evitando fritti e soffritti.

La sindrome dell’intestino permeabile è la conseguenza di un prolungato stato di disbiosi intestinale: per questo il consiglio è quello di fare ciclicamente, almeno ad ogni cambio di stagione, un ciclo di prebiotici e probiotici.
Se poi vogliamo aggiungere una pulizia profonda dell’intestino meglio ancora.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Sindrome dell’intestino permeabile, Sindrome dell’intestino gocciolante
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi

 

PRENOTA ONLINE

VISITA SPECIALISTICA CON IL GASTROENTEROLOGO, PROF. Ercole De Masi
  • Visite specialistiche di Gastroenterologia di 1° livello (definizione della patologia, piano di diagnosi e cura)
  • Visita Medico Nutrizionale
  • Valutazione sindrome Metabolica, sovrappeso ed obesità
CONSULENZA NUTRIZIONALE PERSONALIZZATA con la Dott.ssa Giulia Temponi
  • Visita nutrizionale
  • Misurazione impedenziometrica
ANALISI CLINICHE DI LABORATORIO
  • Zonulina sierica e fecale
  • Test disbiosi
  • Test benessere intestinale


Con i primi caldi torna la sensazione di gonfiore e di gambe pesanti, ma possiamo contrastare la ritenzione idrica con dieta, idratazione e integrazione

Finocchio, ananas, frutti rossi, gli alimenti con effetti drenanti sono molti e contrastare la ritenzione idrica attraverso la dieta è possibile, grazie ad alcuni cibi e integratori alimentari drenanti.

Bere una tisana non fa dimagrire o perdere grasso, ma certamente può rivelarsi un utile aiuto per contrastare i liquidi in eccesso che possono accumularsi a causa di una vita sedentaria.

La dottoressa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega come “lavorano” i drenanti e quali sono gli alimenti o gli integratori che possiamo introdurre nella dieta per trattenere meno liquidi e sentirci più leggeri.

Il finocchio, un ottimo drenante naturale contro la ritenzione idrica

I drenanti lavorano a livello linfatico, favorendo l’espulsione dei liquidi in eccesso presenti nell’organismo attraverso le urine, il sudore e la traspirazione. Molti drenanti sono sostanze naturali che si possono assumere sotto forma di tisane, decotti, succhi o integratori.

Alcune sostanze naturali, come il finocchio, possono essere un valido alleato per drenare i liquidi accumulati passando molte ore fermi. Il finocchio è una delle migliori opzioni per depurare, oltre che per migliorare la digestione e ridurre i gas intestinali. Consumato sotto forma di infuso può promuovere l’eliminazione di liquidi in eccesso.

Se con l’arrivo del caldo un infuso non è particolarmente gradito si può utilizzare il finocchio come base per estratti e centrifugati: un estratto drenante dal sapore gradevole è a base di sedano, finocchio e zenzero, oppure anche finocchio e cetriolo, un altro ortaggio che favorisce l’eliminazione dei liquidi in eccesso.

Aloe vera e the verde: drenanti naturali da bere

Il succo di aloe vera può aiutare a drenare i liquidi in eccesso, accumulati durante una giornata molto sedentaria.
L’aloe vera, consumata pura, stimola il lavoro del fegato, eliminando le tossine a livello epatico, grazie al suo elevato contenuto di polisaccaridi.

Un buon modo per favorire la depurazione e il drenaggio dei liquidi è bere ogni mattina a stomaco vuoto un cucchiaio di aloe vera con un bicchiere d’acqua tiepida.

Il the verde è un’altra bevanda con moltissime proprietà benefiche drenanti e antiossidanti. Il the verde contiene l’acido clorogenico, considerato uno dei migliori drenanti naturali ed in grado di favorire la digestione e l’eliminazione delle tossine. L’ideale è bere da una a tre tazze di the verde al giorno. Nei periodi più caldi provalo anche freddo con una fetta di limone.

Tisane drenanti: l’aiuto delle erbe per eliminare i liquidi in eccesso

Tra gli ingredienti naturali utili come base per tisane e decotti drenanti troviamo:

  • Equiseto (coda cavallina): è una pianta in grado di drenare i liquidi in eccesso stimolando la diuresi. Viene usata spesso  per le tisane drenanti, ma anche in molti integratori alimentari;
  • Tarassaco: è una pianta dall’azione diuretica, ricca di flavonoidi e potassio. Può essere usata in cucina direttamente come alimento per stimolare l’azione depurativa del fegato, ma si trova più frequentemente sotto forma di tisane e integratori;
  • Betulla: la linfa di betulla è un drenante naturale che stimola la diuresi con un’efficacia particolare per gli inestetismi. Ha capacità diuretiche e può essere consumata con tisane, integratori o linfa, diluita solitamente in acqua;
  • Ortica: direttamente dal giardino alla tavola, l’ortica è una pianta dalle proprietà straordinarie. La troviamo in natura, in integratori o tisane.

Non è raro trovare questi ingredienti naturali in combinazione nello stesso preparato.

La frutta che aiuta a drenare i liquidi: Ananas e frutti rossi 

Alcuni frutti svolgono un’azione drenante. L’ananas e i frutti rossi, ad esempio sono tra i migliori frutti drenanti.

L’ananas contiene la bromelina, un enzima che migliora la digestione e la circolazione del sangue. Grazie all’alto contenuto di potassio, un minerale che permette di regolare la quantità di acqua nelle cellule è davvero un ottimo drenante.
Un consiglio estivo è di consumare l’ananas da solo oppure come base per centrifugati freschi e dissetanti come ad esempio ananas, cetrioli e zenzero.

I frutti rossi sono noti per le loro proprietà antiossidanti, ma anche legate alla circolazione. Infatti, questi piccoli tesori della natura, sono anche validi alleati nel contrastare la ritenzione idrica. Ribes, mirtilli e frutti rossi favoriscono l’azione del microcircolo, stimolando il drenaggio dei liquidi. Si possono consumare interi, come frutti, oppure in estratti, ma anche in succhi confezionati, stando però ben attenti che questi non contengano zuccheri aggiunti

Integratori per drenare

Tutti questi ingredienti naturali vengono spesso combinati per creare integratori in grado di stimolare l’organismo alla diuresi e al rilascio dei liquidi in eccesso.
Tra i più comuni troviamo i concentrati liquidi di betulla, gambo d’ananas ed aloe vera, da diluire in acqua e sorseggiare durante l’arco della giornata.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Ritenzione idrica, drenanti, gambe gonfie
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


Il ferro, un minerale essenziale per la sopravvivenza

Il ferro è un minerale essenziale per la sopravvivenza dell’organismo: serve per il trasporto dell’ossigeno nel sangue, per tenerlo depositato nei muscoli, per la replicazione cellulare e per costruire la struttura di organi e tessuti.

Il nostro organismo non è in grado di produrlo, infatti, il ferro presente nell’organismo deriva dall’alimentazione: se seguiamo una dieta varia e bilanciata i livelli di questo minerale sono adeguati. Un bilanciamento che va mantenuto perché il ferro viene eliminato attraverso la sudorazione, le urine, le feci, il ciclo mestruale e l’allattamento. Proprio per questo motivo le donne e gli sportivi possono essere più soggetti a carenze di ferro.

La Dott.ssa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega qual sono gli alimenti più ricchi di questo minerale e come consumarli per assimilarlo meglio.

Differenza tra ferro di origine vegetale e animale

Una differenza importante che riguarda il ferro è relativa alle due forme sotto le quali si presenta nelle fonti alimentari di origine animale e in quelle di origine vegetale.

Nelle fonti di origine animale si trova il ferro eme o emico, che viene assorbito più rapidamente e facilmente, mentre nelle fonti alimentari di origine vegetale il ferro presente è chiamato ferro non eme o non emico, ed è meno facilmente assimilabile dal nostro organismo.

Una differenza importante fra questi due tipi di ferro è legata al diverso meccanismo di assimilazione. Il ferro eme o emico è assorbito da siti altamente specifici presenti nella mucosa intestinale e non è influenzato dalla presenza di sostanze che ne inibiscono o promuovono l’assimilazione. Invece, l’assorbimento del ferro da origine vegetale può essere favorito o inibito da determinati alimenti o sostanze.

Quali sono gli alimenti più ricchi di ferro?

Una dieta vegetariana o vegana non implica carenze di ferro, spiega la dottoressa Temponi, perché il ferro è presente in moltissimi alimenti di origine vegetale, come ad esempio:

  • Vegetali a foglia verde scuro: cavolo riccio, crescione, cavoletti di Bruxelles, spinaci, radicchio verde
  • Avocado
  • Legumi: soia, fagioli, lenticchie, ceci
  • Cereali integrali: in particolare l’avena
  • Funghi secchi
  • Frutta secca: mandorle, pistacchi, anacardi
  • Frutta disidratata: fichi secchi
  • Alghe

In generale è quindi possibile affermare senza timore che gli alimenti animali non sono i soli ricchi di ferro, in quanto anche il regno vegetale è in grado di garantire un abbondante introito di questo prezioso minerale.

Mentre riguardo alle fonti di ferro origine animale, tra i più ricchi troviamo:

  • fegato
  • manzo
  • prosciutto crudo
  • bresaola
  • cervo
  • agnello
  • pesce
  • molluschi e crostacei

Come assimilare meglio il ferro da fonti vegetali

Nel caso del ferro presente negli alimenti di origine vegetale, va prestata particolare attenzione a come lo si assume: alcune sostanze, infatti, possono diminuirne o addirittura inibirne l’efficacia.

L’assorbimento del ferro da alimenti vegetali, viene favorito dalla vitamina C e dall’acido citrico. La prima è presente in frutta e verdura come agrumi, kiwi, peperoni, pomodori, peperoncino, mentre il secondo si trova soprattutto nel limone. Per questo è ottimale consumare legumi o verdure a foglia verde con un po’ di limone, dei pomodori o del peperoncino, oppure bere ai pasti una spremuta d’arancia o dell’acqua con del limone spremuto.

Un altro metodo suggerito dalla dottoressa riguarda il metodo di cottura di legumi e cereali integrali: se vengono cotti con del limone si favorisce l’assorbimento del ferro in essi contenuto.

Ci sono invece degli alimenti che possono limitare l’assorbimento del ferro non eme e sono quegli alimenti che contengono calcio e tannini, come latte, latticini, caffè e tè. Per questo sarebbe bene consumare questi alimenti lontano da cibi contenenti ferro di origine vegetale.

Carenza di ferro: i sintomi e le analisi consigliate

I sintomi di una carenza di ferro di solito sono piuttosto evidenti: spossatezza, stanchezza, affaticamento e fiato corto sono tra i principali sintomi di una carenza di ferro e in particolare dell’anemia sideropenica. Oltre a donne in età fertile e sportivi, ad essere soggetti a carenze di ferro sono anche coloro che hanno disturbi intestinali di mal assorbimento o intolleranze alimentari.

Per diagnosticare una carenza di ferro, però, non ci si dovrebbe limitare a controllarne i valori nel sangue: lepcidina, ad esempio, è il principale ormone regolatore dei livelli di ferro intra cellulare e circolatorio.

L’epcidina: l’ormone che regola il metabolismo del ferro

La funzione principale dell’epcidina è quella di regolare la ferroportina (FNP), legandosi ad essa e determinandone l’endocitosi e la conseguente degradazione. L’anemia con carenza di ferro funzionale, ad esempio, è caratterizzata da elevati livelli di epcidina nel sangue che causano accumulo di ferro nelle cellule di deposito e poca disponibilità per la produzione di globuli rossi che oltre a svolgere importanti funzioni, trasportano l’ossigeno ad organi e muscoli.

L’analisi dei livelli di epcidina, abbinata a sideremia, ferritinemia, transferrinemia risulta particolarmente utile nelle indagini per anemia, carenza di ferro, emocromatosi e malattie da sovraccarico di ferro. Quindi oltre a valutare il livello di ferro presente nel sangue, è utile capire se il rapporto tra il ferro circolante e quello di riserva è regolato correttamente.

I livelli di epcidina si possono valutare grazie ad uno specifico esame ematico che abbiamo introdotto fra i nostri esami di laboratorio ImbioLab. 

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Ferro, Anemia, Epcidina
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


La vitamina “del sole”, un pre-ormone fondamentale per la salute delle nostre ossa e non solo!

Si chiama vitamina D, ma non possiamo considerarla strettamente una vitamina.
Il termine vitamina identifica le sostanze organiche indispensabili per la vita, che devono necessariamente essere introdotte con la dieta perché l’organismo non è in grado di sintetizzarle. La vitamina D, invece, viene sintetizzata tramite l’esposizione ai raggi del sole.

La vitamina D è un pre-ormone, che ha il compito di regolare il metabolismo del calcio e del fosforo.
Una carenza di vitamina D può minare la salute muscolare, espone al rischio di fratture e osteoporosi negli adulti o un difetto nello sviluppo dello scheletro, denti ed ossa nei bambini.

Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Giulia Aliboni, biologo nutrizionista, perché la Vitamina D è così importante per la nostra salute e cosa dovremmo fare in caso di carenza.

Cos’è la vitamina D?

La vitamina D fa parte della famiglia delle vitamine liposolubili, viene accumulata a livello del fegato e viene rilasciata nel circolo sanguigno al bisogno, in piccole dosi.

La vitamina D può essere assunta con l’alimentazione (sotto forma di ergocalciferolo, D2) oppure essere sintetizzata direttamente dal nostro corpo, nel momento in cui la pelle viene esposta al sole (in questo caso è nella forma di colecalciferolo, D3).

La vitamina D, una volta assunta o prodotta, passa nel sangue e viene trasportata ai diversi tessuti: a livello del fegato viene trasformata in calcitriolo, la forma attiva.

A cosa serve la vitamina D?

La vitamina D ha suscitato molto interesse negli ultimi anni, proprio per le sue funzioni benefiche sulla salute.

La sua funzione principale, e anche la più conosciuta, è quella di preservare la salute delle ossa: questa vitamina è in grado di aumentare l’assorbimento di calcio, ferro, magnesio, zinco e fosforo a livello intestinale, evitando che si perdano con feci e urine. Questi minerali sono fondamentali per la costruzione del tessuto osseo, per cui avere livelli adeguati di vitamina D sembra possa contrastare l’osteoporosi ed il rischio di fratture o infortuni.

La vitamina D è un prezioso alleato del sistema immunitario

Ultimamente però, la funzione più ricercata della vitamina D è il suo prezioso contributo al funzionamento del sistema immunitario. Diversi studi hanno mostrato una minore incidenza ad infezioni virali e respiratorie nelle persone con livelli adeguati di vitamina D, mentre chi è in carenza tende ad ammalarsi di più. Questo perché la Vitamina D ha la funzione di aumentare la capacità delle cellule del sistema immunitario di riconoscere ed eliminare i microrganismi patogeni.

Inoltre, la vitamina D sembra essere in grado di modulare la risposta infiammatoria del corpo, controllando l’attivazione delle cellule del sistema immunitario e la produzione delle citochine pro-infiammatorie.

Alcune linee di ricerca hanno suggerito una possibile associazione tra omeostasi della vitamina D e malattie infettive, metaboliche, tumorali, cardiovascolari e immunologiche. Sono in corso numerosi studi sulla correlazione tra la severità dell’infezione da Covid-19 e i livelli di vitamina D.

Nonostante il crescente interesse da parte della comunità scientifica e la grande mole di studi prodotta oggi non esistono ancora basi solide e incontrovertibili per raccomandare il suo impiego in questi ambiti.

Cos’è la carenza di vitamina D?

Nel periodo invernale (da ottobre ad aprile) a causa della latitudine non favorevole in Italia, la produzione di vitamina D è significativamente ridotta, infatti la carenza di vitamina D è molto comune e si stima che le persone con carenza siano circa l’80% della popolazione.

La carenza di vitamina D può essere dovuta a diversi fattori:

  • Uno scarso apporto nutrizionale: una dieta ricca di alimenti industriali e processati è povera di Vitamina D. In ogni caso, la Vitamina D proveniente dall’alimentazione è circa il 10-20% del totale, per cui spesso non è sufficiente da sola
  • Uno scarso assorbimento intestinale: in caso di intestino infiammato e non in forma, anche se l’alimentazione è ricca di alimenti che contengono vitamina D, questa non verrà assorbita
  • Una scarsa esposizione al sole: la vita sedentaria ed i ritmi lavorativi sempre più impegnativi, uniti allo sviluppo della tecnologia, impediscono di passare al sole ed all’aria aperta il tempo necessario per sintetizzare quantità efficienti di vitamina D. I raggi solari sono sufficientemente potenti solo nei mesi estivi: in inverno quindi la carenza aumenta. Teniamo sempre in considerazione che non possiamo esporci al sole per troppo tempo senza protezione dai raggi UV.

Quali sono le conseguenze di una carenza di vitamina D?

Gli stati di carenza possono essere diversi e più o meno gravi.

La carenza grave di vitamina D nell’infanzia può portare al rachitismo, una patologia caratterizzata da una mineralizzazione ossea inadeguata, che rende l’apparato scheletrico fragile e spesso deformato. Nell’adulto, una grave carenza può portare all’osteomalcia, simile al rachitismo, ed all’indebolimento dei denti, con conseguente predisposizione a carie.

Ci sono poi stati di carenza meno evidenti, che non portano a rachitismo o osteomalcia, ma ad una serie di conseguenze e sintomi più difficili da isolare.

La carenza di Vitamina D tende ad aumentare con l’avanzare dell’età, in quanto diminuisce l’assunzione di alimenti ricchi in questa vitamina, a causa di difficoltà digestive. Inoltre, anche l’esposizione al sole viene meno. Recenti studi hanno rilevato un’associazione interessante tra la carenza medio-grave di vitamina D e la comparsa di alcune patologie, tra cui:

  • Infiammazione cronica e relative patologie
  • Diabete
  • Malattie autoimmuni
  • Malattie della pelle
  • Rischio di incidenza di neoplasie
  • Malattie respiratorie
  • Malattie neurologiche

Altri studi hanno dimostrato l’efficacia dell’integrazione di Vitamina D in pazienti anziani per la prevenzione del rischio di fratture ossee.

Un recente studio sul British Medical Journal ha messo in relazione la supplementazione di vitamina D con un effetto protettivo dal rischio di infezioni acute del tratto respiratorio (tosse, infezioni, laringite, bronchite, etc.).

La protezione dell’integrazione di vitamina D è risultata maggiore nelle persone che partivano da un livello di vitamina D sierica più basso (e quindi da uno stato di carenza).

I risultati migliori, inoltre, sono stati raggiunti con la somministrazione di vitamina D settimanale o giornaliera piuttosto che con dosi più alte e meno frequenti, il che probabilmente è dovuto a un maggiore assorbimento della vitamina D somministrata.

In quali alimenti si trova la vitamina D?

Gli alimenti ricchi in vitamina D sono diversi e si tratta per lo più di prodotti di origine animale (l’unica eccezione sono i funghi).

Tra questi troviamo l’olio di pesce (spesso consumato come integratore) ed alcuni tipi di pesce grasso (tra cui il salmone ed il pesce azzurro). Per quanto riguarda la carne, il tipo di carne che contiene più vitamina D è il fegato. Latte, burro e formaggi grassi mostrano piccole quantità di vitamina D, mentre le uova (soprattutto a livello del tuorlo) sembrano contenerne di più.

È importante in questo senso consumare prodotti di origine animale che provengono da allevamenti seri e che tengano in considerazione anche il benessere animale: se l’animale, ad esempio la gallina, ha passato tanto tempo al sole, le sue uova saranno più ricche di vitamina D. Lo stesso vale per carne, formaggi e pesce.

La vitamina D proveniente dall’alimentazione incide solo del 20% sui livelli di vitamina D riscontrabili in circolo.

I consigli della nutrizionista

La vitamina D è presente in alcuni alimenti ma non in concentrazioni sufficienti a soddisfare le richieste del nostro organismo.

Oltre ad esporci al sole quando possibile, in inverno ed in caso di carenza, dovremo ricorrere all’uso di integratori.

Esistono molti tipi di integratori ed anche in questo caso è opportuno chiedere al proprio medico o biologo nutrizionista che, valutando i livelli di vitamina D del singolo paziente, sarà in grado di suggerire un dosaggio ed un tipo di integrazione adatta ad ogni esigenza.

Contatta la Dott.ssa Giulia Aliboni per una consulenza personalizzata

Dott.ssa Giulia Aliboni
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Vitamina D
Redattore: Dott.ssa Giulia Aliboni


Una diagnosi completa per comprendere le difese immunitarie acquisite verso il SARS-CoV-2

L’epidemia di SARS-CoV-2 e il suo impatto sulla popolazione mondiale dimostrano l’importanza vitale delle procedure di test che possono riflettere il progresso delle infezioni.

Una diagnosi completa che consideri tutti i pilastri del sistema immunitario è fondamentale per determinare lo stato del paziente al fine di avviare interventi mirati, nonché per comprendere eventuali difese immunitarie acquisite.

L’infezione è clinicamente asintomatica o moderata nella maggior parte dei soggetti. In alcuni casi, l’infezione provoca una grave progressione che può portare anche ad un quadro clinico molto grave.

Per confermare la presenza di RNA virale o di anticorpi SARS-CoV-2 vengono comunemente utilizzati due tipi di test:

  • test RT-PCR (reazione a catena della polimerasi in tempo reale) con tamponi oro-faringei e/o salivari sono usati per eventualmente confermare la presenza di RNA virale

  • Il test anticorpale, comunemente detto “sierologico”, utilizza il rilevamento del braccio adattativo umorale (acquisito) del sistema immune (misurazione degli anticorpi circolanti).

Tuttavia, è sempre più dimostrato che le risposte anticorpali non sono sempre rilevabili, anche quando il soggetto è stato chiaramente esposto/infetto.

Le reazioni delle cellule immunitarie contro il SARS-CoV-2 possono essere rilevate per un periodo di tempo più lungo

La risposta cellulare, l’altro braccio del sistema immunitario, è ora riconosciuta come strumento di analisi importante  per la misurazione degli anticorpi circolanti contro il SARS-CoV-2. Infatti, è la prima linea di difesa del nostro organismo.

Il sistema immunitario cellulare, e in particolare le cellule T, controllano la forza della risposta immunitaria rilasciando citochine per aumentare o sopprimere la risposta, a seconda della carica virale. Il rilevamento di cellule T reattive (cellule effettrici) contro un agente patogeno indica un contatto e quindi un’infezione acuta o pregressa, indipendentemente dal fatto che siano stati prodotti anticorpi.

È interessante notare che in molti casi le reazioni delle cellule T contro SARS-CoV possono essere rilevate per un periodo di tempo più lungo rispetto ai titoli anticorpali. Anche tutta la vita grazie alla memoria immunitaria.

EliSpot-Assay per misurare la risposta immunitaria dopo l’infezione da Coronavirus

L’EliSpot-Assay (Enzyme-linked Immuno-Spot Assay) è in grado di rilevare le reazioni dei linfociti T a livello delle singole cellule e quindi caratterizzare la risposta immunitaria individuale degli individui che sono stati esposti al virus.
Il rilascio di citochine delle cellule T stimolate con antigeni specifici del coronavirus fornisce un quadro differenziato della risposta immunitaria per mostrare lo sviluppo della progressione della malattia e la possibile immunità dopo l’infezione.

 

Principio del saggio EliSpot a fluorescenza a 2 colori (iSpot). Una piastra a 96 pozzetti, rivestita con anticorpi contro le citochine desiderate, viene incubata con PBMC isolati e antigeni del patogeno di interesse per 24 ore. Successivamente, le cellule vengono rimosse e le citochine legate vengono colorate con anticorpi specifici, in questo caso Interferone-y (IFNy) e Interleuchina-2 (IL-2). Questi anticorpi vengono visualizzati in una seconda fase con anticorpi marcati con fluorescenza per generare macchie, che rappresentano una cellula che produce citochine.

 

L’EliSpot Assay (Enzyme-linked Immuno-Spot Assay) è in grado di rilevare le risposte delle cellule T a livello di singola cellula e quindi caratterizza la risposta immunitaria degli individui testati. La visualizzazione delle citochine secrete prodotte dalle cellule T, stimolate con antigeni specifici del coronavirus, fornisce un quadro differenziato della risposta immunitaria per monitorare la progressione della malattia e determinare l’immunità cellulare dopo l’infezione.

I titoli anticorpali individualmente in rapida diminuzione sono descritti anche in recenti pubblicazioni su SARS-CoV-2.

A causa dell’elevata somiglianza con SARS-CoV, il rilevamento della risposta delle cellule T contro SARS- CoV-2 fornisce ulteriori e importanti informazioni sullo stato del sistema immunitario nelle persone infette e guarite (anche per soggetti che non sanno di avere avuto l’infezione per mancanza di sintomi).

Questo sistema di monitoraggio visualizza l’espressione di IFN-γ (interferone- gamma, cellule T attivate) e IL-2 (interleuchina 2, cellule T di memoria) da cellule T funzionali specifiche contro SARS-CoV-2.

Il principio del test T-CEA SARS-CoV-2

Principio del saggio EliSpot a fluorescenza a 2 colori (iSpot). Una piastra a 96 pozzetti, rivestita con anticorpi contro le citochine desiderate, viene incubata con PBMC isolati e antigeni del patogeno di interesse per 24 ore. Successivamente, le cellule vengono rimosse e le citochine legate vengono colorate con anticorpi specifici, in questo caso Interferone-y (IFNy) e Interleuchina-2 (IL-2). Questi anticorpi vengono visualizzati in una seconda fase con anticorpi marcati con fluorescenza per generare macchie, che rappresentano una cellula che produce citochine.

 

Confronto di cellule T helper 1 (Th1) che esprimono IFNy e IL-2 nel contesto dell’infezione. I linfociti T attivati esprimono principalmente IFNy (visualizzato con macchie fluorescenti verdi) a causa della persistenza dell’antigene, di un elevato carico di antigene e/o di un’esposizione o riesposizione acuta dell’antigene. Durante il corso dell’infezione, sorgono cellule T di memoria, che esprimono IL-2 (visualizzata dai punti fluorescenti rossi), e principalmente cellule T a doppia colorazione (fluorescenza gialla) sono visibili a causa della coespressione di IFNy e IL-2. Più a lungo l’infezione viene superata o il carico di antigene viene eliminato principalmente, una reazione dominante delle cellule T memoria IL-2 è visibile mostrata esclusivamente da macchie rosse.

Confronto tra cellule T da donatore post infezione Covid e donatore vaccinato Biontech/Pfizer 

Cellule T CD4+ e CD8+ da donatore infettato naturalmente (A) e vaccinato con Biontech (B), stimolate con SARS-CoV-2 Mix. Le PBMC sono state isolate da due donatori, uno infetto naturalmente 8 settimane fa e un donatore vaccinato con Biontech/Pfizer 2 settimane dopo la seconda immunizzazione. Da questi PBMC, le cellule T CD4+ e CD8+ sono state isolate mediante l’uso di un kit commerciale e il metodo di separazione delle sfere magnetiche. Sia le preparazioni cellulari che le PBMC intatte (immagini non mostrate) sono state utilizzate per CoV EliSpot per determinare la partecipazione delle cellule Th1 e/o Th2 dopo l’infezione naturale e la vaccinazione. Senza alcun dubbio, esclusivamente le cellule T CD4+ e quindi solo le cellule Thelper sono responsabili della risposta immunitaria cellulare, in maniera irrilevante se da vaccino o naturalmente da infezione, come mostrano chiaramente le immagini e i numeri delle macchie.

L’importanza delle Cellule T per una risposta immunitaria efficace 

Le risposte immunitarie umorali e cellulari sono fondamentalmente diverse. La risposta immunitaria cellulare è dipendente dalle cellule T.

Le cellule T sono suddivise in diverse sottopopolazioni (ad esempio Th1 e Th2), che rilasciano citochine diverse a seconda della loro funzione. Alcune di queste citochine innescano la risposta immunitaria umorale. Le cellule T sono quindi all’inizio dei meccanismi di difesa acquisiti. Le diverse sottopopolazioni di cellule T sono il sito centrale della risposta immunitaria sia umorale che cellulare.

Le cellule T effettrici sono cellule T direttamente attivate e differenziate che hanno proprietà pro-infiammatorie. Sono prodotti da cellule T “vergini” dopo essere venute a contatto con il particolare antigene durante un’infezione o una vaccinazione. Dopo la differenziazione proliferano in cloni di cellule T patogeni specifici, che si trovano come cellule T effettori e di memoria nel sangue periferico.

I linfociti T regolatori sopprimono la risposta immunitaria. Come le cellule T effettrici, si formano per differenziazione dalle cellule T native. Un equilibrio tra cellule T effettrici attivate e cellule T regolatorie è fondamentale per una risposta immunitaria efficace e protettiva. Un equilibrio disturbato può essere alla base di una malattia autoimmune o di un processo infiammatorio cronico.

Rilevamento degli anticorpi in caso di infezione Covid-19 (SARS-CoV-2) asintomatica o con sintomi lievi

Nel rilevamento indiretto di una precedente infezione da COVID-19 soprattutto nei pazienti asintomatici o con sintomi lievi, spesso non si riscontrano titoli anticorpali di una certa entità e comunque molto spesso diminuiscono rapidamente.

Molte persone si liberano dell’agente infettivo usando il loro sistema immunitario cellulare prima che vengano prodotti gli anticorpi. Le precedenti infezioni da COVID-19 possono essere rilevate efficacemente rilevando i Linfociti T effettori specifici (o anche non specifici ma che hanno in comune lo stesso determinante antigienico) di SARS-CoV-2 o le cellule di memoria.

Rilevamento dell’immunità cellulare può indicare immunità esistente o pre-esistente 

Se è possibile rilevare cloni di cellule T specifici per SARS-CoV-2, questa non è solo una prova di un precedente contatto virale: il rilevamento può anche indicare un’immunità cellulare esistente o pre-esistente. Questo è particolarmente vero se il rilevamento di IL-2 o un rilevamento combinato di IL-2 e INF-γ rivela evidenza di cellule di memoria.

Secondo i primi studi, le risposte delle cellule T specifiche per SARS-CoV-2 rimangono rilevabili a lungo nel CoV-iSpot. Risposte anticorpali relativamente di breve durata ma immunità delle cellule T di lunga durata significa che cellule di memoria T specifiche per la SARS sono state osservate nei pazienti infettati da SARS dal 2003 al 2020.

Indicazione di possibile immunità contro i Coronavirus in generale

Nel T-CEA, vengono utilizzati anche altri Coronavirus per stimolare i linfociti al fine di chiarire la questione dell’immunità di base del sistema immunitario cellulare dopo un precedente contatto con coronavirus endemici a livello globale. Se il T-CEA mostra prove di risposte delle cellule T specifiche verso i coronavirus in generale e se questi pazienti non sviluppano la malattia o solo sintomi lievi dopo l’infezione da SARS-CoV-2, allora sembra molto probabile una risposta cellulare contro i coronavirus in generale.

L’osservazione che i pazienti con una risposta reattiva ai peptidi dei coronavirus spesso non risultano positivi agli anticorpi anti-SARS-CoV-2 suggerisce anche un’immunità cellulare di base. È possibile che le cellule infettate da virus siano state eliminate dalle cellule effettrici T prima di essere stimolate dalle plasmacellule agli anticorpi.

Domande e risposte

Il T-CEA SARS-CoV-2 test può essere utile per valutare l’immunità relativamente alla vaccinazione?

Sì, sia i vaccini a mRNA che a vettore virale o a DNA sono stati progettati per neutralizzare il peptide S virale.
Il mix di Peptidi utilizzato in questo test utilizza anche la proteina S. In conclusione, se i Linfociti T “sollecitati” dalla presenza della proteina S virale reagiscono, significa che c’è immunità e quindi protezione.

Il test T-CEA SARS-CoV-2 può rilevare una risposta immunitaria a una variante mutata di SARS-CoV-2?

Sì. Di oltre 10.000 mutazioni caratterizzate di SARS-CoV-2, le varianti di interesse sono Alpha, Beta, Gamma e Delta. Tutti questi sono caratterizzati da mutazioni nella regione del gene S. Come mostrato nella figura sottostante, queste mutazioni non interferiscono con il mix di peptidi nel T-CEA SARS-CoV-2.

 

 

Contatta la nostra segreteria per effettuare il test T-CEA (valutazione degli anticorpi Covid)

 

 

Linfociti T effettori e della memori a-Immunità eterologa e sars-cov-2

Bibliografia 

 

Dott. Mauro Mantovani

Responsabile Ricerca e Sviluppo IMBIO
Direttore Scientifico IMBIO Academy

Riferimenti: Linfociti T, Covid-19, Anticorpi SARS-CoV-2
Redattore: Dott. Mauro Mantovani

 



L’uovo: un alimento nobile, fonte preziosa di nutrienti

Le uova sono al primo posto degli alimenti ad alto valore biologico: ricchissime di proteine e in particolare di amminoacidi essenziali, ovvero quelli che il corpo non produce e che vengono impiegati dal nostro organismo per la costruzione e il mantenimento delle strutture cellulari.

Il Dott. Alessio Tosatto, biologo nutrizionista in Imbio, ci svela il tabù delle uova, un alimento tanto temuto e  criminalizzato, quanto ricco di proprietà benefiche e proteine utili al nostro organismo.

Le uova sono ricche di colesterolo? Sì, ma quello buono. 

L’uovo è un alimento che definisco povero ma ricco.

È bene subito dire che l’uovo apporta sì colesterolo, ma le lecitine contenute nel tuorlo favoriscono l’attività delle HDL cioè del colesterolo “buono”.

Bisogna anche considerare che il colesterolo che si misura nel sangue non è direttamente correlato a quello che si trova negli alimenti come le uova, ma viene formato dal fegato anche a partire da zuccheri e cereali raffinati.

Più in generale è importante ricordare che il 70-80 % del colesterolo è endogeno, ovvero prodotto dall’organismo, un suo eccesso spesso è quindi per cause genetiche.

Il colesterolo è una sostanza particolare, se si introduce correttamente con la dieta, l’organismo si adatta a produrne di meno. Inoltre, un singolo uovo in media contiene circa 2 grammi di grassi, una quantità di certo limitata rispetto ad altre fonti di proteine animali.

Cosa contengono le uova?

L’uovo contiene anche ferro, fosforo e calcio in buone quantità, oltre che la vitamina K, utile per rafforzare le ossa. Le vitamine del gruppo B, tra cui soprattutto la vitamina B12 che è molto importante nel metabolismo di carboidrati, grassi e proteine.

Nelle uova troviamo anche la vitamina D che svolge numerose azioni nell’organismo, infatti metabolismo, sistema immunitario, pelle traggono beneficio da un corretto livello di vitamina D.

La colina (vitamina J) presente nel tuorlo favorisce la pulizia del fegato, oltre che migliorare le prestazioni del sistema nervoso.

Le uova sono ricche di luteina e zeaxantina che svolgono un’azione efficace nell’impedire malattie come la degenerazione maculare (un problema della retina) associata a condizioni particolari o all’invecchiamento.

Sono quindi da sfatare tutti i miti negativi riguardo l’uovo.

Quante proteine ci sono nelle uova?

In 100 grammi di uovo sodo ci sono 13 grammi di proteine. L’albume d’uovo crudo ne ha 11 grammi, il tuorlo 16, sempre su 100 grammi. Un uovo in media pesa 60-80 grammi, dipende dalle dimensioni. Se si segue una nutrizione corretta sicuramente fino ad 1 uovo al giorno non crea alcun problema nella maggior parte delle persone.

Il metodo di cottura perfetto per le uova

Sono molto importanti i metodi di cottura. Occorre infatti tenere presente che l’albume va cotto bene per disattivare una proteina detta avidina che riduce l’assorbimento di alcune vitamine. Il tuorlo invece va cotto poco perché ricco di acidi grassi sensibili alla temperatura.

Come scegliere le uova? 

Nel caso delle uova è importante scegliere quelle da galline allevate a terra in modo naturale (uova biologiche) e magari arricchite di omega 3.

Le uova sono importanti e dovrebbero far parte, senza esagerare, di una dieta equilibrata. Hanno il pregio di costare poco, essere nutrienti e facili da cucinare, offrendo diverse alternative.

Una domanda che mi fanno spesso è “quante uova posso consumare in una settimana?”
La risposta è che dipende dalla persona e dalle esigenze, ma in un contesto di normalità e alimentazione equilibrata, si possono consumare tranquillamente fino a 7-8 uova a settimana.

L’uovo è sconsigliato solo per chi ha calcoli a livello di cistifellea perché contiene la colina, una sostanza che stimola la depurazione delle vie biliari, quindi in presenza di calcoli può dare problematiche.

L’uovo è un alimento altamente nutriente adatto a tutte le età

Adatto a tutte le età e per tutti i pasti: le uova possono essere un’ottima colazione energizzante, così come una fonte proteica del pranzo, magari in un’insalatona, oppure a cena come pietanza principale con degli ortaggi.

Aiutano a rinforzare la massa magra e le ossa, permettendo non solo una miglior definizione strutturale, ma anche e soprattutto svolgendo un’attività preventiva rispetto ai mali dell’invecchiamento, che colpiscono la fase motoria. Inoltre è ormai risaputo che le uova danno ampio senso di sazietà, consentendo di perdere peso.

Se non ci sono problematiche di intolleranze, allergie o calcolosi si possono consumare uova in quantità e frequenza superiori a quelle che vengono di norma suggerite, beneficiando quindi di un tesoro nascosto.

Contatta il Dott. Alessio Tosatto per una consulenza nutrizionale personalizzata

Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Uova, Dieta, Alimentazione
Redattore: Dott. Alessio Tosatto


skin Problem problemi della pelle dermatologia intestino

Intestino e pelle sono cardine e specchio della salute generale

L’alimentazione, la composizione del microbiota e l’integrità della barriera intestinale sono in grado di influenzare il benessere cutaneo.

La pelle è un organo molto complesso che intrattiene strette relazioni non solo con l’intestino, ma anche con il sistema nervoso, con gli organi emuntori e con il sistema immunitario. È molto raro trovare una pelle bella e luminosa in persone con disturbi del tratto digerente, ed è invece frequente trovare disturbi intestinali nelle persone che hanno disturbi della pelle. In alcuni casi è proprio la pelle a lanciare dei campanelli d’allarme per avvertirci che qualcosa nel nostro corpo non sta funzionando come dovrebbe.

La pelle è quotidianamente esposta ad una moltitudine di agenti fisici, chimici e biologici che possono alterare l’equilibrio della flora residente, favorendo sia le infezioni opportunistiche che alcuni disturbi clinici.
In caso di disturbi cutanei bisogna capire, dove possibile, quali fattori predisponenti (genetici o ambientali) e scatenanti (dieta, farmaci, tossine ambientali o allergeni) hanno generato lo squilibrio e instaurare una terapia funzionale quanto più possibile olistica e naturale.

Il Dott. Alessandro Gabriele, biologo nutrizionista in Imbio, ci spiega quali possono essere le cause di un’infiammazione cutanea e come l’alimentazione può migliorare l’aspetto della nostra pelle.

L’approccio funzionale: pelle e intestino, le nostre barriere di difesa 

L’approccio funzionale alla salute della pelle ha superato il vecchio concetto di “causa eziofisiopatologica unica” e ha individuato diversi fattori scatenanti nelle principali patologie non trasmissibili, tra le quali le alterazioni:

  • dell’ecosistema intestinale e della funzione di barriera
  • del controllo dello stress ossidativo
  • della funzione di detossificazione epatica
  • dei meccanismi di modulazione della risposta infiammatoria

L’intestino ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del nostro sistema immunitario. Una flora batterica alterata comporta uno squilibrio di tutte le funzioni di difesa del nostro organismo e di conseguenza, anche della nostra pelle.

Una pelle bella e luminosa è lo specchio della nostra salute

La pelle è un tessuto continuo che con i suoi due metri quadrati di superficie, rappresenta una delle principali barriere selettive del nostro organismo insieme alla barriera intestinale, ematoencefalica, broncopolmonare e placentare.

È impossibile avere una pelle sana e luminosa se le mucose intestinali sono infiammate o erose.
Anche le afte ricorrenti della mucosa buccale riflettono spesso problemi intestinali.

La pelle gode di due proprietà fondamentali e straordinarie: l’autoriparazione (si rigenera in seguito ad una lesione) e l’estensibilità (si adatta perfettamente alle variazioni della dimensione corporea che subentrano nel corso della vita).

La pelle assolve a moltissime funzioni importanti ed è bene prendersene cura.

Un legame emotivo tra pelle, intestino e cervello

I collegamenti tra l’intestino e la pelle sono stati approfonditi maggiormente negli ultimi decenni, ma le prime evidenze risalgono fin dagli anni ’30.  Gli stati emotivi come ansia, stress e depressione possono alterare la microflora intestinale e contribuiscono ad un’infiammazione sistemica con la ripercussione di vari eventi cutanei come eritema, orticaria e dermatite.

Per anni le malattie della pelle sono state viste e affrontate unicamente dal punto di vista dermatologico.
Oggi siamo consapevoli che la corretta funzionalità intestinale e la composizione del microbiota svolgono un ruolo di mediazione sia nell’infiammazione cutanea che nel comportamento emotivo, rafforzando la relazione tra dermatologia e salute mentale.

L’intestino, un organo chiave della nostra salute

L’intestino è un organo chiave della nostra salute, al pari del cuore o del fegato: in esso avviene una incredibile quantità di reazioni che hanno ripercussioni in tutto il corpo.  Il vero “problema” è che l’intestino raramente segnala le disfunzioni presenti; gli errori metabolici vengono trasferiti ad altri organi o a distretti diversi. Le sue funzioni vanno ben oltre l’assorbimento dei nutrienti e l’eliminazione delle scorie.

Oltre ad essere sede di importanti funzioni nervose (il cosiddetto secondo cervello), nell’intestino avviene un confronto quotidiano tra il nostro sistema immunitario e quella parte di mondo esterno che noi introduciamo sotto forma di cibo. È qui che le cellule imparano ad esercitare quella “tolleranza” la cui perdita è alla base delle intolleranze alimentari e di tutte le malattie allergiche e malattie autoimmuni.

L’intestino svolge un ruolo molto importante anche all’interno del sistema ormonale endocrino: le cellule che rivestono la mucosa intestinale producono serotonina, un neurotrasmettitore che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dell’umore, del sonno, della temperatura corporea, della sessualità e dell’appetito.

Qual’è il collegamento tra pelle e intestino?

Una flora intestinale equilibrata e diversificata produce benefici effetti a livello sistemico.
Risulta chiaro quanto sia importante conservare integre le funzioni intestinali ed in particolar modo quelle della sua microflora batterica.

Il microbiota intestinale è coinvolto in funzioni essenziali al mantenimento di un buono stato di salute come:

  • la digestione dei nutrienti
  • la regolazione del sistema immunitario
  • la produzione di vitamine
  • la sintesi di aminoacidi e neurotrasmettitori
  • la prevenzione della colonizzazione intestinale da parte di batteri patogeni
  • la regolazione della funzionalità delle strutture intestinali

Prevenire le malattie dermatologiche partendo dall’alimentazione

Un ruolo fondamentale nella prevenzione e nella cura delle malattie dermatologiche è ricoperto dall’alimentazione, alcuni disturbi della pelle possono manifestarsi proprio a causa di errate abitudini alimentari.
Il cibo contribuisce in maniera determinante al mantenimento o all’alterazione della struttura della barriera intestinale.

Un apporto energetico eccessivo, la sindrome metabolica e l’obesità causano inevitabilmente problemi alla pelle interferendo con gli assi ormonali e del sistema nervoso vegetativo. La dieta di ogni singolo individuo deve essere personalizzata in base a età, fabbisogno energetico, gusti personali, tempo a disposizione per la preparazione del cibo, patologie in corso e uso di farmaci. Anche una scarsa idratazione si rifletterà anche sulla pelle che diventerà meno luminosa e più secca.

Una dieta sana e ben bilanciata può svolgere un ruolo essenziale per combattere le manifestazioni cutanee contrastando quell’infiammazione che, da meccanismo iniziale di difesa, si è trasformata poi in causa di malattia.

Probiotici, vitamine e minerali un valido alleato anche per la salute della tua pelle

L’utilizzo razionale di probiotici aiuta a ristabilire l’equilibrio del microbiota intestinale e di conseguenza a:

  • Ridurre l’infiammazione sistemica
  • Contrastare la sindrome metabolica
  • Modulare la produzione di acidi grassi
  • minimizzare gli effetti negativi di eventuali terapie antibiotiche

È bene ricordare che non tutti i probiotici sono uguali. Il mio consiglio è sempre quello di affidarsi ad un professionista in grado di valutare la terapia più adeguata alle nostre esigenze.

La disbiosi alla base dell’insorgenza di un disturbo della pelle 

Quando è presente una disbiosi intestinale, ovvero quando la composizione qualitativa e/o quantitativa dei batteri intestinali è alterata, si creano nell’intestino le condizioni che possono compromettere l’integrità delle pareti intestinali lasciando le porte aperte a derivati alimentari nocivi, a microbi patogeni, a fattori pro-infiammatori e potenzialmente tossici che possono raggiungere il tessuto cutaneo.

Questo accumulo di segnali intestinali induce le cellule immunitarie sottocutanee a produrre molecole infiammatorie, che attivano i cheratinociti a proliferare esageratamente, causando ispessimento della pelle che può rompersi per motivi meccanici.

L’insorgenza di disturbi della pelle come:

  • l’acne
  • la psoriasi
  • le dermatiti atopiche
  • gli eczemi
  • la dermatite seborroica
  • la rosacea

potrebbero essere il risultato di un disequilibrio microbico e di una condizione di permeabilità intestinale compromessa. Risulta quindi evidente l’importanza della valutazione dello stato di salute del microbiota intestinale nell’analisi dello stato di salute della pelle.

Come si effettua il test per la disbiosi intestinale?

Attualmente sono disponibili diversi test non invasivi che consentono di indagare in maniera più o meno approfondita l’equilibrio del microbiota intestinale.

I test su campioni di feci prevedono la mappatura di specifiche sequenze del DNA di tutti i batteri presenti nel campione analizzato al fine di ricostruire la struttura dell’intero microbiota.

I test di medicina funzionale sulle urine valutano invece la presenza di prodotti del metabolismo e permettono di capire indirettamente i processi di assorbimento intestinale e l’eventuale interferenza da parte dei microrganismi patogeni.

Uno dei più utilizzati è il Disbiosi test che misura la presenza di indicano e scatolo nelle prime urine del mattino. Entrambi sono normalmente presenti in minima traccia nelle urine ma possono aumentare in maniera significativa a seguito della crescita eccessiva di alcuni componenti del microbiota o a causa di squilibri nella sua struttura.

Nello specifico, elevati quantitativi di indicano e scatolo siano indicativi di situazioni di disbiosi a carico dell’intestino tenue e del crasso e in particolar modo del colon. Sulla base della specifica alterazione riscontrata e del quadro clinico del paziente possono essere proposte misure basate su modifiche del regime alimentare e/o introduzione di probiotici nella dieta, atte a ristabilire una configurazione bilanciata del microbiota intestinale.

Pelle sana, in intestino sano

Tra le cause scatenanti delle malattie dermatologiche non vanno trascurate le carenze micronutrizionali.
Vitamine e sali minerali sono indispensabili per la sopravvivenza in salute e, se presenti nel giusto equilibrio, possono prevenire numerose patologie o migliorare alcuni sintomi e disturbi.

Un corretto sostegno alle difese immunitarie finalizzato alla salute della pelle e non solo deve puntare al mantenimento ed eventuale ripristino dei valori ematici di vitamina D, all’apporto adeguato di vitamine del gruppo B, vitamina C, zinco, magnesio, selenio e fornire un supporto adeguato alla salute intestinale con probiotici e prebiotici.

La pelle e le varie malattie infiammatorie sono quindi strettamente correlate con il benessere dell’intestino e con la sua funzione. La valutazione dello stato di salute intestinale e la ricerca di fattori scatenanti nel singolo individuo consentono di attuare interventi preventivi e di stabilire, mediante una personalizzazione dell’intervento, un percorso di cura più efficace e dai risultati più duraturi.

Richiedi il test non invasivo per la valutazione della disbiosi intestinale

Contatta il Dott. Alessandro Gabriele per una consulenza nutrizionale personalizzata

Dott. Alessandro Gabriele
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Salute della pelle, Intestino
Redattore: Dott. Alessandro Gabriele


Ottobre, il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno

Anche quest’anno torna il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno.

Ottobre è il mese dedicato alla prevenzione oncologica nella donna con una campagna di sensibilizzazione mondiale che punta i riflettori sulla lotta contro i tumori femminili e ribadisce l’importanza di una diagnosi precoce.

La diagnosi precoce è il primo gesto di prevenzione per difenderci dal tumore al seno.
La prevenzione è uno strumento indispensabile per monitorare il proprio stato di salute e per ridurre il rischio di sviluppare malattie.

Recettori per gli ormoni estrogeni e progesterone

Nella maggior parte dei casi, le cellule tumorali, hanno specifiche strutture recettoriali a cui si legano gli ormoni estrogeni e progesterone, stimolandone la crescita e la differenziazione.

I tumori con recettori per estrogeni e/o progesterone possono essere efficacemente trattati con farmaci o con terapie naturali che interferiscono sulla produzione e sull’azione ormonale.

Il continuo miglioramento delle conoscenze della biologia dei tumori mammari consente di migliorare sempre più la diagnosi e il trattamento di questa patologia, contribuendo a identificare percorsi terapeutici innovativi e personalizzati.

Un test non invasivo, per la prevenzione di patologie estrogeno-dipendenti

Imbio, in occasione del mese dedicato alla prevenzione, promuove lo screening di due particolari ormoni con un test non invasivo, su urine.

L’esame Estro-Profile è un test non invasivo su urine, che permette di effettuare il dosaggio di due tipi di ormoni, utile a diagnosticare uno squilibrio ormonale.

Oggi è possibile prevenire l’insorgenza di patologie estrogeno-dipendenti e intervenire in modo mirato e personalizzato con le terapie più indicate.

Scopri il test non invasivo, per la prevenzione di patologie estrogeno-dipendenti

Il test è consigliato a tutte le donne che presentano almeno uno tra i seguenti fattori di rischio:

  • Predisposizione genetica per il cancro al seno (BRCA1 e BRCA2 positivi)
  • Pregresso tumore al seno ormone-dipendente
  • Aumento improvviso di peso corporeo dopo la menopausa
  • Aumento del volume del seno dopo la menopausa
  • Aumento della densità mammaria (in presenza o meno di noduli)
  • Menarca precoce (prima dei 12 anni) o menopausa tardiva (oltre i 52 anni)
  • Uso prolungato di contraccettivi orali per più di 10 anni consecutivi


Prevenzione del tumore al seno

La prevenzione primaria ha l’obiettivo di individuare e poter rimuovere i fattori di rischio, le cause che contribuiscono allo sviluppo di un tumore.

Tra i principali fattori di rischio modificabili troviamo terapie ormonali sostitutive (farmaci a base di estrogeni e progesterone), obesità, vita sedentaria, alimentazione scorretta, fumo ed alcool.

Modificare lo stile di vita, significa eliminare quei fattori di rischio da cui dipendono oltre il 20% dei tumori al seno. Per tale ragione, controllare lo stile di vita è un valido strumento per la prevenzione del carcinoma mammario e di altri tumori.

“No women with breast cancer!”

La “mission” della LILT contempla anche la sensibilizzazione delle donne più giovani, affinché imparino ed effettuino mensilmente l’autopalpazione del proprio seno (come approccio informativo ed educativo alla problematica).

Per le donne con tumore al seno, è indispensabile favorire un supporto empatico, psicologico e rigenerativo-estetico sia per il superamento di questa fase di criticità della propria immagine sia a garanzia di una più lunga e migliore qualità di vita.

Scarica la brochure LILT dedicata al mese della prevenzione femminile

 

Un compito umano per un grande obiettivo: “No women with breast cancer!”
– Prof. Francesco Schittulli
Presidente nazionale LILT

 

Riferimenti: Ottobre rosa, tumore al seno, prevenzione
Redattore: IMBIO


È arrivato l’autunno, frutta e verdura per affrontare i primi freddi

È arrivato l’autunno e con i primi freddi vediamo cambiare anche i colori di frutta e verdura, che hanno un significato. Seguire la stagionalità di frutta e verdura è importante perché permette di avere un’alimentazione varia e ricca di preziosi nutrienti. Se d’estate frutta e verdura sono ricchi di sali minerali e acqua per mantenerci idratati, in autunno abbondano di vitamina C, che ci permette di aumentare le nostre difese immunitarie in vista del freddo.

La Dott.ssa Giulia Temponi, biologo nutrizionista in Imbio, ci spiega perché è meglio preferire frutta e verdura di stagione e quali sono gli alimenti da scegliere in autunno.

Perché è meglio preferire frutta e verdura di stagione?

Oggi sugli scaffali dei supermercati troviamo gli stessi ortaggi per tutto l’anno, ma quanti di questi ortaggi sono saporiti e ricchi di nutrienti?

Frutta e verdura di stagione necessitano di un minore utilizzo di pesticidi, quelli fuori stagione necessitano di più pesticidi perché vengono attaccati maggiormente dai parassiti, vengono coltivati in serre, con luce artificiale, spesso conservati in celle frigorifere e oltre ad essere meno ricchi di nutrienti e sapore, sono anche più costosi.

Frutta di stagione in autunno

In generale consiglio di non consumare la frutta dopo i pasti, ma come spuntino a metà mattina o metà pomeriggio, evitando di mischiare frutti diversi per non sommare zuccheri di tipo diverso.
Scegliete un frutto e consumatelo tra i pasti principali.

Vediamo qual è la frutta di stagione in autunno che, come tutta la frutta, andrebbe preferibilmente mangiata con la buccia, la parte più ricca di micronutrienti come vitamine e sali minerali.

Uva

L’uva è un ottimo spuntino, anche se bisogna fare attenzione all’elevato contenuto di zuccheri.
È ricca di vitamine, sali minerali, antiossidanti, acqua e polifenoli che aiutano a mantenere la pelle elastica contrastando la degradazione di collagene ed elastina.

Se si soffre di diabete o se si sta seguendo una dieta ipocalorica è meglio fare attenzione al consumo di uva, proprio per l’elevato contenuto di zuccheri. È invece perfetta dopo lo sport, per reintegrare sali minerali e vitamine persi durante l’allenamento.

Dall’uva si ricava anche l’olio di vinaccioli, ricco di acidi grassi polinsaturi, che ha una azione lassativa, tonificante e abbassa il colesterolo.

Lamponi e mirtilli 

Lamponi e mirtilli compaiono in estate, ma continuano ad essere presenti fino ad ottobre.
Sono ricchissimi di antiossidanti, fanno bene alla pelle e agli occhi. Sono poveri di zuccheri e vanno benissimo per chi ha problemi di glicemia, per chi segue diete ipocaloriche e ipoglucidiche.

Fichi

Come l’uva, anche i fichi vanno consumati con moderazione da chi soffre di sovrappeso e diabete, perché sono molto ricchi di zuccheri. Hanno proprietà lassative dovute alla presenza dei semi e sono dunque utili per la regolarità intestinale. Sono ricchi di vitamine del gruppo B e di vitamina A (o retinolo, utile anche per il benessere degli occhi), antiossidanti e sali minerali.

Pere

Le pere sono ricche di vitamina C e di fibre, che le rendono utili per la digestione e per il transito intestinale.

Hanno un elevato potere energizzante, dovuto alla presenza di zuccheri e delle vitamine B1 e B2, che favoriscono il recupero delle forze. Le pere sostengono la funzionalità intestinale, non solo grazie alla presenza di fibre, ma anche della lignina, che aiuta a prevenire l’insorgenza di tumori al colon.
Infine, la pera ha pochissime calorie, ideale per chi segue un regime ipocalorico.

Uno degli zuccheri presenti nella pera, aiuta a ridurre l’iperglicemia in quanto contribuisce ad eliminare gli zuccheri in eccesso nel sangue. Per questo motivo pur essendo un frutto abbastanza zuccherino, la pera può essere consumata anche dai diabetici anche se è sempre doveroso rivolgersi ad un professionista, in grado di stabilire la quantità adeguata.

Prugne

Come le pere e i fichi anche le prugne hanno proprietà lassative.
Migliorano inoltre la salute del fegato e aiutano a regolare i livelli di glucosio nel sangue, aumentando il senso di sazietà. Quelle viola sono anche ricche di antociani, potenti antiossidanti.

Attenzione, però, alle prugne secche, che come tutta la frutta disidratata, sono molto ricche di zuccheri.

Mele

Le mele sono perfette anche in una dieta ipocalorica, meglio ancora se verdi, perché contengono meno zuccheri dato che il grado di maturazione è più basso.
Sono ricche di polifenoli e flavonoidi, che contrastano i radicali liberi. Se consumate crude hanno proprietà astringenti, cotte, invece, stimolano il transito intestinale. Le mele cotte (così come la frutta cotta in generale) sono molto ricche di zuccheri: attenzione se si segue una dieta ipocalorica o si è diabetici.

Agrumi

Arance, mandarini, clementine, pompelmi (oltre al limone) sono ricchi di vitamina C.
Arance e mandarini vanno consumate con attenzione se seguiamo una dieta ipocalorica o ipoglucidica perché contengono molti zuccheri. Tra le proprietà, sono astringenti e contribuiscono all’assimilazione del ferro di origine vegetale. Ad esempio il succo fresco di limone è ottimo su tutte le verdure verdi, come ad esempio gli spinaci.

Verdura di stagione in autunno

Ottobre porta con sé un cambio di guardia deciso fra i banchi del mercato, dove iniziano a comparire le prime crucifere come verza e cavolo cappuccio, ortaggi che ci accompagneranno per tutto l’inverno.
Passando alle verdure di stagione in autunno, la zucca la fa da padrona, ma ci sono anche porri e sedano rapa, bietole e cipolle tutte verdure ricchissime di proprietà benefiche per la linea e per la salute.

Crucifere

Cavolfiori, broccoli, broccoletti, cavolini di Bruxelles, cavolo nero, verze contengono poche calorie, molta acqua e fibre, che aiutano a contrastare la stipsi.

Sono generalmente sconsigliate a chi soffre di meteorismo o gonfiore addominale (in particolare il cavolfiore), perché tendono a creare gas a livello addominale, ma sono ricchissime di nutrienti come potassio, fosforo, calcio, magnesio, vitamina A, C e K.

Contengono anche sulforafano, una molecola ad azione protettiva nei confronti del cancro che dà quel caratteristico odore di zolfo. Con questo non si pensi che mangiare crucifere metta al riparo dai tumori, ma certamente può aiutare a prevenirli. Inoltre le crucifere hanno una azione depurativa a livello del fegato e sono utili contro l’anemia grazie al loro contenuto di vitamina C che migliora l’assorbimento del ferro.
Insomma, forse non profumano, ma fanno molto bene.

Zucca

Insieme a melone, anguria, cetrioli e zucchine fa parte delle cucurbitacee. La zucca ha pochissime calorie, è molto nutriente e ha una azione diuretica, ma è molto zuccherina.
Quindi attenzione se siete diabetici o se seguite una dieta ipocalorica è meglio mangiarla con moderazione.

Contiene molto betacarotene, sostanza che l’organismo utilizza per sintetizzare la vitamina A, quindi ha proprietà antinfiammatorie e utili alla vista.

Anche i semi della zucca si possono consumare. I semi di zucca sono ricchi di acidi grassi essenziali, acido linoleico e omega 3 e omega 6.

Finocchi

Al contrario dei cavolfiori, i finocchi sono ottimi per chi soffre di meteorismo e gonfiori addominali.

Crudi sono uno spuntino perfetto, ricco di acqua e povero di calorie, che sazia senza appesantire.
Grazie alla presenza di sostanze estrogeniche naturali possono fornire un effetto equilibrante sui livelli ormonali femminili. Consiglio l’estratto di sedano, finocchio e zenzero altamente drenante.

Spinaci 

Gli spinaci Sono ricchi di ferro, vitamina A e acido folico, essenziale per il buon funzionamento del sistema nervoso e con la capacità di abbassare i livelli ematici di omocisteina, prevenendo disturbi come depressione, deficit mentale e problemi cardiovascolari.

Sono ottimi utilizzati sia cotti che crudi (come ad esempio negli estratti).
Un buon estratto altamente detossificante è a base di spinaci, sedano, zenzero e mela verde.

Il consiglio del nutrizionista 

La stagione autunnale ci permette di gustare tantissimi prodotti, ognuno con il proprio sapore e particolarità.
Le proprietà di frutta e verdura di stagione e i benefici di un’alimentazione varia e stagionale possono aiutarci a sostenere il nostro sistema immunitario.

Il mio consiglio è sempre quello di seguire la stagionalità degli alimenti e consumarli con un regime adeguato alle nostre necessità e al nostro stile di vita.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Autunno, Frutta e verdura di stagione
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi

Copyright by IMBIO 2017. All rights reserved.