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Dopo la Pasqua e in generale inseguito alle festività, molti si soffermano a pensare a quanti dolci e in particolare cioccolato hanno mangiato, creandosi tantissimi sensi di colpa.

Il recupero della linea e dello stato di forma in generale diventa la preoccupazione più importante, non pensando anche agli effetti legati a possibili stati infiammatori. Ebbene sì, il cioccolato può essere definito croce e delizia: piace tanto e crea quella sensazione di appagamento, tuttavia nel tempo non solo può contribuire ad un aumento di peso, ma può far sviluppare anche disagi e disturbi.

Come viene realizzato il cioccolato?

Innanzi tutto analizziamo come viene prodotto il cioccolato, partendo dalla materia prima, ovvero i semi dell’albero del cacao.

Se il cioccolato è di buona qualità viene preparato utilizzando la pasta di cacao o meglio ancora le fave di cacao. Nella produzione industriale o comunque di minor pregio qualitativo, è realizzato miscelando il burro di cacao (la parte grassa dei semi di cacao) con polvere di semi di cacao, zucchero e altri ingredienti come il latte, le mandorle, le nocciole, il pistacchio o altri aromi.

Fin dai processi di lavorazione si intuisce come la qualità del prodotto finale dipende molto anche da come la materia prima viene trattata e dalle tipologie di ingredienti utilizzate. Risulta dunque evidente come esistano diverse tipologie di cioccolato, sia dal punto di vista qualitativo che come varianti di ingredienti.

Diversi studi scientifici sembrano confermare che il consumo frequente di cioccolato può sviluppare una sorta di dipendenza detta “cioccolismo”, fenomeno associabile alla sua capacità di far produrre ormoni del piacere, tra cui in particolare endorfine e serotonina.

Quali sono le proprietà del cioccolato?

Per beneficiare delle proprietà benefiche del cioccolato è opportuno optare per quello più amaro, ovvero il cioccolato fondente. Il cioccolato fondente, grazie al suo alto contenuto di cacao, rappresenta una delle più generose fonti alimentari di flavonoidi, notevoli antiossidanti.

In genere, tanto maggiore è la percentuale di cacao nel cioccolato, tanto superiore è la presenza di flavonoidi. In media, 100 grammi di fondente ne contengono 50-60 mg, mentre in un’analoga quantità di cioccolato al latte ne ritroviamo soltanto 10 mg; addirittura nulla è invece la percentuale di flavonoidi nel cioccolato bianco.

I flavonoidi, potenti antiossidanti, hanno la capacità di limitare gli effetti negativi associati ad alti livelli di colesterolo e all’ipertensione, prevenendo quindi problematiche cardiovascolari.

Nel cioccolato di buona qualità sono da considerare buone anche le concentrazioni di fosforo, potassio e soprattutto magnesio. Anche i grassi presenti nel cioccolato fondente non sono poi così del tutto nocivi. Si potrebbe dire che gli effetti metabolici dell’acido oleico (proprietà  ipocolesterolemizzante), palmitico (effetto neutro sul colesterolo) e stearico (proprietà ipercolesterolemizzante), essendo presenti il 33 % l’uno nel cioccolato, tendono ad annullarsi vicendevolmente, avendo un impatto teoricamente neutro sulla colesterolemia.

Intolleranza all’istamina: quanto e quale cioccolato scegliere per evitare il rischio di intolleranza.

È dunque buona regola scegliere un cioccolato dal contenuto in cacao maggiore possibile. Si consiglia di iniziare con alimenti contenenti percentuali di cacao pari o superiori al 65%, aumentando poi gradualmente tale valore per dare tempo al palato di abituarsi. Dunque cioccolato sì, ma con moderazione!

Gli sportivi e a chi conduce una vita attiva possono sentirsi più liberi nel consumo, ma non sono giustificati gli eccessi. I LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (IV revisione) – consigliano una porzione media di 30 g; ma attenzione, si tratta di una quantità stabilita nel rispetto di una frequenza al consumo sporadica. Volendo consumare il cioccolato fondente tutti i giorni ci si potrebbe accontentare di una quantità compresa tra i 5 e i 15 g, ma è sconsigliabile per il rischio di sviluppare intolleranza.

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I sintomi più comuni dell’intolleranza all’istamina, sostanza chimica prodotta dall’intestino che ricopre un ruolo di primo piano nelle risposte infiammatorie, soprattutto allergiche e nella secrezione gastrica sono diversi. Attenzione infatti per chi tende a soffrire di:

  • mal di testa
  • gastrite
  • intestino irritabile
  • dissenteria
  • prurito
  • arrossamento del viso e del collo
  • orticaria
  • nausea

La reiterata introduzione di cioccolato induce una significativa liberazione di istamina che porta ad una cronicizzazione della risposta infiammatoria e il conseguente sviluppo dei sintomi prima citati.

Tale problema può essere dovuto anche ad un deficit enzimatico, ovvero un’incapacità da parte dell’organimso di produrre DAO, enzima che si occupa della disintossicazione dell’istamina (spesso il problema è legato ad una mutazione genetica che porta quindi l’organismo a non produrre tale enzima).

In altri casi l’elevata liberazione di istamina induce un eccessivo consumo di DAO che quindi non risulta più sufficiente a compiere il suo ruolo.

Dunque il consumo eccessivo di cioccolato associato ad un deficit enzimatico-genetico crea un effetto sinergico pro-infiammatorio, che porta l’istamina ad entrare con maggior impatto nel circolo sanguigno e infiammare i vari tessuti.

L’aggiunta di aromi e altre sostanze come mandorle, pistacchi e nocciole, anch’essi liberatori di istamina, può amplificare la reazione pseudoallergica e irritare maggiormente  l’organismo.

Importante quindi non eccedere con il consumo di cioccolato e nel caso di sintomi prima elencati ipotizzare alla presenza di un’intolleranza alla istamina. Necessario a quel punto verificare attraverso metodiche certificate e intervenire con una corretta gestione alimentare personalizzata, basata sulla rotazione e in alcuni casi la quasi totale astensione dei cibi istaminici tra i quali in primis, ovviamente, il cioccolato.

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Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Intolleranze alimentari, Istamina, Cioccolato, Dieta
Redattore: Dott. Alessio Tosatto

 



Molti disturbi ricorrenti e fastidiosi possono essere causati da un’intolleranza alimentare. Come capire se soffro di intolleranze alimentari?

Se vi capita di soffrire frequentemente di disturbi generali, ma ricorrenti come gonfiore, stipsi, cefalea e stanchezza cronica potreste essere soggetti ad una intolleranza alimentare.

Spesso questi sintomi si protraggono per anni, con più o meno intensità, senza trovare alcun rimedio mediante diversi approcci terapeutici e non si pone l’attenzione al fatto che tutto potrebbe essere la conseguenza di un’intolleranza ad un alimento che per il nostro organismo è nocivo.

L’intolleranza alimentare è una reazione avversa causata dall’eccessivo consumo di una sostanza, in questo caso un cibo o una categoria alimentare.

Qual’è la differenza tra intolleranza alimentare e allergia?

Capire il meccanismo delle intolleranze alimentari non è semplice. Prima di tutto è bene dire che c’è notevole differenza tra le intolleranze e le allergie.

Le allergie sono reazioni mediate da anticorpi (immunità innata) che si attivano in acuto e nell’immediato. I sintomi di un’allergia si sviluppano in pochi secondi o minuti dall’assunzione dell’alimento.

Le intolleranze possono essere considerate come una via alternativa delle allergie, caratterizzata da un’altra componente del sistema immunitario (immunità cellulare) che si sviluppa nel tempo. Quando i cibi in questione sono assunti con molta frequenza, si crea un accumulo di sostanze, la cui cronicizzazione porta allo sviluppo di vari disturbi.

In prima battuta è l’intestino l’organo coinvolto in questo processo, che a sua volta coinvolge il sistema immunitario e scatena le reazioni infiammatorie.

L’attività infiammatoria si riversa poi nel sistema circolatorio, andando a creare uno stato di infiammazione nel tempo in più distretti dell’organismo. Per questi motivi le intolleranze alimentari possono essere nominate come “allergie alimentari ritardate” e la sintomatologia correlata è ad ampio raggio.

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Perché sono intollerante a un alimento?

Le cause delle intolleranze alimentari possono essere molteplici e spesso sono difficili da definire.
Le intolleranze alimentari sono reazioni che, nella maggior parte dei casi, dipendono dalla suscettibilità individuale ad alcuni componenti sani e biologicamente non nocivi di per sé, ma ingeriti troppo frequentemente con la dieta.

Si possono distinguere diverse situazioni alla base del quadro clinico delle intolleranze.

Quali sono le intolleranze più comuni?

Tra i vari tipi di intolleranze, ci sono in particolare quelle enzimatiche, causate dalla carenza degli enzimi necessari per digerire correttamente un alimento; il soggetto quindi non si è potuto adattare alla presenza nella dieta di quel determinato alimento.

L’esempio più noto e ricorrente è il deficit di lattasi nell’intestino che è comporta essenzialmente una carente attività di degradazione del lattosio. È una forma di incapacità più o meno grave di digerire il lattosio, zucchero del latte.

La causa è dovuta alla scarsa presenza dell’enzima lattasi che si trova di solito espresso al livello dell’intestino. Il suo compito è quello di scindere il lattosio nelle sue componenti più semplici (glucosio e galattosio) per permetterne il suo corretto assorbimento.

I sintomi associabili all’intolleranza al lattosio sono numerosi:

  • dolori addominali
  • nausea
  • vomito
  • pesantezza di stomaco
  • stanchezza
  • mal di testa
  • digestione lenta
  • coliche
  • diarrea
  • stitichezza
  • meteorismo e flatulenza
  • insonnia
  • prurito e irritazioni cutanee

Questi sintomi compaiono dopo aver mangiato alimenti che contengono lattosio, ma possono cambiare da un soggetto all’altro, in quanto dipendono dalla gravità dell’intolleranza e da quanto latte o derivato è stato ingerito.

L’intolleranza al lattosio può essere genetica o acquisita in età adulta

Ci sono diverse forme di intolleranza al lattosio.

La forma più frequente di intolleranza al lattosio è per lo più genetica, quindi ereditabile e ciò significa che in una famiglia ci sono uno o più membri che presentano tale intolleranza.
L‘intolleranza genetica al lattosio porta ad avere una produzione inferiore ed in certi casi assente dell’enzima, tale per cui l’incapacità di digerire il lattosio ne diventa una conseguenza. Si può presentare in età precoce (pediatrica) con lo svezzamento del bambino con il latte di mucca che contiene ovviamente il lattosio.

Esiste anche una tipologia acquisita, tipica dell’adulto ed è correlata ad altre patologie acute, come infezioni ed infiammazioni (colite, morbo di Chron, enteriti, etc.).
L’intolleranza al lattosio acquisita in età adulta può regredire con la risoluzione della patologia originaria. Si può parlare di diversa espressione dell’enzima lattasi, andiamo da un’ipoespressione alla totale mancanza dell’enzima.

Chiaramente l’entità del deficit è correlato alla sintomatologia del paziente intollerante e alla tipologia di eventuale mutazione del gene della lattasi. Una mutazione parziale “in eterozigosi” porta ad un parziale mantenimento dell’attività enzimatica, con una mutazione completa “in omozigosi” l’attività è assente.

Si può “guarire” dall’intolleranza al lattosio?

Il metodo migliore per risolvere la problematica è in questo caso una dieta ad esclusione, rimuovendo dall’alimentazione il lattosio e tutti i cibi che lo possono contenere (attenzione quindi alle etichette).

In alcuni casi, è possibile somministrare al paziente intollerante l’enzima mancante. Questo avviene attraverso l’utilizzo di integratori che, presi prima dei pasti, possono agire sul lattosio digerendolo e sostituendo così l’enzima mancante. E’ comunque consigliabile attuare questa strategia in maniera sporadica e al bisogno e sotto il consiglio di un medico specializzato.

In alcune forme secondarie con blanda manifestazione clinica è possibile “allenare” progressivamente e gradualmente l’intestino all’esposizione del lattosio con piccole somministrazioni di alimenti contenenti lattosio e con frequenza da tarare nel tempo con un piano nutrizionale adeguato.

Latte e calcio, i miti da sfatare

Negli anni si sono creati allarmismi sul fatto che la rimozione di latte e derivati possa comportare una carenza di calcio, minerale fondamentale per le ossa e non solo.

È bene dire che le caratteristiche del latte portano in realtà a creare uno stato acidosi che inibisce l’assorbimento del calcio e per di più in molte forme di infiammazioni intestinali, derivati da forme colitiche.

Ad esempio l’irritabilità della mucosa intestinale crea un difficoltoso assorbimento di molti micronutrienti e oligoelementi tra cui il calcio. In tali situazioni il latte diventa benzina sul fuoco.

Dal punto di vista pratico è importante segnalare che ormai, nei vari supermercati, esistono numerosi prodotti senza lattosio: dal latte ai formaggi, dal burro allo yogurt, insomma ogni derivato ha la sua forma delattosata.

Il lattosio viene utilizzato anche come conservante

Se in prima battuta risulta semplice pensare ed individuare i cibi che contengono lattosio, è opportuno precisare che tale zucchero possiede anche attività di conservante quindi può essere presente in prodotti non propriamente come primo pensiero derivanti dal latte.

Insaccati, surgelati di vario tipo, merendine sono alcuni esempi, quindi attenzione alle etichette.
Dal punto di vista della palatabilità non ci sono grandi differenze con i medesimi prodotti contenenti lattosio, ma ovviamente ne trae beneficio in primis il nostro intestino e di conseguenza tutto l’organismo.

È importante quindi in casi di sintomi prima citati ipotizzare una sensibilità alimentare, facendo in primis attenzione ai latticini, uno dei capisaldi dell’alimentazione mediterranea, ma in molti casi fonte di infiammazione.

Nei casi di ipersensibilità al lattosio è bene ridurre il consumo di latticini e sostituirli con prodotti equivalenti senza lattosio. Dopo aver verificato con un test specifico la presenza di un’intolleranza (ed aver escluso l’allergia) è consigliato sottoporre la lettura del test ad un professionista che possa indicarci un piano nutrizionale adeguato alle nostre esigenze e personalizzato.

Chiedi ai nostri biologi nutrizionisti

Affidarsi ad un professionista è sicuramente un valido strumento per migliorare il proprio stato di salute, con conseguente miglioramento della qualità della vita.

 

Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Intolleranze alimentari, intolleranza al lattosio, lattosio
Redattore: Dott. Alessio Tosatto

 


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