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I probiotici non sono tutti uguali: cosa sono, quali scegliere e quando utilizzarli?

I probiotici sono batteri che popolano il nostro intestino e insieme ad altri microrganismi fanno parte del microbiota, un importantissimo sistema di difesa del nostro organismo. Un microbiota intestinale alterato, infatti, da origine ad una serie di disturbi più o meno gravi ed è quando questi disturbi si fanno sentire che solitamente sentiamo parlare di “cura probiotica”.

I probiotici sono utili contro diarrea, stipsi, intolleranze alimentari o problemi dermatologici e questa varietà di utilizzi fa intuire quanto possano essere diversi l’uno dall’altro. La scelta del probiotico deriva dai batteri che abbiamo nel nostro intestino che vengono determinati dalla nascita, dall’allattamento (attraverso cui la madre trasmette i propri microrganismi al figlio) e dallo stile di vita.

Probiotici e prebiotici sono la stessa cosa? No. La Dott.ssa Giulia Temponi, biologo nutrizionista in IMBIO, ci spiega quali sono le differenze e quando è consigliabile andare ad integrarli.

Probiotici e prebiotici: quali sono le differenze?

Spesso quando si parla di probiotici si fa confusione con i prebiotici, che però sono cosa ben diversa.

Come indica la parola stessa probiotico deriva dal greco ‘pro’ (a favore) e ‘bios’ (della vita), mentre il termine prebiotico indica qualcosa che viene prima. I prebiotici favoriscono la crescita dei probiotici svolgendo un’azione complementare. Li troviamo nelle fibre alimentari, in particolare:

  • nell’inulina, di cui sono ricchi alimenti come carote, carciofi, cicoria, agave, barbabietola, aglio e banane
  • nei fruttoligosaccaridi
  • nelle fibre lattogeniche

I probiotici sono batteri fisiologici, già presenti naturalmente nel nostro intestino crasso.
Stress, una dieta poco equilibrata, intolleranze alimentari o terapie antibiotiche possono alterare la nostra flora intestinale e diminuire la quantità di probiotici nel nostro intestino. In questi casi è consigliato integrarli con prodotti in grado di favorire la proliferazione di questi ceppi batterici.

Quali sono le famiglie di probiotici?

Con il termine probiotici si fa riferimento a diversi ceppi batterici “buoni” già naturalmente presenti nel nostro intestino. Sono i batteri coinvolti nella fermentazione lattica (“fermenti lattici”) e quelli normalmente presenti nella flora batterica intestinale (genere Bifidobacterium).
Ai probiotici viene attribuito un potenziale effetto di protezione per l’organismo e la loro presenza e quantità può cambiare in base a condizioni particolari che stiamo vivendo.

Nel nostro intestino possiamo trovare diversi batteri:

  • batteri patogeni
  • batteri potenzialmente patogeni
  • batteri benefici

Quando questi sono in una condizione di squilibrio si parla di disbiosi intestinale. I batteri benefici, nello specifico, si suddividono in tre gruppi: bifidobacteria (bifidobatteri), lactobacilli ed eubacteria (eubatteri).

A cosa servono i probiotici?

I probiotici hanno molteplici effetti positivi sul nostro organismo. La loro presenza nell’intestino migliora la qualità della nostra flora intestinale e influisce positivamente sul nostro sistema immunitario.
I probiotici sono in grado di riequilibrare la flora batterica in caso di disbiosi e soprattutto dopo una terapia antibiotica o farmaceutiche. Sembrano giocare un ruolo nella diminuzione dei livelli di colesterolo nel sangue e migliorano i sintomi delle intolleranze alimentari (diarrea, pancia gonfia, stipsi, dermatite, etc…) oltre ad essere di aiuto in caso di diverticolite, sindrome del colon irritabile e infezioni alle vie urinarie (cistite e candida).

In caso di disbiosi un’integrazione probiotica adeguata può aiutare a ripristinare lo stato di equilibrio.

Come scegliere il probiotico giusto?

Bisogna saper dunque scegliere il probiotico giusto, quello adatto a noi in quel determinato momento della vita.

Se soffri di allergie o intolleranze alimentari è necessario scegliere i probiotici specifici. In questi casi consiglio di effettuare un test genetico del microbiota, che può essere di aiuto nella scelta del probiotico più adeguato, suggerisce la Dott.ssa Giulia Temponi.

Se il problema è la frequenza e la consistenza delle evacuazioni, ci sono diversi probiotici. Ad esempio per la diarrea, la scelta si basa sul fatto che questa sia causata dall’uso di antibiotici, da un virus o da altre cause; mentre in caso di stipsi solitamente il consiglio è di assumere bidifobatteri, perché i lactobacilli hanno tendenzialmente un potere astringente.

Se una persona ha la candida, che si nutre di lieviti e zuccheri, sarà importante evitare che gli integratori contengano lieviti, mentre si privilegeranno i lactobacilli acidofili. Attenzione in questo caso al kefir, se lo assumete controllate che negli ingredienti non siano presenti lieviti aggiunti.

In caso di terapia antibiotica il consiglio è di abbinarvi una terapia probiotica con tutti e tre i ceppi, perché l’antibiotio va a distruggere la flora batterica senza distinzioni. Il consumo di alimenti che contengono naturalmente probiotici come lo yogurt o il kefir, in questi casi non è sufficiente perché contengono un solo ceppo probiotico.

Quanto deve durare una terapia probiotica?

Affinché la terapia probiotica sia efficace deve durare almeno 3-4 settimane.
Salvo diverse indicazioni i probiotici andrebbero presi prima dei pasti, sia in capsule che in bustina.

L’assunzione di probiotici di solito viene tollerata dalla maggior parte delle persone, senza particolari controindicazioni. L’importante è individuare la formulazione giusta per il tuo intestino in quel particolare momento della vita.

Dott.ssa Giulia Temponi
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Probiotici, Prebiotici, Intestino
Redattore: Dott.ssa Giulia Temponi


Gonfiore addominale: a cosa è dovuta la pancia gonfia e quali sono i rimedi?

Dopo un pasto abbondante è normale sentirsi gonfi, ma perché a volte sentiamo la pancia lievitare mangiando sano nelle giuste quantità o anche dopo un piccolo spuntino leggero? In realtà, il gonfiore addominale non è necessariamente correlato ad una cattiva alimentazione, ma l’accumulo di aria nello stomaco e nell’intestino può dipendere da vari fattori.

La presenza di un’intolleranza o un disturbo gastrointestinale deve essere approfondita con esami specifici e risolta con una terapia mirata. Tuttavia capita spesso invece che il gonfiore addominale dipenda semplicemente dalle nostre cattive abitudini.

La Dott.ssa Giulia Aliboni, biologo nutrizionista in Imbio, ci spiega quali possono essere le cause del gonfiore addominale e come intervenire per eliminare questo fastidioso disturbo.

Pancia gonfia: disturbo dell’intestino o cattive abitudini?

Oggi si stima che una persona su dieci soffra (o abbia sofferto in passato) di gonfiore addominale.
Sentirsi gonfi è poco piacevole perché rende le cose da fare meno agevoli, ma avere quell’aumentata tensione sulla parte dell’addome oltre ad essere fastidioso a livello fisico, ci rende nervosi ed irritabili.

Spesso accade che gonfiore addominale si presenta insieme ad altre condizioni, come ad esempio:

  • Flatulenza ed eruttazioni
  • Stitichezza o diarrea
  • Fitte addominali
  • Dolori alla schiena
  • Nausea e/o inappetenza
  • Difficoltà respiratorie (fiato corto)
  • Difficoltà digestive
  • Eruzioni cutanee, comparsa di psoriasi o macchie sulla pelle

Se si ha a che fare con un vero e proprio disturbo dell’apparato gastrointestinale, con un’intolleranza o una patologia il gonfiore è sempre più o meno presente in maniera costante. Se invece si tratta di un sintomo passeggero o non accompagnato da altri disturbi, molto probabilmente è collegato ad uno stile di vita “scorretto”, in particolare per quanto riguarda il cibo.

Tensione e gonfiore addominale, quali sono le cause?

Le cause che determinano il gonfiore addominale possono essere tante e diverse tra loro. È importante cercare di capire qual è la motivazione dello scatenarsi dei sintomi.

Generalmente, le cause più frequenti della pancia gonfia sono:

  • Ingestione di aria: chi mangia troppo velocemente tende a ingurgitare grandi quantità d’aria, che inevitabilmente finisce nello stomaco e nell’intestino, causando il caratteristico gonfiore addominale.
    Anche le bevande gassate contengono molta aria, che si accumula nello stomaco.
  • Alterazioni del microbiota intestinale: un mancato equilibrio della flora intestinale è molto comune in chi presenta pancia gonfia e dura. L’irregolarità intestinale, accompagnata da sintomi come stipsi e diarrea, può essere la causa diretta del gonfiore addominale.
  • Presenza di intolleranze alimentari: sono una delle cause più comuni del gonfiore persistente dopo i pasti. L’intolleranza alimentare può causare un aumento della formazione di aria intestinale ed il richiamo di liquidi nell’intestino, con conseguente sensazione di gonfiore (nota come “bloating”). Le intolleranze più comuni sono quella al lattosio, al glutine (celiachia), la gluten sensitivity e l’intolleranza all’istamina.
  • Condizioni patologiche: come infezioni batteriche e virali, morbo di Crohn o IBS (sindrome del colon irritabile), ma anche reflusso gastroesofageo.
  • Emotività e stress incidono molto sulla comparsa di gonfiore addominale (dopo tutto, si dice che l’intestino sia il secondo cervello).

La causa più frequente riguarda le abitudini alimentari e quotidiane.

Rimedi contro la pancia gonfia 

La maggior parte dei rimedi per il gonfiore addominale riguarda le nostre abitudini quotidiane.
Se il gonfiore addominale è occasionale è importante:

  • Masticare adeguatamente ai pasti aiuta la digestione e riduce di conseguenza il gonfiore addominale.
    Optare per una masticazione più lenta, più lunga ci permette di mangiare meno frettolosamente e ingurgitare meno aria. Spesso siamo costretti a consumare il pranzo o la cena pochi minuti, ma dobbiamo comunque cercare di mangiare lentamente.
  • Evitare le abbuffate e mangiare il giusto: piccoli pasti frequenti sono l’ideale per non appesantire la digestione.
  • Cerca di limitare il consumo di lieviti, legumi e bevande gasate. Consiglio inoltre di evitare le gomme da masticare, che possono causare piccole ingestioni di aria ed incrementare il gonfiore.
  • È bene consumare frutta e verdura maturi al punto giusto, che sono più digeribili. La frutta dopo i pasti aumenta la fermentazione per il suo carico di zuccheri e questo aumenta il gonfiore.
  • Attenzione alla cottura dei cibi. La cottura preferibile è quella al vapore o alla griglia. Per la cottura in padella basta avere l’accortezza di non esagerare con l’olio (per non appesantire la digestione). La distinzione da fare tra cotto e crudo dipende dai cibi stessi: la lattuga, ad esempio, è un vegetale ad alta fermentazione, così come anche il cavolo o il broccolo che andrebbero evitati per non produrre gonfiore; la valeriana o il songino invece vanno bene anche crude, così come il finocchio, consigliato in caso di gonfiore.
  • Fare movimento fisico: attiva la peristalsi intestinale, favorendo l’eliminazione e la fuoriuscita dei gas che si formano nell’intestino (è utile soprattutto se si soffre di stitichezza).
  • Ritaglia del tempo per te stesso, impara a gestire lo stress: molte persone somatizzano lo stress quotidiano a livello dell’apparato digerente.

Se i rimedi classici e più blandi non si rivelassero efficaci, è consigliabile indagare la situazione intestinale ricercando una disbiosi o una possibile intolleranza: sotto consiglio di un esperto, sarà possibile scoprire la causa del gonfiore addominale e cercare di ridurla.

Un altro valido aiuto per risanare e ripulire l’intestino è l’idrocolonterapia, un metodo efficace e naturale con acqua e ossigeno, per una pulizia profonda dell’intestino e per eliminare in una sola seduta l’aria, le tossine e i rifiuti accumulati.

Se la pancia gonfia non passa, rivolgiti ad uno specialista

Se anche seguendo questi semplici accorgimenti a tavola e praticando una regolare attività fisica non si ottiene una risultato soddisfacente, è possibile che i cibi incriminati siano solo alcuni. Per individuarli si consiglia di rivolgersi a un esperto, in grado di approfondire con analisi mirate e prescrivere una dieta personalizzata.

Un consiglio che do sempre a chi soffre di gonfiore è quello di preparare una tisana al finocchio senza zucchero  dopo cena: dovrebbe aiutare non solo a limitare la formazione di gonfiore addominale, ma anche a velocizzare la digestione.

Contatta la Dott.ssa Giulia Aliboni per una consulenza nutrizionale personalizzata

Dott.ssa Giulia Aliboni
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Pancia gonfia, Alimentazione
Redattore: Dott.ssa Giulia Aliboni


February 26, 2021 Articolodieta e nutrizione

Come si individua la sindrome del colon irritabile (IBS)?

La sindrome del colon irritabile (IBS) è un disturbo piuttosto comune: interessa circa il 10% della popolazione, ed è caratterizzata da dolori addominali, gonfiore intestinale persistente e disturbi dell’alvo, come diarrea o stitichezza.

La sindrome del colon irritabile è un disturbo fastidioso, che può peggiorare la vita dei soggetti che ne soffrono, causando in alcuni casi anche debolezza ed affaticamento.

La diagnosi di IBS viene fatta per “esclusione”: spesso i sintomi di questa malattia sono condivisi con altre condizioni patologiche dell’intestino; ed è quindi necessario indagare ed escludere prima le malattie organiche specifiche che possono avere i sintomi in comune con la sindrome dell’intestino irritabile (come morbo di Crohn, colite ulcerosa, diverticolite, celiachia, etc.).

Sindrome del colon irritabile: sintomi 

Generalmente l’IBS si manifesta con fastidiosi sintomi a cadenza cronica.

Per poter fare diagnosi di IBS si seguono i criteri diagnostici denominati Criteri di Roma: è necessario che sia presente un dolore o fastidio addominale da almeno sei mesi, con ricorrenza di almeno tre giorni al mese negli ultimi tre mesi. Inoltre, in associazione al fastidio addominale devono essere presenti almeno due dei sintomi seguenti:

  • Miglioramento della sintomatologia intestinale in seguito ad evacuazione
  • Modificazione della frequenza delle evacuazioni rispetto al periodo precedente all’insorgenza della malattia
  • Associazione con modificazione dell’aspetto delle feci

Chi soffre di Sindrome del Colon Irritabile spesso, oltre a questi sintomi soffre anche di:

  • Frequenza anomala delle evacuazioni (fino a 3-4 volte al giorno o meno di tre volte a settimana)
  • Presenza di muco nelle feci ed in seguito ad evacuazione
  • Gonfiore e/o distensione addominale
  • Evacuazione difficoltosa caratterizzata da una spinta eccessiva o da una sensazione di incompleto svuotamento intestinale

Sindrome del colon irritabile: cause

La sindrome dell’intestino irritabile può insorgere in seguito a diverse cause biologiche, ma anche cause psicologiche e sociali.

Ad esempio, possono partecipare all’insorgenza dell’IBS sia situazioni di stress psicologico e fisico, sia predisposizioni biologiche intrinseche dell’individuo (come la percezione individuale del dolore, la sensibilità agli stimoli, la flora batterica presente nell’intestino ed eventuali infezioni intestinali passate).

Inoltre, possono contribuire ai fastidi intestinali anche eventuali intolleranze o allergie alimentari, che andrebbero sempre indagate.

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Spesso, i pazienti con IBS soffrono anche di altri disturbi dell’apparato digerente (come ad esempio di malattia da reflusso gastroesofageo, sensibilità al glutine, dispepsia, difficoltà digestive).

Il trattamento per la Sindrome del colon irritabile è sempre soggettivo

Dal momento che è molto difficile attribuire una causa organica all’insorgenza dell’IBS, spesso la terapia si basa sul trattamento dei sintomi e quindi ogni caso viene trattato singolarmente.

Il professionista valuta la migliore terapia volta al trattamento dei sintomi dichiarati.

Cod’è FODMAP, la dieta per la sindrome del colon irritabile? 

Solitamente il trattamento si basa in primis su una modifica della dieta (con un percorso di educazione alimentare) e dello stile di vita; ed è spesso accompagnato da integratori, probiotici o prebiotici a seconda del singolo caso. In occasioni particolarmente gravi, il medico può anche prescrivere dei farmaci per alleviare il disturbo di stipsi o diarrea.

Uno dei trattamenti dietetici che si è dimostrato efficace nel trattamento dell’IBS è la dieta priva di FODMAP. FODMAP è un acronimo inglese e sta per: Oligosaccaridi, Disaccaridi, Monosaccaridi e Polioli Fermentabili che sono zuccheri normalmente presenti negli alimenti (per lo più in frutta, verdura e latticini) che risultano indigeribili e spesso, se assunti in quantità elevate, possono alterare la funzionalità intestinale, causando gonfiore, gas e dolore.

La dieta FODMAP è definibile come una dieta di eliminazione: sotto la supervisione di un professionista vengono eliminati per un periodo limitato tutti quegli alimenti che contengono in grande quantità gli zuccheri fermentabili.

Il periodo di eliminazione assoluta dura per un periodo di circa 3-4 settimane e dopo questo periodo seguirà una reintroduzione graduale degli alimenti eliminati, un gruppo alla volta. Man mano che si reintroducono gradualmente gli alimenti è necessario tenere sotto controllo i sintomi, al fine di comprendere qual è il gruppo che causa il maggiore fastidio.

Quali sono gli alimenti da evitare se soffri di Colon Irritabile?

Tra gli alimenti che generalmente vengono eliminati dalla dieta abituale quando si soffre di sindrome da colon irritabile troviamo:

  • mango
  • angurie
  • mele
  • pere
  • asparagi
  • cipolla
  • aglio
  • porri
  • cavolo verza
  • cavolfiore e cavoli
  • radicchio
  • latte e derivati
  • legumi
  • cereali integrali e con glutine

Quali sono gli alimenti permessi se soffri di Colon Irritabile?

Tra gli alimenti concessi quando si soffre di sindrome da colon irritabile invece troviamo:

  • banane
  • agrumi
  • zucchine
  • zucca
  • lattuga
  • cetrioli
  • finocchio
  • sedano
  • piselli verdi
  • carne e pesce freschi
  • tofu
  • formaggi senza lattosio
  • riso
  • grano saraceno

In realtà ogni soggetto è da prendere in considerazione singolarmente: gli alimenti che generalmente non danno fastidio a qualcuno possono scatenare una fastidiosa sintomatologia in qualcun altro. Per questo è necessario affidarsi solo a professionisti, che possano preparare un piano alimentare adeguato che non sia carente in macro e micro nutrienti e che possa essere costruito su misura.

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Dott.ssa Giulia Aliboni
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Reflusso gastroesofageo, disturbi digestione, alimentazione, Reflusso gastrico
Redattore: Dott.ssa Giulia Aliboni


L’acne è un disturbo comune della pelle che indica uno squilibrio della secrezione sebacea della cute. Oggi è possibile individuare le cause con delle semplici analisi ed attuare rimedi mirati e personalizzati 

L’acne è una condizione patologica della pelle che si manifesta con la comparsa di brufoli, foruncoli, punti neri e punti bianchi sulla pelle del viso e del corpo. Chi ne soffre di più sono adolescenti e giovani adulti, ma esistono anche casi di adulti che soffrono di acne (si parla in questi casi di acne tardiva).

Insieme alla comparsa di brufoli e punti neri, possono anche comparire comedoni, cisti, arrossamenti e noduli. Anche una pelle grassa e perennemente lucida è indicativa di uno squilibrio della secrezione sebacea della cute. Alcune pelli tendono a produrre fisiologicamente più sebo, ed in questo caso si è più inclini a sviluppare acne.

Le cause che portano allo sviluppo di acne sono diverse:

  • ormonali
  • alimentari
  • stress
  • genetica
  • batteriche
  • di caratteristiche intrinseche della pelle

Perché si manifesta l’acne? Il ruolo degli ormoni con l’acne 

L’acne si manifesta a causa di un aumento della produzione di sebo e cheratina a livello del follicolo pilifero, dove possono crescere e svilupparsi infezioni batteriche, che causano l’arrossamento e la comparsa del pus.

Il Propionibacterium acnes è un batterio che, in condizioni fisiologiche, si trova sulla cute come commensale. Se però i pori cutanei si costruiscono (ad esempio per un’eccessiva produzione di sebo) il P.acnes è in grado di svilupparsi in maniera incontrollata, causando infiammazione della cute e la comparsa del pus.

Squilibri nella secrezione di ormoni possono portare ad una maggiore produzione di sebo

Per quanto riguarda le cause ormonali, possono esserci degli squilibri nella secrezione di ormoni che portano ad un aumento della produzione di sebo, e questo favorisce la comparsa dell’acne. Per questo motivo l’acne colpisce spesso i giovani durante la pubertà: è in questo momento della vita che la secrezione ormonale inizia a cambiare e quindi si può avere un’influenza sulla produzione di sebo.

In pubertà aumenta la secrezione di testosterone, che nei maschi provoca la crescita degli organi genitali e nelle femmine causa un aumento della massa muscolare e della densità ossea. Il testosterone spesso influenza la comparsa dell’acne (è la principale causa di acne giovanile).

Superata la pubertà, gli squilibri ormonali non riguardano quasi mai il testosterone, ma altri ormoni.

L’acne tardiva colpisce per di più le donne (nel 75-85% dei casi), proprio perché mentre nell’uomo ad un certo punto della vita la secrezione ormonale si stabilizza e rimane più o meno costante, nella donna continua a fluttuare, per via del ciclo mestruale (la comparsa di brufoli prima delle mestruazioni è molto comune).  Inoltre, nella donna ci sono altre due situazioni che possono influenzare la produzione ormonale: la gravidanza e la menopausa.

Lo stress provoca un aumento del cortisolo, che influenza la produzione di sebo

Anche lo stress influisce sullo sviluppo dell’acne, provocando un aumento del cortisolo (l’ormone dello stress, prodotto dalle ghiandole surrenali). Anche in questo caso si parla quindi di cause ormonali dell’acne, perché con l’aumento di ormoni in circolo le ghiandole sebacee sono stimolate a produrre più sebo e ciò facilita la comparsa di acne.

Il cortisolo, l’ormone dello stress e le impurità della pelle

Anche i cosmetici sbagliati possono causare acne. Cosmetici ed acne: scegliere sempre quelli giusti per la propria pelle 

L’uso di farmaci e cosmetici inadeguati può promuovere l’insorgenza di impurità della pelle. Il cortisone, il testosterone e gli anabolizzanti fanno parte della categoria di farmaci che hanno un effetto sulla produzione di acne; allo stesso modo l’uso di prodotti cosmetici inadeguati ed una mancata e/o corretta detersione del viso possono contribuire all’ostruzione dei pori e favorire la proliferazione batterica.

Alimentazione ed acne 

Anche l’alimentazione può avere un ruolo chiave nell’alterazione dell’equilibrio della pelle: l’acne può svilupparsi a causa di un’intolleranza alimentare (spesso l’intolleranza riguarda il latte, il formaggio o la farina di frumento); oppure a causa di una dieta sbilanciata, ricca in grassi saturi, che fanno a sovraccaricare il fegato.

Inoltre, una dieta eccessivamente ricca in grassi saturi di origine animale può aumentare la sintesi degli ormoni derivanti dal colesterolo, tra cui citiamo: mineralcorticoidi, glucocorticoidi (es: cortisolo), androgeni (es: testosterone, diidrosterone), progestinici ed estrogeni.

Inoltre, sia le intolleranze che una dieta ricca di grassi saturi e prodotti processati, alimentano l’infiammazione generale, che sicuramente facilita gli squilibri cutanei.

Come tutte le patologie inoltre, lo sviluppo di acne può avvenire anche su base genetica: ci sono alcuni polimorfismi che, più di altri, predispongono all’iperproduzione di sebo.

Cure e rimedi per combattere l’acne 

Quindi, per poter affrontare al meglio l’acne e trovare una cura efficace, è importante capire la principale causa che lo provoca. Il professionista potrà prescrivere diversi esami ematici, salivari e delle urine per valutare il dosaggio degli ormoni coinvolti nell’aumento della produzione di sebo, ed eventualmente il grado di infiammazione del soggetto.

È utile anche testare le intolleranze alimentari, per capire se l’acne ha origine da alcuni cibi in particolare, ad esempio mediante l’ALCAT TEST®, un test citotossico approvato dalla FDA.

Una volta compreso il tipo di acne e la causa, ci sono diverse strategie terapeutiche che possono essere applicate. Quello che vale in generale è:

  • Bere molta acqua
  • Evitare cibi ricchi in zuccheri e prediligere una dieta a basso carico glicemico
  • Consumare cereali integrali, frutta e verdura quotidianamente
  • Diminuire il consumo grassi saturi
  • Alternare il consumo di proteine animali al consumo di proteine vegetali
  • Utilizzare prodotti cosmetici adeguati per la detersione del viso

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È importante rivolgersi sempre ad un professionista già dai primi sintomi dell’acne, per poter intervenire e migliorare l’aspetto della pelle, per ridurre l’infiammazione e per evitare che si formino cicatrici sulla cute.

 

Dott.ssa Giulia Aliboni
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Acne, pelle seborroica, problemi della pelle, intolleranze alimentari, ormoni
Redattore: Dott.ssa Giulia Aliboni


November 16, 2020 ArticoloSistema immunitario

afte ricorrenti bambino con afte in bocca

Le afte ricorrenti possono essere sintomo di altre patologie. Cosa sono le afte? Come possiamo prevenirle?

L’afta è un’ulcerazione delle mucose della bocca che può essere di dimensioni più o meno grandi, e può comparire isolata o in più punti.

Il disturbo che vede la comparsa di afte è chiamato aftosi o stomatite aftosa. Le lesioni possono comparire in diversi punti della bocca: sulle gengive, sopra o sotto la lingua, sul palato, sulle labbra o in prossimità delle tonsille.

L’aftosi è un fenomeno molto diffuso e fastidioso, soprattutto se frequente. Infatti le afte tendono a dare dolore durante il consumo di cibi e bevande e, nonostante spesso guariscano da sole, diventano un disturbo noioso, soprattutto se recidivante.

Alimentazione, sistema immunitario indebolito o intolleranze alimentari possono essere la causa delle afte ricorrenti. Come posso prevenire le afte?

Le afte tendono a comparire quando c’è una situazione infiammatoria generale: questa può essere causata da molti fattori, come patologie, una depressione del sistema immunitario, agenti esterni, disbiosi, oppure si può avere un’infiammazione causata dal cibo stesso.

Spesso inoltre, periodi di stress e stanchezza particolari facilitano la formazione di afte.

La comparsa delle afte è spesso correlata con il cibo che assumiamo: possiamo trovarci in una situazione di infiammazione intestinale che non permette il corretto assorbimento di alcuni nutrienti; oppure semplicemente stiamo seguendo una dieta non adeguata ai nostri fabbisogni.

Ad esempio, chi soffre di afte spesso è carente in ferro, folati, vitamina B6, vitamina B12 e vitamina D rispetto a chi non manifesta questo disturbo. In aggiunta, un ridotto apporto di frutta e verdura fresca e il mancato introito di carboidrati integrali o legumi possono peggiorare una situazione di disagio intestinale.

L’aftosi può anche essere collegata con una sensibilità al glutine o una celiachia nascosta.

Cosa fare in caso di afte e quali sono possono essere le cause nascoste?

Controllare l’infiammazione generale è sicuramente un’ottima strategia per ridurre la stomatite aftosa.
La riduzione dell’infiammazione indotta da alimenti in questo caso è fondamentale e, a questo proposito, può tornare utile un test che vada a verificare eventuali intolleranze alimentari.

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Si può approfondire la questione della celiachia con un test genetico che indaga un’eventuale alterazione nei geni del DQ2/DQ8: in questo modo si può capire se c’è una mutazione completa o parziale o una predisposizione a sviluppare celiachia. In questo caso sarà opportuno regolarsi con il consumo di alimenti contenenti glutine.

Inoltre, un esame specifico delle urine può chiarire la possibilità di un’eventuale disbiosiindice di un equilibrio alterato a livello del microbiota, che può essere una delle cause per cui si formano afte recidivanti.

Sicuramente una dieta equilibrata e un giusto apporto di fibra, alimenti anti-infiammatori e vegetali freschi possono essere un buon modo per combattere il disturbo, così come in alcuni casi può essere ottimo utilizzare probiotici specificie integrare correttamente con vitamina D.

Anche una carenza di vitamina B12 può causare aftosi: questa vitamina si trova solo in alimenti di origine animale, per cui chi segue una dieta vegana (quindi totalmente priva di prodotti di origine animale) potrebbe incorrere in questo disturbo.

Ogni caso, comunque, va valutato attentamente e deve essere affrontato in maniera specifica con l’aiuto di uno specialista. È opportuno rivolgersi a chi di competenza, fare le giuste indagini e curare la stomatite aftosa recidivante a partire dalla causa e non dal sintomo.

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Dott.ssa Giulia Aliboni
Biologo nutrizionista

Riferimenti: Afte, Stomatite, Allergie, Intolleranze alimentari, Disbiosi
Redattore: Dott.ssa Giulia Aliboni


Dopo la Pasqua e in generale inseguito alle festività, molti si soffermano a pensare a quanti dolci e in particolare cioccolato hanno mangiato, creandosi tantissimi sensi di colpa.

Il recupero della linea e dello stato di forma in generale diventa la preoccupazione più importante, non pensando anche agli effetti legati a possibili stati infiammatori. Ebbene sì, il cioccolato può essere definito croce e delizia: piace tanto e crea quella sensazione di appagamento, tuttavia nel tempo non solo può contribuire ad un aumento di peso, ma può far sviluppare anche disagi e disturbi.

Come viene realizzato il cioccolato?

Innanzi tutto analizziamo come viene prodotto il cioccolato, partendo dalla materia prima, ovvero i semi dell’albero del cacao.

Se il cioccolato è di buona qualità viene preparato utilizzando la pasta di cacao o meglio ancora le fave di cacao. Nella produzione industriale o comunque di minor pregio qualitativo, è realizzato miscelando il burro di cacao (la parte grassa dei semi di cacao) con polvere di semi di cacao, zucchero e altri ingredienti come il latte, le mandorle, le nocciole, il pistacchio o altri aromi.

Fin dai processi di lavorazione si intuisce come la qualità del prodotto finale dipende molto anche da come la materia prima viene trattata e dalle tipologie di ingredienti utilizzate. Risulta dunque evidente come esistano diverse tipologie di cioccolato, sia dal punto di vista qualitativo che come varianti di ingredienti.

Diversi studi scientifici sembrano confermare che il consumo frequente di cioccolato può sviluppare una sorta di dipendenza detta “cioccolismo”, fenomeno associabile alla sua capacità di far produrre ormoni del piacere, tra cui in particolare endorfine e serotonina.

Quali sono le proprietà del cioccolato?

Per beneficiare delle proprietà benefiche del cioccolato è opportuno optare per quello più amaro, ovvero il cioccolato fondente. Il cioccolato fondente, grazie al suo alto contenuto di cacao, rappresenta una delle più generose fonti alimentari di flavonoidi, notevoli antiossidanti.

In genere, tanto maggiore è la percentuale di cacao nel cioccolato, tanto superiore è la presenza di flavonoidi. In media, 100 grammi di fondente ne contengono 50-60 mg, mentre in un’analoga quantità di cioccolato al latte ne ritroviamo soltanto 10 mg; addirittura nulla è invece la percentuale di flavonoidi nel cioccolato bianco.

I flavonoidi, potenti antiossidanti, hanno la capacità di limitare gli effetti negativi associati ad alti livelli di colesterolo e all’ipertensione, prevenendo quindi problematiche cardiovascolari.

Nel cioccolato di buona qualità sono da considerare buone anche le concentrazioni di fosforo, potassio e soprattutto magnesio. Anche i grassi presenti nel cioccolato fondente non sono poi così del tutto nocivi. Si potrebbe dire che gli effetti metabolici dell’acido oleico (proprietà  ipocolesterolemizzante), palmitico (effetto neutro sul colesterolo) e stearico (proprietà ipercolesterolemizzante), essendo presenti il 33 % l’uno nel cioccolato, tendono ad annullarsi vicendevolmente, avendo un impatto teoricamente neutro sulla colesterolemia.

Intolleranza all’istamina: quanto e quale cioccolato scegliere per evitare il rischio di intolleranza.

È dunque buona regola scegliere un cioccolato dal contenuto in cacao maggiore possibile. Si consiglia di iniziare con alimenti contenenti percentuali di cacao pari o superiori al 65%, aumentando poi gradualmente tale valore per dare tempo al palato di abituarsi. Dunque cioccolato sì, ma con moderazione!

Gli sportivi e a chi conduce una vita attiva possono sentirsi più liberi nel consumo, ma non sono giustificati gli eccessi. I LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (IV revisione) – consigliano una porzione media di 30 g; ma attenzione, si tratta di una quantità stabilita nel rispetto di una frequenza al consumo sporadica. Volendo consumare il cioccolato fondente tutti i giorni ci si potrebbe accontentare di una quantità compresa tra i 5 e i 15 g, ma è sconsigliabile per il rischio di sviluppare intolleranza.

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I sintomi più comuni dell’intolleranza all’istamina, sostanza chimica prodotta dall’intestino che ricopre un ruolo di primo piano nelle risposte infiammatorie, soprattutto allergiche e nella secrezione gastrica sono diversi. Attenzione infatti per chi tende a soffrire di:

  • mal di testa
  • gastrite
  • intestino irritabile
  • dissenteria
  • prurito
  • arrossamento del viso e del collo
  • orticaria
  • nausea

La reiterata introduzione di cioccolato induce una significativa liberazione di istamina che porta ad una cronicizzazione della risposta infiammatoria e il conseguente sviluppo dei sintomi prima citati.

Tale problema può essere dovuto anche ad un deficit enzimatico, ovvero un’incapacità da parte dell’organimso di produrre DAO, enzima che si occupa della disintossicazione dell’istamina (spesso il problema è legato ad una mutazione genetica che porta quindi l’organismo a non produrre tale enzima).

In altri casi l’elevata liberazione di istamina induce un eccessivo consumo di DAO che quindi non risulta più sufficiente a compiere il suo ruolo.

Dunque il consumo eccessivo di cioccolato associato ad un deficit enzimatico-genetico crea un effetto sinergico pro-infiammatorio, che porta l’istamina ad entrare con maggior impatto nel circolo sanguigno e infiammare i vari tessuti.

L’aggiunta di aromi e altre sostanze come mandorle, pistacchi e nocciole, anch’essi liberatori di istamina, può amplificare la reazione pseudoallergica e irritare maggiormente  l’organismo.

Importante quindi non eccedere con il consumo di cioccolato e nel caso di sintomi prima elencati ipotizzare alla presenza di un’intolleranza alla istamina. Necessario a quel punto verificare attraverso metodiche certificate e intervenire con una corretta gestione alimentare personalizzata, basata sulla rotazione e in alcuni casi la quasi totale astensione dei cibi istaminici tra i quali in primis, ovviamente, il cioccolato.

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Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Intolleranze alimentari, Istamina, Cioccolato, Dieta
Redattore: Dott. Alessio Tosatto

 



Molti disturbi ricorrenti e fastidiosi possono essere causati da un’intolleranza alimentare. Come capire se soffro di intolleranze alimentari?

Se vi capita di soffrire frequentemente di disturbi generali, ma ricorrenti come gonfiore, stipsi, cefalea e stanchezza cronica potreste essere soggetti ad una intolleranza alimentare.

Spesso questi sintomi si protraggono per anni, con più o meno intensità, senza trovare alcun rimedio mediante diversi approcci terapeutici e non si pone l’attenzione al fatto che tutto potrebbe essere la conseguenza di un’intolleranza ad un alimento che per il nostro organismo è nocivo.

L’intolleranza alimentare è una reazione avversa causata dall’eccessivo consumo di una sostanza, in questo caso un cibo o una categoria alimentare.

Qual’è la differenza tra intolleranza alimentare e allergia?

Capire il meccanismo delle intolleranze alimentari non è semplice. Prima di tutto è bene dire che c’è notevole differenza tra le intolleranze e le allergie.

Le allergie sono reazioni mediate da anticorpi (immunità innata) che si attivano in acuto e nell’immediato. I sintomi di un’allergia si sviluppano in pochi secondi o minuti dall’assunzione dell’alimento.

Le intolleranze possono essere considerate come una via alternativa delle allergie, caratterizzata da un’altra componente del sistema immunitario (immunità cellulare) che si sviluppa nel tempo. Quando i cibi in questione sono assunti con molta frequenza, si crea un accumulo di sostanze, la cui cronicizzazione porta allo sviluppo di vari disturbi.

In prima battuta è l’intestino l’organo coinvolto in questo processo, che a sua volta coinvolge il sistema immunitario e scatena le reazioni infiammatorie.

L’attività infiammatoria si riversa poi nel sistema circolatorio, andando a creare uno stato di infiammazione nel tempo in più distretti dell’organismo. Per questi motivi le intolleranze alimentari possono essere nominate come “allergie alimentari ritardate” e la sintomatologia correlata è ad ampio raggio.

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Perché sono intollerante a un alimento?

Le cause delle intolleranze alimentari possono essere molteplici e spesso sono difficili da definire.
Le intolleranze alimentari sono reazioni che, nella maggior parte dei casi, dipendono dalla suscettibilità individuale ad alcuni componenti sani e biologicamente non nocivi di per sé, ma ingeriti troppo frequentemente con la dieta.

Si possono distinguere diverse situazioni alla base del quadro clinico delle intolleranze.

Quali sono le intolleranze più comuni?

Tra i vari tipi di intolleranze, ci sono in particolare quelle enzimatiche, causate dalla carenza degli enzimi necessari per digerire correttamente un alimento; il soggetto quindi non si è potuto adattare alla presenza nella dieta di quel determinato alimento.

L’esempio più noto e ricorrente è il deficit di lattasi nell’intestino che è comporta essenzialmente una carente attività di degradazione del lattosio. È una forma di incapacità più o meno grave di digerire il lattosio, zucchero del latte.

La causa è dovuta alla scarsa presenza dell’enzima lattasi che si trova di solito espresso al livello dell’intestino. Il suo compito è quello di scindere il lattosio nelle sue componenti più semplici (glucosio e galattosio) per permetterne il suo corretto assorbimento.

I sintomi associabili all’intolleranza al lattosio sono numerosi:

  • dolori addominali
  • nausea
  • vomito
  • pesantezza di stomaco
  • stanchezza
  • mal di testa
  • digestione lenta
  • coliche
  • diarrea
  • stitichezza
  • meteorismo e flatulenza
  • insonnia
  • prurito e irritazioni cutanee

Questi sintomi compaiono dopo aver mangiato alimenti che contengono lattosio, ma possono cambiare da un soggetto all’altro, in quanto dipendono dalla gravità dell’intolleranza e da quanto latte o derivato è stato ingerito.

L’intolleranza al lattosio può essere genetica o acquisita in età adulta

Ci sono diverse forme di intolleranza al lattosio.

La forma più frequente di intolleranza al lattosio è per lo più genetica, quindi ereditabile e ciò significa che in una famiglia ci sono uno o più membri che presentano tale intolleranza.
L‘intolleranza genetica al lattosio porta ad avere una produzione inferiore ed in certi casi assente dell’enzima, tale per cui l’incapacità di digerire il lattosio ne diventa una conseguenza. Si può presentare in età precoce (pediatrica) con lo svezzamento del bambino con il latte di mucca che contiene ovviamente il lattosio.

Esiste anche una tipologia acquisita, tipica dell’adulto ed è correlata ad altre patologie acute, come infezioni ed infiammazioni (colite, morbo di Chron, enteriti, etc.).
L’intolleranza al lattosio acquisita in età adulta può regredire con la risoluzione della patologia originaria. Si può parlare di diversa espressione dell’enzima lattasi, andiamo da un’ipoespressione alla totale mancanza dell’enzima.

Chiaramente l’entità del deficit è correlato alla sintomatologia del paziente intollerante e alla tipologia di eventuale mutazione del gene della lattasi. Una mutazione parziale “in eterozigosi” porta ad un parziale mantenimento dell’attività enzimatica, con una mutazione completa “in omozigosi” l’attività è assente.

Si può “guarire” dall’intolleranza al lattosio?

Il metodo migliore per risolvere la problematica è in questo caso una dieta ad esclusione, rimuovendo dall’alimentazione il lattosio e tutti i cibi che lo possono contenere (attenzione quindi alle etichette).

In alcuni casi, è possibile somministrare al paziente intollerante l’enzima mancante. Questo avviene attraverso l’utilizzo di integratori che, presi prima dei pasti, possono agire sul lattosio digerendolo e sostituendo così l’enzima mancante. E’ comunque consigliabile attuare questa strategia in maniera sporadica e al bisogno e sotto il consiglio di un medico specializzato.

In alcune forme secondarie con blanda manifestazione clinica è possibile “allenare” progressivamente e gradualmente l’intestino all’esposizione del lattosio con piccole somministrazioni di alimenti contenenti lattosio e con frequenza da tarare nel tempo con un piano nutrizionale adeguato.

Latte e calcio, i miti da sfatare

Negli anni si sono creati allarmismi sul fatto che la rimozione di latte e derivati possa comportare una carenza di calcio, minerale fondamentale per le ossa e non solo.

È bene dire che le caratteristiche del latte portano in realtà a creare uno stato acidosi che inibisce l’assorbimento del calcio e per di più in molte forme di infiammazioni intestinali, derivati da forme colitiche.

Ad esempio l’irritabilità della mucosa intestinale crea un difficoltoso assorbimento di molti micronutrienti e oligoelementi tra cui il calcio. In tali situazioni il latte diventa benzina sul fuoco.

Dal punto di vista pratico è importante segnalare che ormai, nei vari supermercati, esistono numerosi prodotti senza lattosio: dal latte ai formaggi, dal burro allo yogurt, insomma ogni derivato ha la sua forma delattosata.

Il lattosio viene utilizzato anche come conservante

Se in prima battuta risulta semplice pensare ed individuare i cibi che contengono lattosio, è opportuno precisare che tale zucchero possiede anche attività di conservante quindi può essere presente in prodotti non propriamente come primo pensiero derivanti dal latte.

Insaccati, surgelati di vario tipo, merendine sono alcuni esempi, quindi attenzione alle etichette.
Dal punto di vista della palatabilità non ci sono grandi differenze con i medesimi prodotti contenenti lattosio, ma ovviamente ne trae beneficio in primis il nostro intestino e di conseguenza tutto l’organismo.

È importante quindi in casi di sintomi prima citati ipotizzare una sensibilità alimentare, facendo in primis attenzione ai latticini, uno dei capisaldi dell’alimentazione mediterranea, ma in molti casi fonte di infiammazione.

Nei casi di ipersensibilità al lattosio è bene ridurre il consumo di latticini e sostituirli con prodotti equivalenti senza lattosio. Dopo aver verificato con un test specifico la presenza di un’intolleranza (ed aver escluso l’allergia) è consigliato sottoporre la lettura del test ad un professionista che possa indicarci un piano nutrizionale adeguato alle nostre esigenze e personalizzato.

Chiedi ai nostri biologi nutrizionisti

Affidarsi ad un professionista è sicuramente un valido strumento per migliorare il proprio stato di salute, con conseguente miglioramento della qualità della vita.

 

Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Intolleranze alimentari, intolleranza al lattosio, lattosio
Redattore: Dott. Alessio Tosatto

 



celiachia e sensibilità al glutine

Da diversi anni, e con parecchia insistenza negli ultimi tempi, si sente parlare sempre più spesso di celiachia, di alimenti senza glutine, di diete gluten-free e di intolleranze al glutine.
Il Ministero della Salute italiano ha rilevato che i casi diagnosticati di celiachia nel nostro paese sono 206.561 con un aumento medio di 10.000 diagnosi l’anno.

La scelta di diversi brand alimentari anche molto rinomati, di mettere in commercio prodotti senza glutine è una conferma che il tema è sempre più oggetto di discussione, ma come distinguere una vera intolleranza da una sensibilità al glutine?

In questo articolo cercheremo di spiegare meglio la differenza tra celiachia e sensibilità al glutine, condizione la cui esistenza è stata ufficializzata nel 2011 in una conferenza tra ricercatori e gastroenterologi di tutto il mondo.

Cos’è il glutine?

Il Glutine è un complesso alimentare costituito principalmente da proteine e lo troviamo soprattutto in alcuni cereali come frumento, grano, farro, orzo, segale, kamut e avena.
Tra gli alimenti senza glutine invece troviamo il riso, il mais, il grano saraceno, il miglio, l’amaranto, la quinoa, la manioca, il teff e il sorgo.

Qual’è la differenza tra celiachia e sensibilità al glutine?

La celiachia è un’intolleranza al glutine determinata geneticamente, che causa una distruzione della mucosa intestinale. In questo caso l’unica terapia possibile è l’esclusione completa dalla dieta dei cereali che contengono il glutine e loro derivati (pane, pasta, prodotti da forno ecc.)

L’intolleranza al glutine è una delle malattie genetiche a maggior rilevanza epidemiologica.
Oggi, grazie al test genetico è possibile diagnosticarla in modo semplice e non invasivo a qualsiasi età.

Al contrario la sensibilità al glutine non ha una componente genetica, ma è una condizione che presenta gli stessi sintomi della celiachia:

  • stipsi
  • dissenteria frequente
  • dermatite
  • afte orali ricorrenti
  • infezioni virali recidivanti (herpes, mononucleosi)
  • tendenza al diabete
  • disturbi neurologici
  • aborti ripetuti
  • difficoltà nel concepimento

Nel caso di sensibilità al glutine non è necessaria la completa esclusione del glutine dalla dieta. In questo caso i disturbi si possono ridurre notevolmente con una dieta a rotazione pensata su misura per noi da un esperto nutrizionista, che prevede la sospensione e il graduale reinserimento degli alimenti contenenti glutine.

In questo contesto diventa molto importante anche il test di presenza o di attivazione di virus come gli herpes o quelli responsabili mononucleosi, effettuato attraverso un prelievo di sangue venoso.
La loro presenza, infatti, è collegata al manifestarsi della celiachia e della sensibilità al glutine.

Come faccio a capire se soffro di celiachia o se si tratta di sensibilità al glutine?

Se pensi di soffrire di celiachia o sensibilità al glutine, è possibile verificare con un semplice test genetico non invasivo la predisposizione genetica alla celiachia e intervenire in modo mirato con un percorso nutrizionale adeguato alle proprie esigenze.

Scopri i nostri test genetici a domicilio oppure prenota una consulenza con il nostro specialista

Riferimenti: Celiachia, gluten sensitivity, sensibilità al glutine
Redattore: Dott. Gabriele Coppo


January 21, 2020 EventiUncategorized

Non solo intolleranze alimentari

Siamo lieti di invitarvi all’ open day intolleranze Giovedì 30 gennaio presso l’istituto Frontis di Roma

Alcuni dei temi dell’Open Day saranno i sintomi correlati alle intolleranze, come scoprire se siamo intolleranti e come affrontare questi disturbi.

Per l’occasione, a tutti i partecipanti verrano offerte:

  • una consulenza specialistica gratuita
  • una promozione esclusiva su tutti i test di intolleranze

Vi aspettiamo giovedì 30 gennaio, presso l’istituto di medicina del Benessere Frontis in via dei Prati Fiscali, 215 – Roma

Per informazioni e registrazioni:
Tel. 06-88640.002



December 21, 2019 ArticoloattualitàMagazine

È di poche ore fa la notizia dei controlli dei NAS nelle mense, sui servizi di ristorazione e delle imprese di catering assegnatari della gestione mense presso gli istituti scolastici.

Le ispezioni dei NAS hanno riguardato 968 aziende di ristorazione, di cui 198 hanno evidenziato irregolarità e in più hanno portato al sequestro di 21 imprese di catering e di 900 kg di alimenti (carni, formaggi, frutta, ortaggi, olio).

Questi accertamenti hanno rilevato l’utilizzo di prodotti di bassa qualità, infatti spesso sono gli alimenti DOP o biologici (formaggi, olio extravergine ecc.) ad essere sostituiti con altri di minore valore economico.

Ancora più grave, in molti casi non venivano rispettate le norme sulle allergie. Nelle cucine la preparazione di pasti privi di allergeni avveniva in modo indistinto con le pietanze convenzionali, rappresentando un potenziale rischio di contaminazione.

Questi aspetti e la negligenza di questi operatori, vanno considerati con la dovuta preoccupazione, non solo da persone con allergie conclamate, ma da tutti coloro che sono venuti a contatto con questi alimenti contaminati e di bassa qualità.

Il contatto prolungato con alimenti di bassa qualità, conservati male e contaminati oltre ad aumentare il rischio di contagio di batteri (E. coli, Staffilococco aureo ecc.) e virus (Epatite A e E, Rotavirus ecc.), per via del contenuto di sostanze liberatrici di istamina, può causare intolleranze alimentari e manifestazioni di stati allergici dovuti all’infiammazione.

Qual’è la differenza tra intolleranze e allergie?

Le intolleranze alimentari sono dovute a una reazione anomala dell’organismo ad una sostanza estranea, mentre le allergie sono causate da una reazione esagerata del sistema immunitario nei confronti di ciò che entra in contatto con l’organismo.

Come faccio a sapere se sono allergico o intollerante?

Oggi è possibile verificare intolleranze o allergie con un semplice test attraverso un semplice prelievo di sangue venoso.  Con il test per allergie e intolleranze ALCAT è possibile scoprire a quale gruppi alimentari si è allergici.

ALCAT è l’unico test sulle intolleranze alimentari riconosciuto dalla U.S. Food and Drug (FDA) e che presenta credibilità clinica. A riguardo, sono presenti sul portale PubMed, pubblicazione scientifiche che ne certificano la validità.

In caso di intolleranza alimentare è possibile con una dieta personalizzata, reintrodurre gli alimenti contrastando o riducendo significativamente i sintomi dovuti all’assunzione i questi cibi.

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Riferimenti di attualità: controlli nelle scuole, mensa scolastica allarme
Redattore: Gabriele Coppo

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