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L’infezione parodontale, cos’è e quali sono i sintomi della parodontite?

L’infezione paradontale (o parodontite) è un’infiammazione dei tessuti che circondano e sostengono i denti, ovvero gengive, legamento parodontale ed osso alveolare. L’infezione si sviluppa a causa della colonizzazione di questi tessuti da parte di alcuni patogeni orali; mentre l’infiammazione si ha a causa della risposta immunitaria che ne consegue.

L’infezione parodontale può svilupparsi a livello sistemico e coinvolgere il sistema cardiovascolare, il sistema endocrino, il sistema riproduttivo ed il sistema respiratorio, e questo la rende una malattia multifase complessa.

La parodontite comporta un’infiammazione dovuta all’interazione tra l’infezione batterica e la risposta del sistema immunitario dell’ospite, e può portare a distruzione progressiva del legamento parodontale e dell’osso alveolare. Può anche portare a recessione delle gengive.

Non è chiaro come si sviluppi l’infezione parodontale, in quanto ogni individuo presenta una propria composizione microbica orale, ed ognuno mostra una diversa risposta immunitaria all’infezione: ne consegue che ogni infezione dei tessuti orali è da considerarsi a sé.

Esistono più di 500 specie batteriche diverse in grado di colonizzare la bocca di un adulto. Alcune delle specie più diffuse responsabili di infezione sono:

  • Porphyromonas gingivalis
  • Prevotella intermedia
  • Bacteroides forsythus
  • Campilobacter rectus
  • Actinobacillus actinomycetemcomitans.

Correlazione tra parodontite ed altre malattie

Sono state sviluppate molte tecniche per poter analizzare la composizione della placca dentale e stabilire qual è la prevalenza batterica nel cavo orale del paziente.

Recenti studi suggeriscono che l’infezione parodontale può aumentare il rischio di alcune malattie, tra cui le malattie coronariche ed eventi collegati ad esse, come angina ed infarto, aterosclerosi, ictus, diabete mellito, parto pretermine, parto con basso peso alla nascita e patologie respiratorie varie.

Questo avviene perché la parodontite avvia un’infiammazione sistemica, che può essere monitorata da marcatori infiammatori come la proteina C-reattiva, i livelli di fibrinogeno e le citochine salivari.

Scopri il ruolo delle citochine come marker infiammatori con l’analisi salivare delle citochine

Quando parliamo di parodontite, parliamo di infezioni del cavo orale: esiste un equilibrio tra la presenza microbica e la risposta immunitaria dell’ospite; se questo equilibrio viene perturbato, si sviluppa la malattia parodontale. La peculiarità dei patogeni del microbiota orale è che questi possono interagire con i tessuti dell’ospite anche senza penetrazione diretta nei tessuti.

A livello dei denti, i microrganismi nel cavo orale formano un biofilm, ovvero un’aggregazione di specie microscopiche che coesistono, che prende il nome di placca dentale.

La cavità orale è una fonte continua di agenti infettivi e le condizioni di questa riflettono spesso la progressione delle patologie sistemiche. Il cavo orale sembra fungere da serbatoio batterico.

L’omeostasi parodontale, la patogenesi della parodontite cronica ed il ruolo delle citochine coinvolte

Il tessuto parodontale, proprio come gli altri tessuti del nostro corpo, si rinnova periodicamente. Questo processo di sostituzione delle cellule “vecchie” con le cellule “nuove” prende il nome di turnover. Se il paziente è in salute, vi è un equilibrio tra il turnover cellulare ed una risposta immunitaria dell’ospite.

Il sistema immunitario a livello del cavo orale è stimolato sia dal microbiota commensale (ovvero da quello che “convive” abitualmente nella bocca dell’ospite), che dalla stimolazione meccanica della masticazione.

Nel solco gengivale si trovano normalmente alcuni neutrofili ed altre cellule del sistema immunitario, comprese le cellule Th17 e le cellule dell’immunità innata. Se però il microbiota abituale del paziente viene alterato dalla presenza di microrganismi patogeni, la risposta immunitaria si attiva in maniera eccessiva e nel tentativo di eliminare i patogeni, distrugge i tessuti.

Durante l’infiammazione vengono prodotte diverse citochine nei tessuti di infezione

L’interazione tra microbiota, patogeno e sistema immunitario porta alla secrezione di citochine, che vanno a loro volta ad aumentare l’infiammazione, richiamando altre cellule del sistema immunitario, più specifiche contro il patogeno riconosciuto. Inoltre, da un sottogruppo cellulare del sistema immunitario, viene secreto anche un altro tipo di citochine, che ha il compito di differenziare uno specifico sottoinsieme di linfociti.

Le citochine vengono secrete da diversi gruppi cellulari, e possono agire sia come amplificatori dell’infiammazione, che come responsabili diretti della distruzione dei tessuti.

La rete delle citochine nella patogenesi della parodontite

In breve, le citochine proinfiammatorie IL-1, IL-6 e TNF-alpha vengono secrete dalle cellule parodontali e dalle cellule del sistema immunitario dell’ospite dopo la stimolazione da parte dei microbi e provocano danni diretti ai tessuti.

A questo punto le altre cellule del sistema immunitario, tra cui le cellule T-indifferenziate e le cellule B, si differenziano in cellule T-mature attive contro il patogeno o in plasmacellule (le cellule in grado di secernere gli anticorpi). Queste cellule, sotto la stimolazione delle citochine, possono attivare o promuovere altre cellule effettrici, che esercitano effetti pro-infiammatori o anti-infiammatori.

Tra i diversi attori cellulari che agiscono in questi casi abbiamo le cellule TH1 e T-regolatrici che possono agire come protettori, mentre le cellule TH2/B e TH17 possono agire sia come distruttori dei tessuti, che come protettori.

Al fine di valutare il grado di infiammazione è consigliata la ricerca di alcune citochine: IL-1Beta, TNF-alfa e IL-6 (azione pro-infiammatoria) ed IL-17A ed IL-22 (azione protettiva).

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Dott.ssa Giulia Aliboni 

Biologo nutrizionista

Testo scientifico a cura del Dott. Mauro Mantovani

Responsabile Ricerca e Sviluppo IMBIO
Direttore Scientifico IMBIO Academy

Riferimenti: Citochine, Paradontite, Risposta immunitaria
Redattore: Dott.ssa Giulia Aliboni


L’interleuchina (IL) -6, una citochina con ridondanza e attività pleiotropica, contribuisce alla difesa dell’ospite contro lo stress ambientale acuto, mentre è stato dimostrato che la produzione di IL-6 persistente e disregolata gioca un ruolo patologico in varie malattie infiammatorie autoimmuni e croniche.

Quando l’IL-6 viene sintetizzato in modo transitorio, partecipa prontamente alla difesa dell’ospite contro lo stress ambientale come infezioni e lesioni e allo stesso tempo fornisce un segnale “SOS” (avvertimento) innescando un ampio spettro di eventi biologici. Una volta che la fonte di stress viene rimossa dall’ospite, l’attivazione mediata da IL-6 della cascata di trasduzione del segnale viene interrotta da sistemi di regolazione negativa in combinazione con la normalizzazione dei livelli sierici di IL-6 e PCR.

TUTTAVIA, LA PRODUZIONE PERSISTENTE DI IL-6 DISREGOLATA È STATA IMPLICATA NELLO SVILUPPO DI VARIE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE AUTOIMMUNI E PERSINO TUMORI.

Sembra che la continua e persistente produzione di IL-6, sovra regolata ma comunque sub-clinica, sia dovuta in parte allo stato di stress persistente a cui viene costantemente sottoposto l’organismo, dovuto a fattori concomitanti, come: stress emotivo, ambientale, alimentare, da xenobiotici, e infezioni da vari parassiti (batteri, virus, protozoi).

Tutto ciò induce una up-regolazione di citochine infiammatorie ed antinfiammatorie (come IL-10) che tendono all’omeostasi, evitando per questo una risposta violenta da parte del sistema immunitario e quindi un danno d’organo che può risultare fatale.

In questo scenario “disregolato”, si evince come il sistema immunitario adattativo risulti disregolato e “anergico”, con un iperattivazione leucocitaria, rappresentata in particolar modo dai neutrofili, perpetrando in un “loop” a feed-back positivo: l’infiammazione silente.

IL-6 tempesta citochimica interleuchine sistema immunitario tumori Covid-19

IL-6 è una citochina con attività pleiotropica; induce la sintesi di proteine della fase acuta come PCR, siero amiloide A, fibrinogeno ed epcidina negli epatociti, mentre inibisce la produzione di albumina. IL-6 svolge anche un ruolo importante sulla risposta immunitaria acquisita stimolando la produzione di anticorpi e lo sviluppo delle cellule T effettrici. Inoltre, IL-6 può promuovere la differenziazione o la proliferazione di diverse cellule non immunitarie. A causa dell’attività pleiotropica, la produzione continua disregolata di IL-6 porta all’insorgenza o allo sviluppo di varie malattie.

Che legame c’è tra la CRS (Sindrome di rilascio citochinico) la risposta infiammatoria sistemica e il Covid-19 

La CRS (Sindrome di rilascio citochinico) è una risposta infiammatoria sistemica che può essere causata da infezioni, alcuni farmaci e altri fattori, caratterizzata da un forte aumento del livello di un gran numero di citochine pro-infiammatorie.

La CRS è più comune nelle patologie legate a infezioni virali. SARS-CoV-2 si lega alle cellule epiteliali alveolari. Il virus quindi attiva il sistema immunitario innato e adattativo, provocando il rilascio di un gran numero di citochine, inclusa IL-6. Inoltre, la permeabilità vascolare è aumentata da questi fattori pro-infiammatori, con il risultato che una grande quantità di liquidi e cellule del sangue entrano negli alveoli, con conseguente dispnea e persino insufficienza respiratoria.

Dati emergenti suggeriscono che molti pazienti infetti da COVID-19 possono morire a causa di una risposta eccessiva del loro sistema immunitario, caratterizzato dal rilascio anormale di citochine circolanti, chiamata sindrome da rilascio di citochine (CRS).

La CRS gioca un ruolo importante nel deterioramento dei pazienti COVID-19, dalla polmonite alla sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), che si accumula nell’infiammazione sistemica e, in ultima analisi, nell’insufficienza d’organo multi sistemica. Questo fenomeno di una pletora di citochine che scatenano il caos in tutto il corpo viene spesso definito in modo vivido “tempesta di citochine”.

Molte citochine prendono parte alla “tempesta di citochine” nei pazienti COVID-19, tra cui IL-6, IL-1, IL-2, IL-10, TNF-α e IFN-γ; tuttavia, un ruolo cruciale sembra essere svolto dall’IL-6, i cui livelli aumentati nel siero sono stati correlati con insufficienza respiratoria, ARDS e esiti clinici avversi.

IL-6 ha proprietà pro-infiammatorie significative e funziona attraverso due principali vie di segnalazione: cis o trans. L’attivazione di questa cascata di segnali porta a effetti pleiotropici sul sistema immunitario acquisito (cellule B e T) e sul sistema immunitario innato (neutrofili, macrofagi e cellule natural killer) che possono contribuire alla CRS. Ciò aggrava gravemente la “tempesta di citochine” attraverso la secrezione del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), la proteina chemio attrattiva dei monociti-1 (MCP-1), IL-8 e ulteriore IL-6, nonché una ridotta espressione di E-caderina sull’endotelio cellule.

La secrezione di VEGF e la riduzione dell’espressione di E-caderina contribuiscono alla permeabilità e alle perdite vascolari che partecipano alla fisiopatologia dell’ipotensione e della disfunzione polmonare nell’ARDS.

Precedenti studi hanno dimostrato l’efficacia degli antagonisti dell’”IL-6-IL-6R” per il trattamento della CRS e della linfoistiocitosi emofagocitica secondaria (sHLH), entrambi caratterizzati dalla sovraregolazione delle citochine sieriche. Ciò suggerisce un ruolo cruciale per IL-6 nella fisiopatologia delle sindromi iperinfiammatorie guidate dalle citochine e classifica l’IL-6 come potenziale bersaglio per la terapia mirata COVID-19. Sono infatti in corso antagonisti di IL-6 e IL-6R per studi clinici per la gestione di pazienti COVID-19 con gravi complicanze respiratorie.

Tutte queste evidenze evidenziano l’importanza della “tempesta di citochine” e in particolare dell’IL-6 e delle sue vie di segnalazione a valle nella malattia COVID-19. Una rilevazione e un monitoraggio accurati di tutte queste componenti sono fondamentali per una migliore comprensione della progressione della malattia e per valutare la miglior risposta terapeutica.

L’immunopatologia di Covid-19 

 

Immunopatologia Covid-19

I modelli immunitari di COVID-19 includono linfopenia, attivazione e disfunzione dei linfociti, anomalie di granulociti e monociti, aumento della produzione di citochine e aumento degli anticorpi.

La linfopenia è una caratteristica chiave dei pazienti con COVID-19, specialmente nei casi gravi. CD69, CD38 e CD44 sono altamente espressi sulle cellule T CD4 + e CD8 + dei pazienti e le cellule T virus-specifiche dei casi gravi mostrano un fenotipo di memoria centrale con alti livelli di IFN-γ, TNF-α e IL-2.

Tuttavia, i linfociti mostrano un fenotipo di esaurimento con sovraregolazione della proteina 1 di morte cellulare programmata (PD1), dominio dell’immunoglobulina delle cellule T e dominio della mucina-3 (TIM3) e del membro 1 della sottofamiglia C del recettore simile alla lectina delle cellule killer (NKG2A). I livelli di neutrofili sono significativamente più alti nei pazienti gravi, mentre la percentuale di eosinofili, basofili e monociti è ridotta.

L’aumento della produzione di citochine, in particolare di IL-1β, IL-6 e IL-10, è un’altra caratteristica chiave del COVID-19 grave. Anche i livelli di IgG sono aumentati e c’è un titolo più alto di anticorpi totali.

Potenziali meccanismi di immunopatologia indotta da SARS-CoV-2

Potenziali meccanismi di immunopatologia indotta da SARS-CoV-2
a I potenziali meccanismi di deplezione ed esaurimento dei linfociti. (1) L’espressione del recettore ACE2 sui linfociti, in particolare sui linfociti T, promuove l’ingresso di SARS-CoV-2 nei linfociti. (2) Un aumento concomitante dei livelli di citochine infiammatorie promuove l’esaurimento e l’esaurimento delle cellule T. (3) SARS-CoV-2 danneggia direttamente gli organi linfatici, inclusi milza e linfonodi, inducendo linfopenia. (4) L’aumento dei livelli di acido lattico inibisce la proliferazione e la disfunzione dei linfociti. b La linfopenia può portare a infezioni microbiche, favorendo ulteriormente l’attivazione e il reclutamento di neutrofili nel sangue. c I potenziali meccanismi di induzione della tempesta di citochine. (1) Le cellule T CD4 + possono essere attivate rapidamente in cellule Th1 che secernono GM-CSF, inducendo ulteriormente i monociti CD14 + CD16 + con alti livelli di IL-6. (2) Un aumento della sottopopolazione di monociti CD14 + IL-1β + promuove una maggiore produzione di IL-1β. (3) Le cellule Th17 producono IL-17 per reclutare ulteriormente monociti, macrofagi e neutrofili e stimolare altre cascate di citochine, come IL-1β e IL-6 tra le altre. d Un anticorpo monoclonale neutralizzante mirato al virus può favorire l’ingresso del virus nelle cellule attraverso la regione Fc dell’anticorpo legato al recettore Fc (FcR) sulle cellule; questo è correlato alla progressione della malattia e agli scarsi risultati dei pazienti con COVID- 19.

 

In uno studio pubblicato su Signal Transduction and Target Therapy sono stati arruolati trentasei casi adulti con COVID-19 grave e con prognosi critica in cui sono state valutate diverse citochine tra cui IL-2, IL-4, IL-6, IL-10, TNF-α e IFN-γ; si è visto che erano notevolmente aumentati, specialmente IL-6 e IL-10. Inoltre, le percentuali di pazienti con sovraregolazione di IL-6 e IL-10 erano rispettivamente del 97,0% e del 100,0%, che erano significativamente più alti di quelli dei pazienti con quadro clinico migliore. Inoltre, i livelli di IL-6 e IL-10 nei pazienti COVID-19 critici erano significativamente più alti rispetto a quello nei pazienti COVID-19 gravi. Questi risultati dimostrano che il livello di citochine era elevato nei pazienti COVID-19 gravi e critici, in particolare IL-6 e IL-10 erano enormemente aumentati.

Per valutare ulteriormente la correlazione tra questi parametri immunitari e la prognosi clinica, sono state analizzate le sopravvivenze complessive in pazienti con livelli alti e bassi di sottopopolazioni linfocitarie e citochine. E’ stato scoperto che i pazienti con livelli elevati di linfociti totali, T totale, CD4 + T, CD8 + T e cellule NK avevano una buona sopravvivenza. Inoltre, i pazienti con alti livelli di IL-6 e IL-10 avevano una scarsa sopravvivenza globale. Tra questi pazienti COVID-19, le percentuali di pazienti con alti livelli di linfociti, inclusi linfociti totali, T totale, CD4 + T, CD8 + T e cellule NK, erano ovviamente più alte in tutti i sopravvissuti rispetto a quella nei non sopravvissuti, e c’era un risultato opposto per le cellule B. Nel frattempo, i pazienti con bassi livelli di IL-6 e IL-10 erano fondamentalmente vivi.

Attraverso la tomografia computerizzata (TC) di un paziente durante il recupero, l’infiammazione è stata notevolmente ridotta, accompagnata dall’aumento dei livelli di ciascuna sottopopolazione di linfociti. Inoltre, un non sopravvissuto ha presentato una grave infiammazione mediante immagine Tomografica con grave produzione di IL-6 e IL-10; tuttavia, in un altro sopravvissuto, i livelli di IL-6 e IL-10 erano significativamente ridotti con un’infiammazione relativamente lieve mediante immagine Tomografica.

Pertanto, le caratteristiche immunitarie sono strettamente associate alla progressione della malattia, che potrebbe essere utilizzata come potenziale biomarcatore per la prognosi dei pazienti COVID-19 gravi e critici.

In questo studio, i pazienti COVID-19 gravi e critici mostrano linfopenia e alti livelli di citochine, in particolare le cellule T alterate, e un aumento di IL-6 o IL-10, che sono serviti come potenziali biomarcatori per la progressione della malattia. Altri studi hanno anche riportato che la carenza o l’incapacità dei linfociti nei pazienti COVID-19 ha promosso la progressione della malattia, e la maggior parte dei casi gravi ha presentato livelli elevati di biomarcatori correlati all’infezione e citochine infiammatorie.

La produzione di un gran numero di citochine infiammatorie è definita come tempesta di citochine, che porta alla disfunzione di più organi. Il nostro studio attuale ha anche spiegato lo stretto legame tra il livello di citochine e l’insufficienza d’organo. Pertanto, secondo gli speciali profili immunitari verificatisi nei pazienti COVID-19 gravi e critici, il potenziamento dei linfociti e l’inibizione dell’infiammazione sono le strategie promettenti per il trattamento di questi pazienti COVID-19.

Uno studio su 452 pazienti infetti da SARS-CoV-2 ha anche riportato che l’aumento dei livelli di IL-6 era più marcato, con sintomi più gravi. Questi livelli sono stati più alti di quelli osservati nei pazienti con SARS-CoV o MERS. È stato inoltre riscontrato che i livelli di IL-6 erano notevolmente più alti nei pazienti deceduti a causa di COVID-19 rispetto a quelli guariti. L’attivazione di IL- 1β da parte di SARS-CoV-2 a sua volta attiva IL-6 e TNF-α. È stato anche dimostrato che un’elevata espressione di IL-6 in pazienti con COVID-19 può accelerare il processo infiammatorio, contribuendo alla tempesta di citochine e peggiorando la prognosi. La tempesta di citochine, inclusi livelli elevati di IL-6, è stata anche associata a danno cardiaco in questi pazienti.

ImbioLab effettua da anni il dosaggio salivare delle citochine

IMBIOLab da anni effettua il dosaggio salivare delle citochine, in particolare: IL-6, IL-1 BETA, TNF- alfa e IL-10, direttamente implicate nel fenomeno noto come “Tempesta di Citochine”, che delinea un quadro clinico di estrema gravità prognostica nei pazienti affetti da Sars-CoV-2.

I valori ottimali di queste citochine sono di estrema importanza nella giusta risposta immunitaria in caso di infezione da virus.

Dal momento che la corretta risposta immunitaria verso un agente patogeno è determinata principalmente dallo stato di salute dell’individuo, è chiaro che il controllo periodico dello stato infiammatorio risulta determinante nella corretta risposta immunitaria.

Il dosaggio citochinico effettuato da IMBIOLab è su TAMPONE SALIVARE, quindi non invasivo e di facile prelievo.

Dott. Mauro Mantovani 

Responsabile Ricerca e Sviluppo IMBIO
Direttore Scientifico IMBIO Academy

Riferimenti:  Interleuchine, Citochine, IL-6, Covid-19
Redattore: Dott. Mauro Mantovani

Fonti:

–  COVID-19: immunopathogenesis and Immunotherapeutics, Nature 2020, Yang. et al
–  Immune characteristics of severe and critical COVID-19 patients, Signal Transd. Ther. 2020, Li Yang. et al.
–  IL-6: Relevance for immunopathology of SARS-CoV-2, Cytochine Growth Factors Rev. 2020, E O Gubernatorova et al.
–  Dysregulation of immune response in patients with COVID-19 in Wuhan, China. Clin. Infect. Dis. 2020 Qin C. et. al.

 

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March 24, 2020 ArticoloStudiTerapie

La vitamina C è un importantissimo antiossidante per il corretto funzionamento del nostro sistema immunitario

La vitamina C (ascorbato, acido ascorbico) è un importante antiossidante solubile in acqua che aumenta anche la produzione di collagene extracellulare ed è importante per il corretto funzionamento delle cellule immunitarie.

La vitamina C ha molti benefici ed è nota per la sua capacità di agire come agente antiossidante. Forse non tutti sanno che la vitamina C svolge anche ruoli chiave nella sintesi della L-carnitina, nel metabolismo del colesterolo, nell’attività del citocromo P-450 (importante gruppo di enzimi disintossicanti del fegato) e nella sintesi dei neurotrasmettitori.

La vitamina C è un nutriente essenziale che il nostro organismo non può sintetizzare. Per questa ragione deve essere introdotto dalla dieta, da integratori o tramite infusione per via endovenosa.

La vitamina C per via endovenosa: il protocollo di infusione

Il protocollo di infusione per via endovenosa di vitamina C (IVC) prevede la lenta somministrazione di vitamina C a dosi dell’ordine di 0,1 – 1,0 grammi di ascorbato per chilogrammo di massa corporea.

Sebbene l’IVC possa avere una varietà di possibili applicazioni, tra le quali:

  • la lotta alle infezioni
  • il trattamento dell’artrite reumatoide
  • potenziale utilizzo in campi della medicina di prevenzione oltre che in terapia

L’utilizzo di vitamina C in ambito oncologico

La vitamina C fu suggerita per la prima volta come strumento per la cura del cancro negli anni ’50: il suo ruolo nella produzione e protezione del collagene portò gli scienziati a ipotizzare che il rifornimento di ascorbato avrebbe protetto i tessuti normali dall’invasività e dalle metastasi del tumore.

Inoltre, poiché i malati di cancro sono spesso impoveriti di vitamina C, il rifornimento può migliorare la funzione del sistema immunitario e migliorare la salute e il benessere dei pazienti. La maggior parte delle ricerche da quel momento in poi si è concentrata sull’ascorbato endovenoso.

I razionali per l’uso delle infusioni di ascorbato endovenoso (IVC) per il trattamento di molte patologie, che sono discussi in dettaglio di seguito, possono essere riassunti come segue:

  • Le concentrazioni plasmatiche di ascorbato nell’intervallo millimolare possono essere raggiunte in sicurezza con le infusioni di IVC
  • A concentrazioni millimolari, l’ascorbato è particolarmente benefico per le cellule che necessitano di concentrazioni elevate (anticorpi) e per il collagene che forma le articolazioni
  • Gli studi clinici di fase I indicano che l’IVC può essere somministrato in modo sicuro con relativamente pochi effetti collaterali

Perché scegliere la flebo di vitamina C al posto degli integratori orali?

La vitamina C è solubile in acqua ed è limitata nel modo in cui può essere assorbita se somministrata per via orale. Mentre l’ascorbato tende ad accumularsi nelle ghiandole surrenali, nel cervello e in alcuni tipi di globuli bianchi, i livelli plasmatici rimangono relativamente bassi.

I dati di Levine e colleghi indicano che i livelli plasmatici negli adulti sani sono rimasti al di sotto di 100 µM, anche se sono stati assunti 2,5 grammi quando somministrati una volta al giorno per via orale.

Dato il ruolo della vitamina C nella produzione di collagene, nel funzionamento del sistema immunitario e nella protezione antiossidante, non sorprende che i soggetti impoveriti di ascorbato si comportino male nel montare le difese contro le infezioni virali stagionali.

Quando la vitamina C viene somministrata per infusione endovenosa, è possibile raggiungere concentrazioni di picco superiori a 10 mM senza effetti negativi significativi per il ricevente.

Modulazione dell’infiammazione

La Proteina C-Reattiva e la VES sono utilizzati come marker di infiammazione, poiché i rapporti in letteratura indicano che l’elevata PCR è correlata a uno stato infiammatorio dell’organismo.

Prima di procedere con le infusioni di alte dosi di vitamina C consigliamo di sottoporsi ad alcuni esami di laboratorio di screening, come ad esempio:

  1. Profilo chimico del siero con elettroliti Na,K,Ca,Mg,P,
  2. Emocromo completo con formula leucocitaria
  3. Globulo rosso G6PD ( fascismo controindicato l’uso di vitamina C)
  4. Dosaggio di vit C
  5. Analisi delle urine completa
  6. Profilo delle citochine infiammatorie selezionate in base al tipo di patologia da trattare

Nello specifico, i marker indicatori delle patologie sono:

  • IL1b, IL6, TNFa come indicatori di infiammazione generale
  • TNFa, TGFb, IL6 come indicatori di artrite
  • IL2 e IL12 come indicatori di sostegno immunologico
  • IL2 e IL17A come indicatori di malattie auto immuni
  • cortisolo salivare (curva del cortisolo nell’arco della giornata) per valutare un deficit di cortisolo

Il potenziale effetto dell’IVC nella riduzione dell’infiammazione è anche supportato dai dati delle citochine: le concentrazioni sieriche delle citochine proinfiammatorie IL-1α, IFN-γ, IL-8, IL-2, TNF-α, sono state fortemente ridotte dopo una 50 grammi di ascorbato e, nel caso delle ultime tre citochine elencate, sono state mantenute riduzioni nel corso della terapia IVC.

I benefici della vitamina C per via endovenosa

La vitamina C può essere somministrata in modo sicuro mediante infusione endovenosa a dosi massime di cento grammi o meno, a condizione che vengano prese le precauzioni descritte. A queste dosi, le concentrazioni plasmatiche di picco di ascorbato possono superare i 20 mM, concentrazioni  e che consente di avere benefici superiori, rispetto alla somministrazione orale.

Ci sono molti potenziali benefici nel somministrare IVC che lo rendono una scelta terapeutica aggiuntiva ideale:

  • Sostegno immunitario e nelle patologie autoimmuni
  • L’IVC ha dimostrato di migliorare la qualità della vita nei pazienti oncologici con una varietà di parametri clinici ed ematici riscontrabili
  • L’IVC riduce l’infiammazione (misurata dai livelli di proteina c-reattiva) e riduce la produzione di citochine pro-infiammatorie

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Articolo completo e riferimenti biografici

Prof. Giuseppe Di Fede

Direttore Sanitario I.M.Bio Istituto di Medicina Biologica Milano
Docente nel Master di Nutrizione Umana c/o Univ. Pavia
Terapie Oncologiche Integrate

Riferimenti: vitamina C, farmacocinetica, medicina preventiva, terapie oncologiche
Redattore: Prof. Giuseppe Di Fede


Si è sempre considerata la risposta infiammatoria come se fosse un tutt’uno, oggi però si possono identificare due tipologie di infiammazioni con genesi differenti: una di tipo macrofagica e una di tipo linfocitaria.

L’infiammazione macrofagica, ovvero quella più antica e ancestrale, si traduce nella produzione di interleuchina 6, interleuchina 1 beta e TNF alfa, le quali sono globalmente concomitanti.
Questo tipo di infiammazione tende ad essere prevalente nei tumori. Invece l’altro tipo di infiammazione ha origine linfocitaria e in particolare in una sottospecie di linfociti T, ovvero i TH17, i quali producono la interleuchina 17 (potentemente infiammatoria) la quale è in grado di indurre una risposta infiammatoria più evoluta e quindi più efficace; agisce inibendo i linfociti T regolatori i quali sono per definizione i linfociti antinfiammatori.
Per cui, per sommatoria algebrica, inibizione più inibizione porta allo scatenamento della malattia autoimmune.

Riassumendo esistono due tipi di infiammazione: una più antica, di tipo macrofagica, che si traduce nella produzione di citochine, in cui è attiva l’IL 6, ovvero quella che dà la febbre, lo stato settico, la vasodilatazione; la seconda consiste nella produzione della IL 17, prodotta dai TH17 la quale attiva una risposta infiammatoria inibendo i linfociti T-REG.
La IL 17 è la principale interleuchina coinvolta nella patologie autoimmuni.

A Preliminary Study on the Correlation between Il-6 And Il-17 Secretions in Human Systemic Diseases: Possible Existence of Two Different Origins of the Inflammatory Response

Lissoni P, et al. Clin Oncol Res J: CORJ-100004



Non-Celiac Gluten Sensitivity in patients with severe abdominal pain and bloating: The accuracy of ALCAT 5

Background and aims: Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS) is a recently proposed clinical condition causing both intestinal and extra-intestinal symptoms, without gastrointestinal lesions, which improve on avoiding gluten intake, in the absence of celiac disease and wheat allergy. The prevalence of this condition is still a matter of debate, in part due to the very recent introduction of an accepted diagnostic test, a double-blind, placebo controlled gluten challenge. However, this is a lengthy and cumbersome procedure, theoretically burdened by a significant reduction of patient compliance. ALCAT 5 is an automated in vitro test evaluating the toxic effect of gluten on neutrophils by the exposure of these cells to a gluten-containing extract of gluten-containing cereals. The test is very simple to perform, the results are rapidly obtained, and might represent, if sufficiently accurate, a promising alternative to diagnose gluten intolerance. The aim of this study was the comparison of ALCAT 5 results with those of a double- blind, placebo-controlled, gluten challenge, in a group of patients with clinically-suspected NCGS. Methods: Twenty-five patients (M/F 3/22, mean age 32 ± 4 yrs) with severe functional abdominal pain and bloating, who had previously undergone the ALCAT 5 test, were enrolled. All the subjects reported their symptoms on a gluten-containing diet and considered gluten the causal agent. Following the Salerno Experts’ Criteria, they underwent a double-blind, placebo controlled trial with gluten vs placebo. A mean value during gluten ingestion >30% of the value during placebo was considered as indicative of gluten sensitivity.

Results: After blinded administration of gluten, 13 out of 25 (52%) patients showed an increase in the severity of abdominal pain, and 11 out of 25 (44%) showed an increase in the severity of abdominal bloating. Considering these two symptoms together, in 16 patients out of 25 (64%), blinded gluten administration induced an increase of abdominal pain and/or bloating. The ALCAT 5 test proved to be positive in 20 and negative in 5 patients. In sixteen patients out of 25 the result of ALCAT 5 agreed with the double-blind trial (64%). In particular, both tests were positive in 14 patients and negative in 2. Conclusions: In this subgroup of patients, ALCAT 5 could be used to support the clinical suspicion of the presence of NCGS and to address these patients to a blinded gluten challenge.

Introduction

Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS) is a recently proposed clinical condition causing both intestinal and extra-intestinal symptoms which improve on avoiding gluten intake, in the absence of gastrointestinal lesions, celiac disease and wheat allergy. The prevalence of this condition is still a matter of debate. The first descriptions of NCGS were characterized by very high fre- quency reporting [2], but recently more realistic figures were described [3,4]. This discrepancy may be explained by the recent introduction of an accepted diagnostic test, a double-blind, placebo controlled gluten challenge [5], whereas the patient merely self- reporting the causative relationship between gluten ingestion and symptom occurrence was previously considered sufficient to diagnose the condition [6]. Apart from some criticisms on the interpretation of the results of the double-blind, placebo controlled food challenge, the proposed gluten challenge seems very prom- ising to describe the real prevalence of this condition. However, it is a lengthy and cumbersome procedure, theoretically burdened by a significant reduction in patient compliance during the three weeks of substrate intake.

ALCAT 5 is an in vitro test evaluating the toxic effect of gluten on neutrophils by the exposure of these cells to a gluten-containing extract of gluten-containing cereals, i.e., wheat, rye, barley, and oats. Results of the test are obtained through an automated mea- surement of neutrophil size and volume modifications following their incubation with gluten-containing cereal extracts [7]. The test is considered positive when the automated analysis reveals, in com- parison with the basal value, a change in volume and shape of neu- trophils after exposure to a test food substance. The test data are expressed as a volume distribution curve and the mean ± SD modi- fication of the area under the curve, in comparison with basal volume, is considered positive. An area change between the mean volume and 1 SD is considered positive. The test is very simple to perform, the results are rapidly obtained, and might represent, if sufficiently ac- curate, a promising alternative to diagnose gluten intolerance.

The aim of this study was the comparison of ALCAT 5 results to those of double-blind, placebo-controlled, gluten challenge, in a group of patients with suspected NCGS, in order to evaluate the performance of this test.

2. Patients and methods

Twenty-five patients (22 females, mean age 32 ± 4 yrs) with a long history of abdominal symptoms were enrolled. All the patients reported their symptoms on a gluten-containing diet, considered gluten to be the causal agent, and judged bloating and abdominal pain as the most severe. These characteristics of symptoms were confirmed by the completion of a questionnaire, based on a visual analogue scale, before entry the study. The mean duration of these two main symptoms were 10 ± 4 yrs. In all the patients, the pres- ence of organic conditions was excluded by endoscopic or radio- logic procedures, routine blood tests including thyroid function tests, coeliac disease associated serology, and abdominal ultra- sound. None of the patients suffered from wheat allergy. In this group of patients the following diagnoses were previously made: functional dyspepsia (n 1⁄4 14), irritable bowel syndrome (n 1⁄4 18), functional bloating (n 1⁄4 12), functional diarrhoea (n 1⁄4 8), functional constipation (n 1⁄4 6). In individual patients, more than one diag- nosis was frequently made. Rome IV criteria for functional bloating proved to be positive for all the patients, but for all the other conditions a positivity was present in only six patients (5 females, one male; 1 irritable bowel syndrome with constipation, 2 func- tional constipation, 1 irritable bowel syndrome with diarrhoea, 2 functional diarrhoea) [8,9].

All the patients underwent the ALCAT 5 test in the 3 months before the study on gluten-containing diet. However, the results of this test were blinded to the investigators during the next phases of the study. During the period from the ALCAT 5 test to the study entry, patients followed a gluten-containing diet.

None of the patients was following therapy known to interfere with intestinal function during the month prior to the study, such as antibiotics, prokinetics or laxatives. Constipated patients were advised to use a gentle water enema when needed and, in patients with diarrhoea, loperamide was allowed, if strictly necessary.

The protocol was approved by the local Ethical Committee and all the subjects gave their written informed consent.

2.1. NCGS diagnosis

Before the beginning of the study, and after ALCAT 5 test, all the patients had followed a period of gluten-free diet (GFD) which was even longer than the 6-week period suggested by the Salerno protocol [5], and all declared a clear improvement of symptom severity. Accordingly, we decided to avoid the repetition of this phase. However, to avoid an effect of gluten ingestion during the days immediately before the beginning of the protocol in sensitized patients, we prescribed a 2-week period of GFD, as a run in period, followed by the 3-week period of the blinded procedure suggested by the Salerno protocol [5], composed of two weeks of capsule ingestion, separated by one week of wash-out period (Fig. 1). After the run in period, the patients continued a strict GFD and were asked to fill in a daily questionnaire to rate the severity of both intestinal and extraintestinal symptoms, considered as gluten- dependent in NCGS (Table 1). Then, in a random order, following a randomization list generated by a computer, the patients were selected to follow a one week period during which gluten (10 capsule/day, 500 mg/capsule) or placebo capsules (rice starch, 10 capsule/day, 500 mg/capsule) were ingested. Rice starch was cho- sen due to its rapid absorption in comparison with other complex carbohydrates. At the end of the first week of capsule ingestion, the patients followed a 1-week wash-out period, without taking cap- sules, but continuing the completion of the daily questionnaires. Then, at the end of the wash-out period, the second period of capsule intake began (Fig. 1).

The daily questionnaire was administered to evaluate the presence and severity of abdominal and extra-intestinal symptoms, indicated in Table 1. The questionnaires used a 100 mm-long visual analogue scale (VAS) and patients were instructed to indicate the severity of each symptom on the line, considering the left end of the line as “absence of symptom” and the right end as “severe symp- tom” [10]. The score of the symptom was calculated by the sum of the score of the single days of each week. In accordance with the Salerno criteria, a mean value of the severity of abdominal pain and bloating during gluten ingestion >30% the value during placebo was considered as indicative of NCGS.

2.2. Statistics

To evaluate agreement between the gold standard test for NCGS and ALCAT 5 we used Cohen’s k. We judged the extent of the agreement according to Landis and Koch [11]. Agreement was considered: poor if k < 0.00; slight if 0.00 k 0.20; fair if 0.21
k 0.40; moderate if 0.41 k 0.60; substantial if 0.61 k 0.80; almost perfect if k > 0.80. Additionally, we calculated the sensi- tivity, specificity, and positive and negative predictive values of ALCAT 5: for these calculations we considered a subject to be positive if she/he displayed a worsening in pain or bloating at the blinded administration of gluten.

3. Results

After blinded administration of gluten, 13 out of 25 patients showed an increase in the severity of abdominal pain >30% than after placebo capsules (52%), and 11 out of 25 showed an increase in the severity of abdominal bloating >30% than after placebo cap- sules (44%).

Alcat Results

Alcat 5Considering symptom severity after gluten challenge, in the whole group of patients we found a significant correlation between the severity of abdominal pain and abdominal bloating (r 1⁄4 0.64, p < 0.0005) (Fig. 2), and between the modification of abdominal pain and the modification of bloating (r 1⁄4 0.54, p < 0.005) (Fig. 3).

Among the other symptoms we included in the questionnaire, none of the extraintestinal symptoms worsened after gluten chal- lenge (data not shown). Gluten challenge worsened the severity of

flatulence in 11 patients, the severity of nausea in 4 patients, the severity of diarrhoea in 1 patient, and the severity of borborygmus in 1 patient. The number of bowel movements and the Bristol score during gluten challenge were not significantly different than pla- cebo challenge.

ALCAT 5 test proved to be positive in 20 and negative in 5 pa- tients. The comparison between ALCAT 5 and blinded gluten challenge results showed the two tests were concordant in 12 out of 25 patients (48%) when we considered abdominal pain as the main symptom and in 13 out of 25 patients (52%) when we considered bloating as the main symptom. However, the concordance of the two tests improved if the modification of both symptoms was considered: in 16 out of 25 patients (64%) the severity of at least one of the two symptoms during gluten capsule intake was >30% than its severity during placebo capsule intake. In this case, ALCAT 5 and blinded gluten challenge results were concordant in 16 out of 25 patients (64%).

We also evaluated the agreement between the two tests. The agreement between the ALCAT 5 and positive pain symptoms after blinded gluten administration was poor (Cohen’s k 1⁄4 0.06). The agreement between the ALCAT 5 and positive bloating symptoms after blinded gluten administration was slight (Cohen’s k 1⁄4 0.03). Similarly, if we considered positive pain or bloating symptoms after blinded gluten administration, agreement between the two tests was slight (Cohen’s k 1⁄4 0.04).

The ALCAT 5 has a sensitivity of 81% but a poor specificity of 22.2%. The positive predicted value (PPV) of the ALCAT 5 was 65%, while the negative predicted value (NPV) was 40%.

Alcat 5 test

Alcat 5

4. Discussion

Whether symptoms attributed to NCGS are indeed due to gluten intake is still a matter of debate [12]. On pathophysiological grounds, this is a very important topic, as the exact definition of the main actor inducing symptom onset in this condition will allow for a specific treatment. Accordingly, it is important to clarify whether gluten or wheat [13] should be the target of our attention, but also FODMAPs [14] or amylase-trypsin inhibitors [15]. Consequently, the same uncertainty is also present on diagnostic grounds. As far as the role of gluten is concerned, a double-blind, placebo-controlled, gluten challenge was recently proposed [5]: resembling that already adopted in the diagnostic algorithm of food allergy, a blinded administration of gluten or placebo together with a strict symptom occurrence monitoring is today considered an accurate test to diagnose NCGS. We and others [3,4] have recently applied this protocol in patients self-reporting the gluten dependence of their symptoms and some drawbacks should be reported. First of all, the protocol suggests a preliminary 6-week period of GFD to evaluate if symptom improvement may be achieved, to select the subgroup of patients who need a blinded gluten challenge. Since this preliminary phase is unblinded, it is possible that a placebo or nocebo effect may have a role in the improvement of symptoms. The length of this period might be responsible for an excessive extension of the whole protocol and, therefore, it could reduce the patient’s compliance. Second, the organoleptic characteristics of gluten make true blindness very difficult: it must be not visible to the patients and, therefore, it must inevitably be hidden in capsules. Moreover, to avoid excessive capsule size, due to the physical characteristics of gluten, a maximum amount of 500 mg can be contained in one capsule and this causes the need for a high number of capsules to be ingested in a day in order to administer a dose of gluten sufficient to induce symptoms. The ingestion of 10 capsules a day for two weeks, one for the gluten test and the other for the placebo test, i.e. 140 capsules in total, might cause a reduction in patient compliance. Third, daily questionnaires for symptom occurrence monitoring administered over many days might cause a reduction of the patient’s attention, in particular during the last period of the test. Consequently, it is evident that, even if the blinded food challenge is considered the gold standard

in the diagnosis of many adverse reactions to food [16], this test is largely absent in a clinical setting [17].

Accordingly, the availability of alternative tests is advisable. ALCAT 5 is a simple, automated test that could represent a valid option in the diagnosis of NCGS. This is the first evaluation of the accuracy of ALCAT 5 in human disorders: the principle of the test is derived from the ALCAT test, adopted for food intolerance [7], and it was applied to discriminate the role of gluten in self-reported NCGS patients.

Our results show that in a group of patients suffering in particular from functional severe abdominal pain and bloating and without organic diseases, wheat allergy or celiac disease, the prevalence of NCGS is higher than previously reported [3,4], sug- gesting that, in a gastroenterological outpatient clinic, abdominal symptoms are more indicative than extra-intestinal symptoms to guide physicians towards a correct diagnostic algorithm for this condition. All the enrolled patients have previously undergone the ALCAT 5 test, and the comparison between ALCAT 5 and blinded gluten challenge showed that in 64% of cases a concordance was evident. The concordance between the two tests was less accurate when abdominal pain or bloating were considered separately. However, the strict correlation between postechallenge severity of these two symptoms permits the adoption of a combination of them, thus optimizing the performance.

The assessment of the degree of agreement between the double blinded gluten challenge and ALCAT 5 tests showed very low values of Cohen’s k. Considering the single symptoms separately or together, results indicate that the agreement between the tests was no better than would be expected by chance. However, these results are similar to those obtained from a faecal occult blood test and a colonoscopy for the screening of left-sided colon cancer [18,19]. Accordingly, the importance of our results relies on the possibility of using the ALCAT 5 test preliminary to the blinded gluten chal- lenge. Due to the complexity of clinical manifestations of NCGS, frequently characterized by many concomitant symptoms, both intestinal and extraintestinal [2], as often reported by the patients, it may be difficult in many of them to correctly focus on the de- scriptions and the importance of any single symptom during the interpretation of the whole clinical presentation. Therefore, ALCAT 5 might be used to preliminarily screen patients with severe abdominal pain and bloating in order to select, in this subgroup of References patients, which of them should undergo the blinded gluten challenge, at least on the basis of these two main symptoms.

A limit of the study was the absence of a healthy control group, to test for in vitro modification of neutrophils after oral gluten challenge. In a subsequent study, it should be important to test for this modification and to evaluate also the reproducibility of the procedure.

In conclusion, we have compared ALCAT 5 and double-blind, placebo-controlled, gluten challenge results in a group of self- reported NCGS with severe abdominal pain and bloating, to eval- uate if a simplification of diagnostic procedures is possible in these patients. In this subgroup of patients, ALCAT 5 could be used to support the clinical suspicion of the presence of NCGS and to direct these patients to a blinded gluten challenge.

Conflict of interest
The authors have no conflict of interest to declare.

Funding sources

This research did not receive any specific grant from funding agencies in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

Guarantor of the article

Michele Di Stefano.

Specific author contributions

Michele Di Stefano planned and conducted the study, inter- preted data, drafted the manuscript.

Eugenia Vittoria Pesatori, Giulia Francesca Manfredi, Giacomo Grandi, Alessandro Gabriele, Davide Iozzi conducted the study, collected and interpreted data, drafted the manuscript.

Mara De Amici conducted the study, collected data and drafted the manuscript.

Giuseppe Di Fede planned the study and drafted the manuscript.

All the mentioned Authors approved the final version of the manuscript.

Acknowledgements

None.

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