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August 21, 2014 Newsletter

L’anguria o cocomero (Citrullus lanatus) è una pianta appartenente alla famiglia delle Curcubitaceae, tipica dell’Africa meridionale e tropicale. Il frutto ha un interno rosso o più raramente giallo; è ricco di semi, che possono essere neri, bianchi o gialli e hanno un effetto lievemente lassativo (utili quindi per riattivare un intestino pigro). La percentuale di acqua contenuta (92-93 %) risalta notevolmente rispetto al 7-8 % di zuccheri e allo 0,2-0,4 % di proteine e fibre, e ciò rende l’anguria molto dissetante.

Questo frutto si può considerare quindi depurativo e diuretico poiché, stimolando la diuresi, favorisce l’eliminazione di scorie in eccesso. Elevata è anche la presenza di sali minerali, in particolare potassio, fosforo e magnesio, vitamine A, C e quelle del gruppo B; per questo motivo l’anguria risulta senza dubbi un rimedio naturale contro la stanchezza e lo stress, prevenendo anche la ritenzione idrica. Inoltre sostanze antiossidanti, quali licopene e carotenoidi, garantiscono un benessere generale all’organismo con effetto preventivo su molte patologie e benefici anche sulla pelle.

Di recente è stata constatata la capacità di questo frutto contro le malattie cardiache e di ridurre i livelli del colesterolo cattivo. A risultare benefica è la citrulina, sostanza che rende l’anguria adatta a prevenire l’ipertensione. Tale amminoacido, presente però soprattutto nella parte bianca tra polpa e buccia, favorisce la vasodilatazione (allargamento dei vasi e quindi aumento del flusso sanguigno), conferendo quindi al frutto proprietà afrodisiache (utile soprattutto per i maschi, in quanto sembra produrre effetti simili al viagra).

Secondo alcuni studi basterebbe una fetta di anguria al giorno per aiutare il nostro organismo a ridurre il colesterolo nel sangue. Numerosi quindi sono i pregi di tale frutto ma attenzione per chi soffre di allergie e/o intolleranze.

L’anguria va evitata se si soffre di colite o gastrite: è possibile che la quantità di acido salicilico contenuta nella polpa del frutto possa causare reazioni avverse a livello intestinale. Per di più, le persone allergiche alle graminacee durante il periodo di pollinazione devono fare attenzione all’assunzione di alcuni alimenti tra cui proprio l’anguria in quanto questo frutto contiene e libera istamina. L’istamina è una sostanza che il corpo produce in risposta al contatto con una sostanza allergizzante: l’istamina, se presente in grandi quantità nel nostro organismo, determina una serie di reazioni quali arrossamenti eritemi, ponfi, produzione di muco nelle vie aeree, asma e diarrea. L’assunzione di alimenti che la contengono, come ad esempio proprio l’anguria, può amplificare la risposta allergica, incrementando l’infiammazione e i sintomi elencati in precedenza.

Una ricetta rinfrescante con l’anguria la potete trovare sul sito di Nonna Paperina: Sorbetto di anguria



July 7, 2014 Newsletter

Esiste un legame tra pesticidi e autismo? L’ambiente esterno, secondo i sospetti di numerosi scienziati e ricercatori, influenza lo sviluppo del feto, durante i primi mesi di gestazione, fino a condizionare le caratteristiche di quando sarà adulto.

Nello specifico, i ricercatori dell’UC Davis MIND Institute hanno analizzato il rapporto tra vita rurale e uso di pesticidi nell’agricoltura e autismo. Lo studio ha rivelato che, il rischio di avere un bambino affetto da autismo o da un altro ritardo dello sviluppo aumenta di oltre il 60% per le donne che vivono nelle vicinanze di campi e fattorie in cui si utilizzano pesticidi chimici. Lo studio,  pubblicato su Environmental Health Perspectives, ha mostrato, inoltre, come questo collegamento aumenti quando l’esposizione ai pesticidi avviene tra il secondo e il terzo trimestre della gravidanza.

In diverse zone della California, gli scienziati hanno analizzato l’associazione tra l’esposizione durante la gravidanza a specifiche classi di pestidici, tra cui organofosfati, piretroidi e carbammati, e una diagnosi di ritardo dello sviluppo o autismo nella prole. Lo studio confermerebbe i risultati di ricerche precedenti in merito alla relazione tra la nascita di un bambino autistico e l’esposizione prenatale ad agenti chimici, usati per l’agricoltura in California. Anche se i ricercatori devono ancora scoprire se alcuni sottogruppi sono più vulnerabili all’esposizione a questi composti rispetto ad altri, il messaggio è chiaro: le donne incinte dovrebbero evitare a tutti i costi il contatto con gli agenti chimici usati per l’agricoltura.

La ricerca ha evidenziato che ci sono diverse classi di pesticidi utilizzati più di frequente vicino alle zone in cui risiedono madri i cui bambini sono affetti da autismo o da ritardi. L’esposizione agli insetticidi, secondo i ricercatori, potrebbe essere dannosa durante la gestazione perché il cervello del feto, ancora in via di sviluppo, è più vulnerabile a quello di un adulto. Questi pesticidi contengono neurotossine, e l’esposizione in utero potrebbe disturbare lo sviluppo strutturale dei neuroni, determinando così alterazioni nei meccanismi di eccitazione e inibizione che governano l’umore, l’apprendimento, le interazioni sociali e il comportamento.

Lo studio enfatizza, inoltre, l’importanza dell’alimentazione materna durante la gravidanza, raccomandando soprattutto l’utilizzo di vitamine prenatali per diminuire il rischio di avere bambini affetti da autismo. Una dieta materna corretta, prima del concepimento, aiuta a creare le condizioni favorevoli per il futuro impianto e sviluppo del feto. Un’ alimentazione controllata e bilanciata, consente anche di prevenire malattie, carenze nutrizionali, allergie e intolleranze alimentari da adulto. Un controllo genetico per concepimento, sulla madre, può indirizzare un corretto stile di vita e soprattutto una corretta alimentazione, in modo da non causare o amplificare deficit nutrizionali importanti, per il feto e la madre.

Riferimenti: Environmental Health Perspectives doi: 10.1289/ehp.1307044



June 19, 2014 Newsletter

Numerose evidenze scientifiche pubblicate nel corso degli anni hanno ampliato la conoscenza delle potenzialità metaboliche dell’intestino, conferendogli un’importanza fondamentale per il buon funzionamento del nostro sistema immunitario, del nostro sistema endocrino e della nostra sfera psichica. Oggi il nostro intestino deve essere considerato un organo di fondamentale importanza per la salute ed il benessere di tutto l’organismo.

A livello intestinale si riscontrano una notevole quantità di germi e batteri . La cosa più importante è che questa la flora intestinale  “fisiologica” sia in simbiosi con l’organismo. Questa condizione di equilibrio è definita eubiosi.

Quando questo equilibrio viene alterato si può generare una condizione patologica chiamata Disbiosi. I sintomi spesso sono aspecifici, caratterizzati da un’alterazione del transito intestinale, sia in termini di stitichezza ma a volte anche di sindrome diarroica. Il tutto associato frequentemente a gonfiore addominale, flatulenza, digestione lenta, stanchezza (la flora batterica produce vitamine B), suscettibilità alle infezioni, diminuzione delle difese immunitarie (la flora batterica produce anticorpi), candidosi intestinale e/o vaginale, vaginiti e cistiti ricorrenti nella donna.

Tra i fattori che possono contribuire a generare la Disbiosi vi sono:

alimentazione sbilanciata (uso eccessivo di grassi, zuccheri, carni rosse ed insaccati in genere, carenza di frutta e verdura, abuso di sostanze alcolici, fumo, ecc.), scarsa od insufficiente attività fisica, utilizzo di terapie farmacologiche protratte nel tempo (es. l’assunzione indiscriminata e prolungata di antibiotici, cortisonici, estroprogestinici, lassativi, ansiolitici, vaccini, chemioterapie, ecc).

Ma anche: contatto con sostanze quali conservanti e coloranti alimentari, radiazioni ed emissioni elettromagnetiche, metalli tossici contenuti in alimenti o in contenitori di alimenti o nelle stoviglie (alluminio, mercurio, piombo), pesticidi, ormoni steroidei alimentari.

 La comparsa di processi infiammatori intestinali, spesso legati ad una cattiva alimentazione e/o all’uso indiscriminato di farmaci (antiinfiammatori, antibiotici) in associazione ad una condizione di disbiosi intestinale possono essere responsabili non solo di malattie a carico del nostro intestino ma anche a livello di altri distretti come ad esempio la pelle (dermatite atopica, acne, psoriasi), infezioni delle vie urogenitali (candidosi vaginale, cistite, prostatite), malattie metaboliche (obesità, diabete, sindrome metabolica), malattie della sfera psichica (ansia, depressione), malattie autoimmuni (tiroidite cronica, artrite reumatoide).

Un corretto inquadramento clinico consente di programmare un piano terapeutico individualizzato che prevede, non solo un cambiamento dello stile di vita del paziente e delle sue abitudini alimentari, ma deve anche portare all’individuazione di quei presidi utili a consentire il ripristino della salute ed il benessere dell’intestino, e di conseguenza di tutto il nostro organismo.

Per fare ciò occorre intervenire utilizzando pre e probiotici, modificando il regime dietetico (inserendo ad ogni pasto verdura cotta o cruda per stimolare la crescita dei batteri intestinali e incrementare l’apporto di frutta), aumentare l’apporto di liquidi nel bilancio idrico giornaliero.

Disbiosi in Gravidanza

Da alcuni recenti studi, è emerso che durante la gestazione, il feto può entrare in contatto con microorganismi di provenienza materna. Frammenti di DNA batterico sono stati rinvenuti, infatti, nel cordone ombelicale, nel liquido amniotico e addirittura nel meconio.

La loro presenza è resa possibile dal fatto che l’intestino della donna gravida, durante la gestazione, diventa più permeabile e ciò favorisce la traslocazione batterica. Questo aspetto è di fondamentale importanza perché, se la donna si trova in condizioni di Eubiosi, il contatto del feto con i ceppi batterici corretti creerà una condizione molto favorevole che permetterà all’intestino del neonato di entrare in contatto i bifidi. Se, invece, la donna gravida si trova in Disbiosi, si può assistere al passaggio dal circolo ematico materno, attraverso la placenta, al feto di ceppi batterici diversi che potrebbero comportare una maggiore esposizione a patologie da parte del neonato.

Il terzo trimestre di gravidanza è fondamentale per lo sviluppo del feto. Se l’intestino della gestante è in Eubiosi, sarà favorita una corretta elaborazione del cibo introdotto, con una minore estrazione di calorie dagli alimenti ed un più facile controllo del peso. In caso contrario, la presenza di Disbiosi intestinale durante la gravidanza determina un maggiore assorbimento di calorie che porterà ad un incremento ponderale della gestante con aumento del rischio di insorgenza di diabete gestazionale, mentre nel nel neonato si può assistere allo sviluppo di diabete infantile, allergie, obesità infantile, ecc. La Disbiosi è direttamente coinvolta nell’obesità perché crea una condizione di infiammazione a basso grado responsabile della scorretta elaborazione ed assorbimento dei principi nutrizionali con conseguente incremento di peso. La stessa problematica la si può verificare anche in individui normali anch’essi in Disbiosi.

La Disbiosi favorisce, inoltre, lo sviluppo di un intestino permeabile, con conseguente incremento della predisposizione allo sviluppo di malattie infiammatorie croniche dell’intestino quali M. di Crhon, RCU, Gluten Sensitivity ed anche Autismo

L’allattamento al seno da parte di una donna in Eubiosi è protettivo in quanto consente di abbassare il rischio di insorgenza di diabete, obesità, malattie autoimmuni e allergie nel neonato. Attraverso l’allattamento al seno, inoltre, si ha un ridotto sovraccarico funzionale a carico di fegato e reni.

Un altro aspetto importante dell’allattamento al seno è determinato dal fatto che, oltre alle IgA secretorie, il latte materno è ricco di Lisozima. Entrambe queste molecole inibiscono la proliferazione di patogeni, favorendo la crescita di bifidi. La Lattoferrina materna, invece, facilita l’assorbimento del ferro a livello intestinale sottraendolo ai patogeni che lo utilizzano (bacteroides ed enterobatteri).

Nel latte artificiale, la Lattoferrina viene denaturata ed il ferro resta nel lume intestinale e si trasforma in un ottimo substrato nutritivo per alcuni patogeni quali enterobatteri e bacteroides. L’allattamento artificiale, inoltre, facilita l’instaurarsi e lo sviluppo di clostridum ed escherichia spp associato ad un ridimensionamento della popolazione di bifidobatteri.

I bifido batteri sono i ceppi più importanti del piccolo intestino. Vanno assunti soprattutto nel terzo trimestre di gravidanza per stimolare la produzione di serotonina con riduzione delle alterazioni del tono dell’umore (riduce la possibilità che si possa instaurare una Sindrome depressiva postpartum), contribuiscono a contenere la problematica della stipsi in gravidanza associandoli ad un coretto stile di vita ed alimentare, favoriscono l’assorbimento di vit B12, riducono il rischio di diabete gestazionale.

 A cura del Dr. Stimolo Angelo – Medico Chirurgo, esperto in Idrocolon terapia e benessere intestinale.



March 4, 2014 Newsletter

La mancanza di tempo e lo stile di vita sempre più frenetico portano spesso alla scelta di prodotti da forno di tipo industriale, che spesso utilizzano,per la levitazione dei loro impasti, composti chimici.

Il LIEVITO CHIMICO è infatti costituito da sostanze che, in determinate condizioni, reagiscono tra di loro o con altri componenti dell’impasto per generare gas (quasi sempre anidride carbonica) che permette, come nel caso della lievitazione da lievito di birra, l’espansione dell’impasto.

I lieviti chimici più diffusi sono: CARBONATO DI SODIO, POTASSIO, AMMONIO E MAGNESIO (E500, E 501, E503, E504), TARTRATO DI SODIO (E335), TARTRATO DI POTASSIO (O CREMOR TARTARO, E336), ACIDO TARTARICO (E 334) e

GLUCONE DELTA LATTTONE (E575). Si tratta di composti chimici presenti anche in natura ma che, nella maggioranza dei casi, vengono prodotti per sintesi chimica.

Queste sostanze, per legge, sono classificate come ADDITIVI e sono tecnicamente definite “AGENTI LIEVITANTI”. La loro caratteristica è quella di generare gas molto più velocemente dei loro “parenti” biologici e quindi di risultare più adatte alla preparazione di dolci industriali.

L’azione chimica di questi agenti, tuttavia, non avviene solo nell’impasto ma continua anche nello stomaco e successivamente nell’intestino, favorendo PROCESSI DI FERMENTAZIONE che creano i fastidiosi effetti di GONFIORE, METEORISMO e AEROFAGIA, dati dalla presenza di CO2, che compaiono puntuali al termine di un’abbuffata.

Dagli ultimi studi compiuti dal POLICLINICO SAN MATTEO di PAVIA utilizzando il test ALCAT

l’unico esame sulle intolleranze riconosciuto in America dalla FDA (Food and Drug Administration)

  • è stato possibile rilevare come, nel corso del 2013, tutti coloro che presentavano un’intolleranza ai LIEVITI nei mesi di NOVEMBRE e DICEMBRE mostravano un’alta positività al LIEVITO CHIMICO. Tale risultato è facilmente comprensibile se si tiene conto del grande consumo di dolci e prodotti da forno LIEVITATI CHIMICAMENTE che vengono consumati durante le vacanze natalizie. Tale situazione crea le condizioni ottimali per lo sviluppo di CANDIDA abicans che, nel mese di GENNAIO, raggiunge il picco di intolleranza (dati ALCAT dall’Ospedale San Matteo di Pavia, anno 2013). La presenza di questo fungo, oltre a provocare gli sgradevoli e conosciuti effetti, predispone anche all’insorgenza di INTOLLERANZE ALIMENTARI a causa dell’aumentata permeabilità della mucosa intestinale (DISBIOSI).

Per scongiurare tale situazione al ritorno delle vacanze, quindi, cercate di evitare, per quanto possibile, dolci e prodotti da forno lievitati chimicamente ed approfittate delle ferie per cucinare dolci fatti in casa con lievito madre, lasciando i “chimici dei dolci” nei loro asettici barattoli.

Articolo di Davide Iozzi, Biologo nutrizionista, esperto in nutrizione umana, collaboratore dell’Istituto di Medicina Genetica Preventiva (I.M.Ge.P.) di Milano.



October 5, 2013 RASSEGNA STAMPA

IL LIBRO TRUCCHI E RICETTE PER CHI SOFFRE DI QUESTA INTOLLERANZA POCO NOTA

Nonna blogger insegna a vivere senza nichel – scarichi l’immagine dell’articolo (68 kb)

CASALINGA, madre, nonna. E ora scrittrice. La prima in Italia a pubblicare un libro di ricette per chi soffre di intolleranza al nichel. Tiziana Colombo, 53enne di Cavenago, è una piccola celebrità: da qualche tempo gira l’Italia per raccontare la sua esperienza, per spiegare agli alunni delle scuole alberghiere come preparare piatti gustosi depurandoli dell’odiato metallo.

130411_colomboCONFERENZE a Bari, Roma, Bolzano, Piacenza, Catania, Milano. Dunque conferenziera, appunto scrittrice, in partenza blogger. Perché tutto nasce dal suo blog «nonnapaperina» che fa il pieno di contatti raccontando che è possibile mangiare bene, anzi benissimo, dribblando allergie e intolleranze. Troppo appassionata della buona cucina, Tiziana, per arrendersi. E così comincia a studiare, a confrontarsi con i medici specialisti, ad ascoltare il vissuto di chi è stato costretto a modificare le proprie abitudini. «Ho sofferto per anni di disturbi di cui nessuno aveva capito l’origine: solo nel 2009 ho saputo di essere intollerante al nichel». Invece di scoraggiarsi, inizia la battaglia: «Da allora mi sono impegnata per sensibilizzare la popolazione e le istituzioni. Non c’è abbastanza considerazione, tant’è che l’esame specifico non viene nemmeno passato dalla mutua».

DA INTERNET alla carta il passo è stato breve: nel volume pubblicato da Silvana Editoriale, intitolato «Nichel. L’intolleranza? La cuciniamo», c’è un vasto campionario di ricette, almeno 115, e un lungo elenco di consigli sui metodi di cottura e le pentole da utilizzare, sui detersivi o i cosmetici da evitare. «Un libro così è una novità in Italia perché non esiste una sensibilità diffusa verso questa intolleranza. Ma gli incontri in giro per l’Italia testimoniano che un piccolo interesse sta nascendo. Anche perché l’intolleranza al nichel è sempre più frequente e colpisce soprattutto le donne. E i disturbi sono gravi, dalle crisi d’asma ai mal di testa ricorrenti». Il ricavato servirà a finanziare il sodalizio nato per sensibilizzare le istituzioni: «Sono riuscita a ricostruire la mia quotidianità, ora voglio aiutare altre persone che vivono questa condizione».

Rassegna stampa: La Stampa – 27 maggio 2013 – di MARCO DOZIO



Modulation of the anticancer immunity by natural agents: inhibition of T regulatory lymphocyte generation by arabinoxylan in patients with locally limited or metastatic solid tumors

lissoniResearch Article (download PDF version)

Paolo Lissoni1,*, Giusy Messina1, Fernando Brivio2, Luca Fumagalli2, Luigi Vigoré3, Franco Rovelli3, Luisa Maruelli4, Mauro Miceli4, Paolo Marchiori4, Giorgio Porro1, Michael Held5, Giuseppe di Fede6, Toshi Uchiyamada7

1 Division of Radiation Oncology, San Gerardo Hospital, Milan, Italy
2 Division of Surgery, San Gerardo Hospital, Milan, Italy
3 Laboratory of Immunomicrobiology, San Gerardo Hospital, Milan, Italy
4 Natur-Spiritual, Milan, Italy
5 Biological Medicine Center, Rome, Italy
6 Institute of Biological Medicine, Milan, Italy
7 Daiwa Pharmaceuticals, Tokyo, Japan

dr. Paolo Lissoni

*Correspondence: Dr. Paolo Lissoni, Divisione di Radioterapia Oncologica, Ospedale S.Gerardo, 20052 Monza, Milano, Italy; Fax: +390392332284, e-mail: p.lissoni@hsgerardo.org
Key words: Anticancer immunity, arabinoxylan, immunostimulation, T regulatory lymphocytes
Abbreviations: interleukin 10, (IL-10); interleukin 6, (IL-6); interleukin-2, (IL-2); interleukn 12, (IL-12); NK cells, (CD16+CD56+); T cytotoxic lymphocytes, (CD8+); T helper lymphocytes, (TH), (CD4+); T lymphocites, (CD3+); Transforming growth factor beta, (TGF-β) T-regulatory lymphocytes, (T-reg), (CD4+CD25+)

Received: 30 September 2008; Revised: 1 November 2008
Accepted: 17 November 2008; electronically published: December 2008

Summary

In the last years, several immunomodulating antitumor agents have demonstrated in the nature, particularly from Aloe plant and rice bran. However, the major problem concerning the natural antitumor agents is to define their immune mechanisms of action in relation to the more recent advances in tumor immunobiology. At present, the main cause responsible for the lack of an effective antitumor response in advanced cancer patients is belived to be represented by the generation of a subtype of T helper lymphocytes (CD4+) with suppressive activity on anticancer immunity, the so-called T regulatory lymphocytes (T reg), which may be clinically identified as CD4+CD25+ cells. On this basis, a study was planned to evaluate the effect of rice bran extract arabinoxylan on T reg cell count and percentage in solid tumor patients in relation to the various lymphocyte subpopulations. The study included 22 evaluable cancer patients, 16 of whom had an untreatable metastatic solid tumor. Arabinoxylan was given orally at a dose of 2000 mg/day for the first month, followed by a dose of 1000 mg/day for the next month. In each patient we evaluated by monoclonal antibodies the absolute number of lymphocytes, T lymphocytes (CD3+), T helper (TH) lymphocytes (CD4+), T cytotoxic lymphocytes (CD8+), NK cells (CD16+CD56+), T reg lymphocytes (CD4+CD25+) and TH/T reg ratio before and after 2 months of therapy. No substantial change occurred on therapy in the mean number of lymphocytes, CD3+, CD8+ and NK cells. On the other hand, the mean number of TH cells increased, whereas that of T reg cell decreased on treatment, even though none of these differences was statistically significant. On the contrary, TH/T reg mean ratio significantly enhanced after arabinoxylan therapy. In addition to its previously demonstrated stimulatory action on NK function, this study shows that arabinoxylan may inhibit the production of T reg cells, which are responsible for cancer-related immunosuppression, with a following improvement in the anticancer immunity. If further studies will confirm these results, arabinoxylan could be successfully associated with chemotherapy to induce not only a cytotoxic destruction of cancer cells, but also an improvement in the immune status.

I. Introduction
The recent advances in the definition of the mechanisms responsible for tumor progression have suggested the possibility to control cancer growth not only trough chemotherapy-induced cancer cell destruction, but also by stimulating the anticancer immunity. In addiction to the exisence of endogenous antitumor molecules, several agents capable of stimulating the anticancer immunity have alsso isolated from plants. However, the immunomodulatory effects of most natural immunomodulating agents need to be better investigated in an attempt to establish their mechanisms of action in relation to the most recent discoveries concerning the physiopathology of the anticancer immunity. At present, Aloe extracts (Lissoni et al, 1998) and arabinoxylan extract from rice bran (Ghoneum and Jewett, 2000) would represent some of the potential natural agents which could be utilized in the complementary therapy of human neoplasms. Today, it is known that the antitumor immune response is the end-result of several interactions involving cytokines and immune cells, provided by stimulatory or suppressive effects on the anticancer immunity (Atzpodien and Kirchner, 1990; Rosenberg, 1992). Therefore, the lack of an effective anticancer immune response in most cancer patients with advanced disease would simply depend on the prevalence of immunosuppressive mechansisms with respect to the immunostimulatory ones (Atzpodien and Kirchner, 1990). The anticancer immunity is mainly activated by T helper-type 1 lymphocytes by releasing IL-2 (Whittington and Faulds, 1993), and by dentritic cells, which act as antigen-presenting cells producing IL-12 (Banks et al, 1995), T cytotoxic lymphocytes and NK-LAK system, which are involved in the induction of the antigen-dependent and antigen-independent cytotoxicity, respectively (Atzpodien and Kirchner, 1990). Therefore, IL-2 and IL-12 would represent the main anticancer cytokines in humans. On the contrary, the suppression of the anticancer immune response is mediated by several cytokines, namely IL-10 (Moore et al, 1993), IL-6 (Matsuda and Hirano, 1990) and TGF-β (Shevach, 2002). Recently, however, it has been demonstrated that the various endogenous suppressive factors would exert their inhibitory immune effect through a common end-mechanism, consisting of the generation of a subtype of T helper lymphocytes (CD4+cells), provided by a fundamental suppressive activity on the anticancer immunity, the so-called T regulatory lymphocyte (T reg) (Dieckmann et al, 2001), which at present seems to constitute the main mechanism responsible for cancer-related immunosuppressive status. T reg cells may be identified by the simultaneous expression of the alpha-chain of IL-2 receptor (CD25) and CD4 antigen (Dieckmann et al, 2001). Then, T reg cells may be clinically recognized as CD4+CD25+ lymphocytes. Therefore, each eventual natural immunomodulating agent would have to be investigated in relation to its possible effect on T reg generation since, at least from a theoretical point of view, each natural agent capable of counteracting T reg activity could positively influence the prognosis of the neoplastic disease by improving the efficacy of the anticancer immune response. Moreover, our previous preliminary studies have suggested that the percentage of T reg cells with respect to the total number of T helper cells, as expressed as CD4/CD4CD25 ratio, may represent an optimal synthetic immune index to investigate the functional status of the anticancer immunity in the single cancer patient, by representing the synthesis of the actions of the great number of immunostimulating and immunosuppressive factors involved in the modulation of the anticancer immunity (Dieckmann et al, 2001). Within the great number of natural agents derived from plants and potentially usefull to be employed in the complementary therapy of cancer, arabinoxylan would seem to represent one of the potential natural agent, because of its efficacy in improving the clinical status of cancer patients (Ghoneum and Jewett, 2000; Ghoneum and Gollapudi, 2005; Markus et al, 2006; Ghoneum et al, 2007). The immunomodulating properties of this nautral substances extracted from plants have been confirmed by experimental studies, but unfortunately most experiments have been limited to the investigations of they effects on non-specific immune parameters for the anticancer immunity, such as NK cell cytotoxicity. In contrast, since reg cells play a fundamental role in suppressing the generation of the anticancer immunty, each potential antitumor immunomodulatory natural substances, would have to be investigated also in relation to their eventual influence on T reg cell system. On the basis of the recent discoveries in tumor immunobiology (Dieckmann et al, 2001; Shevach, 2002), a study was planned to investigate the possible influence of arabinoxylan on both absolute number of T reg cells and their ratio with respect to the total CD4+ T cells in a group of solid tumor patients, affected by locally limited or metastatic disease.

II. Materials and methods
The study included 24 consecutive patients, 18 of whom had a metastatic solid tumor, which did not respond to the conventional anticancer chemotherapies and for whom no other effective standard treatment was available, while the remaining 6 patients had been surgically treated for a locally limited neoplasm. Patients were followed at Biological Medical Institute of Milan and the protocol was approved by the Director of the Institute. Eligibility criteria were, as follows:histologically proven locally limited or metastatic solid tumor, no double tumor, no chronic therapy with corticosteroids because of their immunosuppressive effects and no concomitant treatment with other immunomodulating agents,such as interferons,interleukins and monoclonal antibodies. At the time of the start of arabinoxylan therapy, patients with untreatable metastatic cancer were under treatment with the only supportive care, consisting of anti-inflammatory agents for pain, anti-dopaminergic drugs for nausea and vomiting and with the pineal hormone melatonin for the therapy of the neoplastic cachexia (Banks et al, 1995). Patients were considered as fully evaluable when they had received arabinoxylan therapy for at least 2 consecutive months. Arabinoxylan was given orally at a dose of 1000 mg twice/day for the first month, followed by a dose of 1000 mg/day for the next month. Arabinoxylan was supplied by DAIWA Pharmaceutical (Tokyo, Japan). It was derived from rice bran treated enzymatically with an extract of the shiitake mushrooms. It is a polysaccharide containing β-1,4-xylopironase hemicellulose, commercially available and known as Biobran. For the immune investigation, venous blood samples were collected in the morning after an overnight fast before the onset of arabinoxylan therapy and after 2 consecutive months of treatment. In each blood sample, we evaluated the absolute number of total lymphocytes, T lymphocytes (CD3+), T helper (TH) lymphocytes (CD4+), T cytotoxic lymphocytes (CD8+), NK cells (CD16+ CD56+ and T regulatory (T reg) lymphocytes (CD4+ CD25+). The different lymphocyte subsets were measured with a flow cytometric assay by using specific monoclonal antibodies supplied by Becton-Dickinson (Milan, Italy). Moreover, because of the importance not only of their absolute number, but also of their percentage with respect to the other lymphocyte subsets, namely to that of CD4+ cells, CD4/CD4CD25 ratio, corresponding to TH/T reg ratio, was also determined before and after therapy. Normal values (95% confidence limits) of T reg number and TH/T reg ratio observed in our laboratory were below 240/mm3 and above 4.0, respectively. Data were reported as mean +/- SE and statistically analyzed by the Student’s t test, the analysis of variance and the chi-square test, as appropriate.

III. Results
Evaluable patients were 22/24, while the remaining 2 patients, both affected by untreatable disseminated liver metastases due to colorectal cancer, rapidly died for disease progression before concluding the two planned months of arabinoxylan therapy. The clinical characteristics of the evaluable patients are reported in Table 1. Figure 1 illustrates changes in the mean number of total lymphocytes, T lymphocytes, T cytotoxic lymphocytes and NK cells occurring after 2 months of arabinoxylan therapy. No substantial variation was found in the mean number of lymphocytes, T lymphocytes, T cytotoxic lymphocytes and NK cells under arabinoxylan treatment. In contrast, as illustrated in Figure 2, TH and T reg mean numbers increased and decreased, respectively, after arabinoxylan therapy, without, however statistically significant differences with respect to the values seen prior to therapy. On the contrary, a statistically significant increase in TH/T reg mean ratio was achieved after arabinoxylan therapy (p<0.025). The increase in TH/T reg ratio under arabinoxylan therapy was more pronounced in patients with an abnormally low ratio prior to therapy with respect to that occurring in those with normal pre-treatment ratio, however without statistically significant differences ( 2.3 +/- 0.4 vs 1.7 +/- 0.5). In more detail,
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Figure 1. Changes in the number of lymphocytes, Tlymphocytes (CD3), T cytotoxic lymphocytes (CD8) and NK cells (CD16 CD56) after 2 months of arabinoxylan therapy.
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Figure 2. Changes in the mean number of T helper (TH) lymphocytes (CD4) and T regulatory lymphocytes (cd4 cd24) and in TH/T reg mean ratio.

before arabinoxylan therapy, an abnormally low TH/T reg ratio was present in 12/22 (55%) evaluable patients. Arabinoxylan treatment induced a normalization of TH/T reg ratio in 5/12 (42%) patients with an abnormally low ratio prior to therapy. The percentage of arabinoxylan-induced TH/T reg normalization obtained in lymphocytopenic patients was not significantly different from that achieved in patients with normal pre-treatment lymphocyte count ( 3/7(43%) vs 2/5(40%) ). No toxicity was observed under arabinoxylan treatment, which was well tolerated in all patients. Asthenia was present in 8/22 (36%) evaluable patients. An evident relief of asthenia, as assessed by a specific patient report, was obtained under arabinoxylan therapy in 5/8 (63%) patients.

IV. Discussion
Previous experimental studies had already demonstrated some immunomodulating properties of arabinoxylan, in particular consisting of stimulation of NK cytotoxic function (Ghoneum, 1998), whereas NK cell number did not seem to be influenced by arabinoxylan administration. However, it has to be remarked that NK cells were belived to be fundamental in the antitumor immunity until some years ago, before the discovery of the essential role played by the antitumor cytokines, such as IL-2 and IL-12 (Whittington and Faulds, 1993) and dendritic cells, because of their function as antigen-presenting cells (Banks et al, 1995). In fact, it has to be considered that the cytotoxic activity of NK cells is effective only against artificial laboratory cancer cell lines, whose biological malignant properties are different from those presented by fresh human tumor cells (Whittington and Faulds, 1993). In addition, NK cells have been proven to be also able to destroy fresh human cancer cells only after the activation of their cytotoxic function by IL-2 (Atzpodien and Kirchner, 1990). From this point of view, arabinoxylan had been already proven to amplify the stimulatory effect of IL-2 on NK-mediated antitumor cytotoxicity (Ghoneum and Jewett, 2000). In contrast, no study has been performed up to now to evaluate the possible influence of arabinoxylan not only on the mechanisms responsible for the generation of an effective anticancer immune response, but also on those involved in the suppression of anticancer immunity. The results of this preliminary study, carried out to evaluate the influence of arabinoxylan on T reg cells, which represent the most important cells involved in the suppression of the antitumor cytotoxic immune response, demonstrates that arabinoxylan may counteract T reg cell generation by reducing their number and percentage with respect to the total amounts of CD4+ cells and circulating lymphocytes. Since NK cell function is inhibited by T reg activation (Shevach, 2002), the previously demonstrated arabinoxylan-induced stimulation of NK cell cytotoxic function might depend at least in part on its capacity of counteracting T reg generation (Dieckmann et al, 2001). Moreover, this study would suggest that the inhibitory action of arabinoxylan on T reg generation is more pronounced in patients with an abnormally high percentage of T reg cells prior to therapy, with a following pre-treatment abnormally low TH/T reg ratio before therapy, whereas its effect was less evident in patients with a pre-treatment value of TH/T reg ratio within the normal range. Therefore, the influence of arabinoxylan on T reg generation would consist of a modulatory action rather than an inhibitory activity. This finding could explain a potential favourable immunomodulatory effect of arabinoxylan also in patients with autoimmune diseases (Ghoneum, 1998), who in contrast to cancer patients would tend to present abnormally low amounts of T reg cells. In any case, the importance of the inhibition of T reg generation in the induction of an effective anticancer immune response has been recently confirmed by the evidence that the block of T reg activity by specific monoclonal antibodies may induce objective tumor regressions in humans (Yang et al, 2007). Obviously, the major problem is the exact identification of he T reg cell population. Even though T reg cells may express other immune markers, namely FOX-p2 cytoplasmatic antigen, most clinicians are in agreement to identify the CD4+CD25+ cells as T reg lymphocytes (12). In any case, further studies, by evaluating other immune markers, will be required to better identify T reg cells population, namely FOX-p3, even though recently some Authors have shown that FOX-p3 expression by T reg cells is associated with a lower suppressive activity (Dieckmann et al, 2001; Shevach, 2002). Moreover, it has to be remarked that several patients included in the present study were concomitantly under palliative therapy with the anti-cachectic pineal hormone melatonin (Brzezinski, 1997), which may also play immunomodulating effects (Maestroni, 1993). Therefore, further randomized studies with arabinoxylan alone versus arabinoxylan plus melatonin will be required to better define the immunomodulating action of arabinoxylan. If further clinical and experimental studies will confirm the inhibitory action of arabinoxylan on T reg cell system, it could be included in cytokine-based immunotherapies to enhance their efficacy by counteracting T reg cell generation.

References
Atzpodien J, Kirchner H (1990) Cancer, cytokines and cytotoxic cells:interleukin-2 in the immunotherapy of human neoplasms. Klin Wochenschr 14, 1-10.
Banks RE, Patel PM, Selby PJ (1995) Interleukin-12:a novel clinical player in cytokine therapy. Br J cancer 71, 655-659.
Brzezinski A (1997) Melatonin in humans. N Engl J Med 336, 185-195.
Dieckmann D, Plottner H, Berchtold S, Berger T, Schuler G (2001) Ex vivo isolation and characterization of CD4+CD25+ T cells with regulatory properties from human blood. J Exp Med 193, 1303-1310.
Ghoneum M (1998) Enhancement of human natural killer cell activity by modified arabinoxylane fro rice bran(MGN-3). Int J Immunother 14, 89-99.
Ghoneum M, Gollapudi S (2005) Synergistic of arabinoxilan rice bran (MGN-3/Biobran in S. Cerevisiae-induced apoptosis of monolayer breast cancer MFC-7 cells. Anticancer Res 25(6B), 4187-96.
Ghoneum M, Brown J, Gollapudi S (2007) Yeast therapy for the treatment of cancer and its enhancement by MGN-3/Biobran, an arabinoxylan rice bran. Cellular Signaling and Apoptosis Research (Ed. Alex R. Demasi) Cap IV: 185-200.
Ghoneum M, Jewett A (2000) Production of tumor necrosis factor-alpha and interferon-gamma from human peripheral blood lymphocytes by MGN-3, a modified arabinoxylan from rice bran, and its synergy with interleukin-2 in vitro. Cancer Detect Prevent 24, 314-324.
Lissoni P, Giani L, Zerbini S, Trabattoni P, Rovelli F (1998) Biotherapy with the pineal immunomodulating hormone melatonin versus melatonin plus Aloe vera in untreatable advanced solid neoplasms. Nat Immun 16, 27-33.
Maestroni JGM (1993) The immunoneuroendocrine role of melatonin. J Pineal Res 14, 1-10.
Markus J, Miller A, Smith M, Orengo I (2006) Metastatic hemangiopericytoma of the skin treated with wide local excision and MGN-3. Dermatol Surg 32, 145-147.
Matsuda T, Hirano T (1990) Interleukin-6 (IL-6). Biotherapy 2, 363-371.
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Shevach EM (2002) CD4+CD25+ suppressor T cells:more questions than answers. Nat Rev Immunol 2, 389-400.
Whittington R, Faulds D (1993) Interleukin-2. Drugs 46, 446-514.
Yang JC, Hughes M, Kammula U, Royal R, Sherry RM, Topalian SL, Suri KB, Levy C, Allen T, Mavroukakis, Lowy I, White DE, Rosenberg SA (2007) Ipilimubab (anti-CTLA4 antibody)causes regression of metastatic renal cell cancer associated with enteritis and hypophysitis. J Immunother 30, 825-830.

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September 30, 2013 Newsletter

La Paleo Diet è una dieta che si basa su un principio molto semplice, ma altrettanto efficace: la comunanza dell’uomo moderno con le popolazioni del Paleolitico.

Dalle analisi del DNA è, infatti, emerso che gli essere umani rispetto ai loro antenati di 40.000 anni fa non sono cambiati quasi per nulla. Sulla base di questo principio si è osservata l’alimentazione dei nostri più antichi predecessori, che non avevano ancora scoperto l’agricoltura e la successiva elaborazione dei cibi.

In pratica i nostri antenati:

  • Non mangiavano latticini
  • Consumavano un solo zucchero raffinato: il miele
  • Si nutrivano di animali selvatici magri e quindi con un’alimentazione più proteica rispetto alla nostra
  • I carboidrati che assumevano venivano tutti da frutta e verdura con un’assunzione di fibre più alta (quindi non è vero che la PaleoDiet è una dieta esclusivamente proteica.)
  • I grassi che consumavano erano grassi “sani” (mono insaturi, polinsaturi e omega 3) e non quelli dannosi (saturi.)

Sebbene la Paleo Diet risulti essere il regime alimentare più idoneo sia per il dimagrimento (perdita di massa grassa e non magra) sia per una vita più lunga e salutare, anche con questo tipo dieta è possibile che si manifestino disturbi dovuti alle intolleranze alimentari.

Le intolleranze alimentari, definibili sinteticamente come reazioni negative del sistema immunitario nei confronti di alcuni alimenti o additivi presenti in essi, si manifestano con una sintomatologia molto varia:

  • ritenzione idrica
  • stanchezza e debolezza muscolare
  • alterazioni del metabolismo (sovrappeso e obesità)
  • problemi all’apparato gastroenterico
  • problemi all’apparato muscolo scheletrico
  • problemi all’apparato respiratorio.

Il metodo più affidabile per diagnosticarle è Alcat Test, un test di laboratorio standardizzato che si effettua tramite prelievo venoso e grazie al quale è possibile individuare gli alimenti da escludere e/o sostituire in un determinato piano alimentare.

Per citare un esempio concreto: se la mia dieta prevede come frutta le pere e come verdura gli spinaci, dovrei sicuramente sostituire questi alimenti ad alto contenuto di Nickel nel caso in cui, in seguito ai risultati ottenuti con ALCAT TEST, scoprissi di essere intollerante al Nickel.

Per allenarsi con un Personal trainer è importante impostare un piano alimentare efficace, come quello previsto dalla Paleo Diet (prescritto da un dietologo), e tenere in considerazione che, se la massa grassa rimane invariata e nel soggetto allenato non si riduce la presenza di ritenzione idrica, è senz’altro opportuno modificare la dieta verificando la presenza di eventuali intolleranze alimentari.

In sintesi, un buon personal trainer deve, oltre a indirizzare il proprio cliente verso un regime alimentare corretto, osservare l’andamento del dimagrimento e cercare di capire quali possano essere le cause della tanto temuta fase “plateau” della dieta (fase in cui la dieta non ha effetti dimagranti). In questo caso, è buona norma indirizzare l’allievo verso un test completo per le intolleranze alimentari come Alca test, strumento che consente di programmare un trattamento nutrizionale personalizzato per migliorare il più possibile le problematiche legate alle intolleranze.

a cura di Livio Boscarini & Daniele Albertini
Personal Trainers amministratori di Be.Come Personal Training



October 30, 2012 Newsletter

Dopo aver presentato pregi e difetti di “zucchero bianco, di canna e fruttosio“, (Come dolcificare nel modo migliore? – parte 1) proseguiamo la panoramica sui dolcificanti naturali e sintetici valutando: saccarina, aspartame, sucralosio e stevia.

SACCARINA: La saccarina è stata il primo dolcificante artificiale. La parola deriva dal latino e significa zucchero. È disponibile in tre forme: Acido Saccarinico, Saccarina di Sodio, Saccarina di Calcio. Quella più usata è la saccarina di sodio.

Ha un potere dolcificante 300 volte superiore al saccarosio, ma presenta un retrogusto leggermente amaro e metallico, generalmente considerato sgradevole specialmente ad alte concentrazioni. A differenza di simili composti di sintesi (es. aspartame), la saccarina è stabile al calore anche in ambiente acido, è inerte rispetto agli altri ingredienti alimentari e non richiede precauzioni di conservazione. Nei paesi in cui l’uso di entrambi i composti è consentito, la saccarina è spesso associata al Ciclammato in proporzioni 1:10 per correggere i citati difetti di retrogusto; è spesso associata anche all’aspartame.

Nel 1878 fu scoperta casualmente in un laboratorio, dove si lavorava il catrame. Fu una scoperta importante, soprattutto per i diabetici. Infatti, la saccarina transita attraverso l’apparato digerente senza alterare i livelli sanguigni d’insulina e in pratica senza fornire alcuna energia all’organismo.

Preoccupazione sulla potenziale nocività e cancerogenicità si espresse massimamente nel 1977, quando fu pubblicato un lavoro che comunicava l’aumento d’incidenza del cancro alla vescica in ratti alimentati con alte dosi di saccarina. Al momento, viste le bassissime quantità di utilizzo, non è stata dimostrata per tali quantità nessuna correlazione. La saccarina è impiegata in una grande varietà di cibi, bevande e cosmetici.

Non è metabolizzata dal nostro organismo; una volta assunta, è rapidamente assorbita (circa 90%) e come tale eliminata con le urine, senza subire modifiche. Non influenza i livelli glicemici e non fornisce alcuna energia all’organismo. Non favorisce la carie e quindi consigliata nelle diete ipocaloriche e nei diabetici. Restano, tuttavia, molti dubbi sulla tossicità, pur esistendo tantissimi studi che ne confermano la sicurezza per dosi di consumo normali. I dubbi circa il coinvolgimento della sostanza nei confronti del cancro alla vescica restano. Molta prudenza per l’uso in gravidanza, data la capacità di attraversare la placenta.

ASPARTAME: L’aspartame è un altro dolcificante artificiale. E’ composto da due aminoacidi, l’acido aspartico e la fenilalanina, più il metanolo che esterifica l’estremità carbossilica della Fenilalanina.

Pur avendo le stesse calorie dello zucchero, il suo potere dolcificante è 200 volte superiore; per questa ragione ne servono piccole quantità per dolcificare cibi e bevande.

Le persone che soffrono di fenilchetonuria (hanno difficoltà nell’assimilare la fenilalanina), devono limitare l’assunzione di questo dolcificante perché è fonte di fenilalanina.
L’utilizzo come dolcificante alimentare, con la sigla E 951, è autorizzato in dose massima giornaliera di 40 mg./Kg di peso. Esistono molte diatribe sul ruolo cancerogeno dell’aspartame (ci sono numerosi studi in merito). Nel 1980, un’inchiesta decretò la mancanza di dati sufficienti a confermare il legame tra aspartame e tumori al cervello.

Tuttavia, fu negata una nuova autorizzazione all’uso, in attesa di nuovi dati. Altri studi evidenziarono l’aumento dell’incidenza di linfomi e leucemie nei topi femmine a seguito dell’assunzione di vari dosaggi di aspartame. Inoltre, uno studio italiano ha confermato questi dati, e ha ipotizzato un legame tra formaldeide (il metabolismo dell’Aspartame, libera anche Metanolo, trasformato prima in Formaldeide e poi in Acido Formico, entrambi tossici) rilasciata dal metabolismo dell’aspartame e l’aumento di tumori cerebrali (Europee Journal of Oncology, del 2005). Entro settembre 2012, l’EFSA, la corrispondente europea dell’FDA americana, dovrà rivalutare la sicurezza dell’aspartame. Particolare importante: qualora sia presente un disturbo (potrebbero esisterne diversi), imputabile all’assunzione di aspartame, sono necessari 60 giorni senza assunzione di aspartame, per far regredire tale sintomatologia.

Uno dei più grossi limiti dell’aspartame è quello della non resistenza alle temperature (superiori ai 30°), quindi anche quella del corpo umano, che attiverebbe i processi che portano alla liberazione delle sostanze tossiche di cui parlavo prima. Per dovere d’informazione, riporto quali sono i punti a favore dell’aspartame che ne spingono l’utilizzo: basso potere calorico (essendo circa 200 volte più dolce del saccarosio) per cui ne servono piccolissime quantità; Non innalza la glicemia, per cui adatto ai diabetici, ma ricordiamo tutti i grossi dubbi ancora esistenti.

SUCRALOSIO: Diffuso da poco tempo, anche se scoperto in Inghilterra già nel 1976, questo dolcificante deriva dal saccarosio e, per le manipolazioni cui è sottoposto lo zucchero, è considerato un dolcificante artificiale.

E’ realizzato con un processo in più fasi, si parte dal classico zucchero da cucina, il saccarosio, cui sono sostituiti tre gruppi ossidrilici (formati da ossigeno e idrogeno) con tre atomi di cloro. Il risultato è un dolcificante stabile, con lo stesso sapore dello zucchero, ma senza calorie.

Dopo questa scoperta, il sucralosio, è stato sottoposto a un programma conclusivo di test sulla sicurezza per un periodo di 20 anni. Oggi il sucralosio, è autorizzato in oltre 80 paesi. Può essere utilizzato da tutti, anche da bambini, durante la gravidanza o l’allattamento, ed anche dai diabetici. Resiste al calore e può essere sottoposto a cottura, anche in forno. E’ molto utile per quanti cercano di ridurre l’assunzione di zucchero e calorie. Aumenta sempre più il numero di alimenti e bevande che sono dolcificate con sucralosio. Quello che rende possibile l’utilizzo in piccolissime quantità, è un potere dolcificante circa 600 volte superiore a quello dello zucchero.
Grosso vantaggio è l’eccellente sapore dolce, molto simile a quello dello zucchero.

Inizialmente vi fu un dubbio sul destino degli atomi di cloro, ma attendibili accertamenti hanno promosso a pieni voti questa sostanza. Infatti, il sucralosio rimane intatto nell’organismo. Il cloro non è liberato, dato che la molecola di sucralosio rimane intatta ed è eliminata quasi totalmente senza modifiche. Altro dato importante è che la molecola non interagisce minimamente con l’alimento che la contiene.

STEVIA: recentemente si è diffuso un nuovo dolcificante, che presenta interessanti caratteristiche: la stevia.

Si tratta di una piccola pianta erbacea arbustiva perenne della famiglia delle composite (lattuga, calendula, cicoria), nativa delle montagne fra Paraguay e Brasile. Ha una buona capacità dolcificante: nella sua forma naturale è circa 10/15 volte più dolce del normale zucchero da tavola. Nella sua forma più comune di polvere bianca, estratta dalle foglie della pianta, arriva a essere dalle 70 alle 400 volte più dolce dello zucchero, pertanto pare sia il dolcificante naturale più potente. Una sola fogliolina fresca dopo qualche istante, trasferisce al palato una forte sensazione dolce, lasciando alla fine un lieve retrogusto di liquirizia. I principi attivi sono lo Stevioside e il Rebaudioside A.

Non causa diabete; non ha calorie; non altera la glicemia; non dovrebbe avere tossicità (al contrario dei dolcificanti sintetici); non provoca carie; non contiene sostanze artificiali; può essere utilizzata per cucinare. Sono stati ipotizzati anche alcuni impieghi in medicina per il diabete e l’obesità. Consente, infatti, di ridurre il consumo di zucchero, specie quello bianco.

Si utilizza ormai su larga scala, in Giappone, per esempio, è già usata per dolcificare la Coca Cola Light.
La sua commercializzazione è stata a lungo ostacolata per via dei numerosi interessi legati alla produzione di altri dolcificanti ( barbabietole da zucchero, canna da zucchero ecc).

Importanti caratteristiche che la connotano sono:

  • Non è fermentabile (come lo zucchero), quindi utile a chi soffre di candida
  • Stabile al calore, almeno fino a 200° C
  • Non è tossica, quindi sicura
  • E’ senza calorie
  • Può essere utilizzata dai Diabetici e nelle diete ipocaloriche

È sicuramente un buon dolcificante naturale, già usato in molti paesi; per il momento i limiti sono dati dai costi, non ancora competitivi per la coltivazione delle piante e per l’estrazione.

Infine, per concludere questa panoramica sui dolcificanti (ricordo la prima parte dell’articolo: Come dolcificare nel modo migliore? – parte 1), vorrei esprimere solo una breve considerazione. Tra i vari dolcificanti, vale sempre la regola delle quantità, ad esempio, il fruttosio, entro limitate quantità, può essere utilizzato tranquillamente, ma aumentando il consumo crescono, in maniera direttamente proporzionale, gli svantaggi. Ricordo inoltre le virtù della stevia e del sucralosio, che veramente restano inerti e senza calorie.

a cura del Dr Francesco Lampugnani, Biologo Nutrizionista, Specialista in Farmacologia



August 30, 2012 Newsletter

Per far la vita meno amara, e per mantenere in equilibrio la nostra situazione energetica, abbiamo spesso bisogno di soddisfare la nostra voglia di “dolce”. Ma come dolcificare nel modo migliore? Dolcificanti naturali o artificiali?

Facciamo una piccola premessa.

Zucchero è un termine generale che indica tutti i Carboidrati o Glucidi, sostanze organiche formate da Carbonio, Idrogeno e Ossigeno, con formula molecolare (CH2O) n.
I Carboidrati vengono di solito classificati in semplici e complessi; quelli semplici, chiamati zuccheri, comprendono i Monosaccaridi (con una molecola di zucchero), gli Oligosaccaridi (con due o più molecole) e i Polisaccaridi (con molte molecole di zucchero). Tra i Monosaccaridi, ricordiamo il Glucosio, il Fruttosio, il Galattosio. Gli Oligosaccaridi si trovano prevalentemente nei vegetali, in particolare nei legumi.

Da un punto di vista nutrizionale, i più importanti sono i disaccaridi (con due zuccheri), tra cui:

  • Saccarosio (Glucosio+Fruttosio), lo zucchero da cucina
  • Lattosio (Galattosio+Glucosio), lo zucchero del latte
  • Maltosio (Glucosio+Glucosio), lo zucchero dei cereali.

I Polisaccaridi si formano dall’unione di numerosi monosaccaridi e si distinguono in Polisaccaridi Vegetali (Amidi e Fibre) e di Origine Animale (Glicogeno).
Oltre agli zuccheri naturali, derivanti da piante, frutti e altri prodotti naturali, vi sono i dolcificanti di sintesi, prodotti con procedimenti chimici particolari.
Fatta questa breve premessa, andiamo ad analizzare le caratteristiche delle sostanze dolcificanti, sia naturali sia sintetiche, valutando i pregi e i difetti che possono avere per noi consumatori.

Prenderemo in considerazione lo Zucchero Bianco, lo Zucchero di Canna e il Fruttosio. Seguirà un secondo articolo in cui valuteremo la Saccarina, l’Aspartame, il Sucralosio e la Stevia.

ZUCCHERO BIANCO

Lo zucchero bianco è il prodotto finale di una lunga trasformazione del succo zuccherino derivato dalla barbabietola o dalla canna da zucchero. Dapprima, il succo è depurato con calce idrata, che provoca la perdita e la distruzione di sostanze organiche, proteine, enzimi e calcio; e poi trattato con Anidride Carbonica, per eliminare i residui di calce. Prima di essere sottoposto a cottura, raffreddamento, cristallizzazione e centrifugazione, il prodotto subisce un trattamento con Acido Solforoso, che consente di eliminare il colore scuro. Si ottiene così lo zucchero grezzo. Si passa poi alla seconda fase della lavorazione in cui lo zucchero è filtrato, decolorato con carbone animale e, per eliminare il colore giallognolo residuo, colorato con il “Blu oltremare” o con il “blu Idantrene” (colorante proveniente dal catrame, quindi cancerogeno).

Il prodotto finale è una sostanza cristallina (e apparentemente naturale), che però non contiene più tutte le sostanze vitali e le vitamine presenti nella barbabietola o nella canna da zucchero.

ZUCCHERO di CANNA GREZZO

Si ottiene direttamente dal succo estratto dalle Canne da Zucchero, schiacciate con operazioni artigianali (senza l’utilizzo di sostanze chimiche). La sua consistenza granulosa o in polvere non è mai cristallina, e le canne, molto spesso, provengono da coltivazioni biologiche.

Che cosa avviene nel nostro organismo quando ingeriamo lo zucchero raffinato?

Per poter essere assimilato e digerito, e per ricostituire l’armonia di elementi distrutta nel processo di raffinazione, lo zucchero bianco sottrae al nostro organismo vitamine e sali minerali (soprattutto Calcio e Cromo). Questo tipo di situazione è molto ridotta quando s’ingerisce lo zucchero di canna grezzo, perché quest’ultimo contiene ancora alcune sostanze benefiche che invece si perdono nel processo che conduce allo zucchero bianco.

A livello intestinale, lo zucchero bianco provoca fenomeni fermentativi con produzione di gas, aumento della tensione addominale, e alterazione della flora batterica, che genera inevitabili coliti, stipsi, diarree.

Lo zucchero bianco ha, inoltre, una grande influenza sul metabolismo e sul sistema nervoso. Il rapido assorbimento dello zucchero nel sangue provoca un innalzamento della glicemia cui segue una rapida liberazione di Insulina, e la conseguente caduta del tasso glicemico (crisi ipoglicemica), caratterizzata da uno stato di malessere generalizzato, debolezza, irritabilità, nervosismo e bisogno di mangiare per sentirsi di nuovo in forma.

Questi dannosi sviluppi sono stati ampiamente verificati negli Stati Uniti, dove alcuni studi hanno evidenziato l’aumento di violenza e aggressività nei bambini che abusano di zucchero raffinato (zucchero bianco). Non dimentichiamo, inoltre, che lo zucchero è senz’altro una delle cause del sovrappeso e dell’obesità, patologie sempre più diffuse, specie tra i bambini. Considerati, dunque, i numerosi effetti negativi dello zucchero sul nostro organismo il consiglio è di moderarne l’uso, e limitare il consumo di tutti quegli alimenti lavorati e confezionati che lo contengono.

FRUTTOSIO

Il fruttosio, detto anche Levulsio, è un monosaccaride chetonico (particolare gruppo chimico, con doppio legame tra carbonio e ossigeno) che si trova prevalentemente nella frutta zuccherina, nel miele e in alcune verdure; combinato con una molecola di glucosio, forma il saccarosio, il classico zucchero da cucina.

Buona parte del fruttosio in commercio proviene dallo sciroppo di mais ricco di fruttosio, noto con l’acronimo HFCS (High Fructose Corn Syrup). Questa sostanza si ottiene convertendo il glucosio presente nell’amido di mais, mediante un processo d’isomerizzazione (glucosio e fruttosio, sono molecole simili, entrambi con sei atomi di carbonio, ma disposte nello spazio in maniera diversa).

Il Fruttosio è assorbito più lentamente dall’organismo, e una volta assorbito, non entra direttamente in circolo, ma viene trasformato in glucosio dal fegato. Una volta convertito in glucosio, può subire due trasformazioni: essere convertito in glicogeno epatico (zucchero di riserva energetica per l’organismo), o in Trigliceridi. Sicuramente il fruttosio ha il vantaggio di avere un basso impatto glicemico, ma in ogni caso, non bisogna abusarne, perché può alzare moltissimo i trigliceridi nel sangue.

Elevate quantità di fruttosio possono anche causare diarrea, dolori addominali, flatulenza.
Recentemente si è riscontrata anche la presenza d’intolleranze alimentari verso il Fruttosio (diagnosticabile con il test per le intolleranze alimentari ALCAT), da non confondere con quelle genetiche (fruttosemia genetica).

Il Fruttosio, se consumato in dosi eccessive, può anche determinare, soprattutto nei soggetti predisposti, un aumento di Acido Urico.

Tra i vantaggi c’è quello di avere un potere dolcificante del 30% superiore rispetto al saccarosio (e quindi ne serve meno). Si tratta inoltre di un valido compromesso tra l’assenza di sostanze tossiche utilizzate per la sua preparazione e i processi metabolici (vedi glicemia, insuline mia ecc) legati al suo metabolismo (punti entrambi a sfavore del saccarosio, soprattutto il bianco).

Se non supera la quantità di 30 grammi a pasto, l’assunzione di fruttosio non influisce sui valori dell’insulina, altrimenti è trasformato in glucosio e può determinare un aumento dei livelli di glicemia nel sangue (per questo motivo l’ADA, l’American Diabetes Associations, ne ha vietato l’uso ai diabetici).

Anche in questo caso, come per il saccarosio, è quindi fondamentale non abusare della sostanza.

Per completare la breve descrizione, e a riprova dell’importanza delle “quantità”, voglio evidenziare
un “chicca” biochimica che è rilevante per l’interpretazione di una serie di alterazioni tipiche del Diabete e dell’obesità. Il Fruttosio è trasportato nelle cellule per diffusione facilitata, mentre il glucosio e il lattosio sono trasportati attivamente insieme a ioni Na+, che si legano alle proteine trasportatrici che consentono di attraversare le membrane. Queste molecole trasportatrici sono chiamate GLUT, e ce ne sono almeno 5, con funzioni diverse. La GLUT 4 dipende direttamente dall’insulina, si trova soprattutto nel muscolo e nel tessuto adiposo e rappresenta la maggior attività trasportatrice di Glucosio nell’Adipocita.

segue: Come dolcificare nel modo migliore? – parte 2

a cura del Dr Francesco Lampugnani, Biologo Nutrizionista, Specialista in Farmacologia



July 30, 2012 Newsletter

La pitiriasi alba è una comune malattia della pelle, che interessa soprattutto i bambini di età compresa tra i 3 e i 16 anni, con maggiore incidenza nei maschi. Benché sia più evidente negli individui di carnagione scura, colpisce maggiormente gli individui di carnagione chiara.

A oggi, non si conosce la causa della pitiriasi alba. Tali lesioni possono tuttavia presentarsi nel contesto di una dermatite atopica, o di una psoriasi, e tale associazione suggerisce una causa infiammatoria come terreno patogenetico. A sostegno di questa ipotesi vi è, inoltre, il quadro istologico che mostra una diminuzione dei melanociti (le cellule che producono melanina) e dei melanosomi, infiltrazione di cellule infiammatorie linfocitarie a livello del derma e paracheratosi, caratteristica di diversi quadri infiammatori cutanei.

La pitiriasi alba appare come una macchia chiara, bianca, di forma circolare od ovalare, non dolente e non pruriginosa, singola o comunque in numero limitato. A differenza dalla vitiligine, le chiazze non sono mai completamente bianche; la superficie centrale è finemente desquamante, e i margini sfumati.

Le zone di presentazione possono essere ovunque, (soprattutto sulla superficie estensoria delle articolazioni), frequentemente si localizzano a livello della fronte, dell’angolo labbiale, delle guance e degli zigomi. Per il contrasto con la cute circostante, le macchie sono più visibili in estate o comunque sulla cute abbronzata. La diagnosi differenziale si pone con: vitiligine, pitiriasi vescicolare e ipocromie post traumatiche, esiti di precedenti micosi o leucoplachie.

La terapia medica non esiste, essendo un’affezione cutanea autolimitante. A volte blande crema base di cortisone sono utilizzate per brevi periodi per limitare l’estensione della macchia chiara.

La probabile associazione tra pitiriasi alba e intolleranze alimentari, in grado di scatenare una risposta immunoflogistica aspecifica, può essere presa in considerazione se esiste un “terreno” di: predisposizione individuale alle allergie alimentari, pregressa atopia, comparsa di lesioni psoriasiche cutanee.

Una certa attività anticorpale diretta verso i melanociti, creata da infiammazione cronica silente dei linfociti, si può gestire con il controllo degli alimenti riscontrati positivi al test d’intolleranza alimentare ALCAT. Il test verifica il grado di reattività dei granulociti neutrofili verso gli antigeni alimentari, capaci di innescare il processo di immunoflogosi in presenza di reazioni da intolleranza alimentare eccessiva.


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