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L’uovo: un alimento nobile, fonte preziosa di nutrienti

Le uova sono al primo posto degli alimenti ad alto valore biologico: ricchissime di proteine e in particolare di amminoacidi essenziali, ovvero quelli che il corpo non produce e che vengono impiegati dal nostro organismo per la costruzione e il mantenimento delle strutture cellulari.

Il Dott. Alessio Tosatto, biologo nutrizionista in Imbio, ci svela il tabù delle uova, un alimento tanto temuto e  criminalizzato, quanto ricco di proprietà benefiche e proteine utili al nostro organismo.

Le uova sono ricche di colesterolo? Sì, ma quello buono. 

L’uovo è un alimento che definisco povero ma ricco.

È bene subito dire che l’uovo apporta sì colesterolo, ma le lecitine contenute nel tuorlo favoriscono l’attività delle HDL cioè del colesterolo “buono”.

Bisogna anche considerare che il colesterolo che si misura nel sangue non è direttamente correlato a quello che si trova negli alimenti come le uova, ma viene formato dal fegato anche a partire da zuccheri e cereali raffinati.

Più in generale è importante ricordare che il 70-80 % del colesterolo è endogeno, ovvero prodotto dall’organismo, un suo eccesso spesso è quindi per cause genetiche.

Il colesterolo è una sostanza particolare, se si introduce correttamente con la dieta, l’organismo si adatta a produrne di meno. Inoltre, un singolo uovo in media contiene circa 2 grammi di grassi, una quantità di certo limitata rispetto ad altre fonti di proteine animali.

Cosa contengono le uova?

L’uovo contiene anche ferro, fosforo e calcio in buone quantità, oltre che la vitamina K, utile per rafforzare le ossa. Le vitamine del gruppo B, tra cui soprattutto la vitamina B12 che è molto importante nel metabolismo di carboidrati, grassi e proteine.

Nelle uova troviamo anche la vitamina D che svolge numerose azioni nell’organismo, infatti metabolismo, sistema immunitario, pelle traggono beneficio da un corretto livello di vitamina D.

La colina (vitamina J) presente nel tuorlo favorisce la pulizia del fegato, oltre che migliorare le prestazioni del sistema nervoso.

Le uova sono ricche di luteina e zeaxantina che svolgono un’azione efficace nell’impedire malattie come la degenerazione maculare (un problema della retina) associata a condizioni particolari o all’invecchiamento.

Sono quindi da sfatare tutti i miti negativi riguardo l’uovo.

Quante proteine ci sono nelle uova?

In 100 grammi di uovo sodo ci sono 13 grammi di proteine. L’albume d’uovo crudo ne ha 11 grammi, il tuorlo 16, sempre su 100 grammi. Un uovo in media pesa 60-80 grammi, dipende dalle dimensioni. Se si segue una nutrizione corretta sicuramente fino ad 1 uovo al giorno non crea alcun problema nella maggior parte delle persone.

Il metodo di cottura perfetto per le uova

Sono molto importanti i metodi di cottura. Occorre infatti tenere presente che l’albume va cotto bene per disattivare una proteina detta avidina che riduce l’assorbimento di alcune vitamine. Il tuorlo invece va cotto poco perché ricco di acidi grassi sensibili alla temperatura.

Come scegliere le uova? 

Nel caso delle uova è importante scegliere quelle da galline allevate a terra in modo naturale (uova biologiche) e magari arricchite di omega 3.

Le uova sono importanti e dovrebbero far parte, senza esagerare, di una dieta equilibrata. Hanno il pregio di costare poco, essere nutrienti e facili da cucinare, offrendo diverse alternative.

Una domanda che mi fanno spesso è “quante uova posso consumare in una settimana?”
La risposta è che dipende dalla persona e dalle esigenze, ma in un contesto di normalità e alimentazione equilibrata, si possono consumare tranquillamente fino a 7-8 uova a settimana.

L’uovo è sconsigliato solo per chi ha calcoli a livello di cistifellea perché contiene la colina, una sostanza che stimola la depurazione delle vie biliari, quindi in presenza di calcoli può dare problematiche.

L’uovo è un alimento altamente nutriente adatto a tutte le età

Adatto a tutte le età e per tutti i pasti: le uova possono essere un’ottima colazione energizzante, così come una fonte proteica del pranzo, magari in un’insalatona, oppure a cena come pietanza principale con degli ortaggi.

Aiutano a rinforzare la massa magra e le ossa, permettendo non solo una miglior definizione strutturale, ma anche e soprattutto svolgendo un’attività preventiva rispetto ai mali dell’invecchiamento, che colpiscono la fase motoria. Inoltre è ormai risaputo che le uova danno ampio senso di sazietà, consentendo di perdere peso.

Se non ci sono problematiche di intolleranze, allergie o calcolosi si possono consumare uova in quantità e frequenza superiori a quelle che vengono di norma suggerite, beneficiando quindi di un tesoro nascosto.

Contatta il Dott. Alessio Tosatto per una consulenza nutrizionale personalizzata

Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Uova, Dieta, Alimentazione
Redattore: Dott. Alessio Tosatto


May 12, 2015 Newsletter

L’8-9 maggio si è tenuto a Torino il congresso “Nutrisport” brillantemente organizzato dalla Dott.ssa Maria Teresa Caselli e dal Dott. Valter Canavero.
Ho partecipato in qualità di relatore con il gruppo IMBIO-IMGEP di Milano diretto dal Prof. Giuseppe di Fede, maestro e amico, e animato dall’instancabile lavoro della Dott.ssa Paola Carassai.
Il titolo della mia relazione è stato: “Infiammazione intestinale e Performance sportiva”, un legame regolarmente trascurato, così com’è normalmente non investigata la disbiosi intestinale di cui è figlia.
Il concetto stesso di disbiosi è legato al Microbiota intestinale, cioè la popolazione batterica che colonizza il nostro intestino per tutta la durata della nostra vita e che, come evidenziano gli studi più recenti in modo inequivocabile, risulta essere determinante nello spostare il rapporto tra salute e malattia a favore di uno o l’altro dei fattori.
Alterare, infatti, la su composizione, mi riferisco ai rapporti presenti tra le 400 specie che affollano il nostro intestino, può causare disturbi che la medicina non classifica come patologie, così come sottolinea il padre della neurogastroenterologia Michael D.Gershon (“Il secondo cervello”, ed. UTET, 2006):

“Gli studi hanno mostrato che oltre il 40% dei pazienti che ricorrono alle cure di un internista lo fanno a causa di problemi gastrointestinali. Metà di questi presenta disturbi FUNZIONALI. Il loro intestino funziona male, ma nessuno sa il perché. Non vi è alcun difetto anatomico o chimico evidente. I medici si irritano. I pazienti che si presentano ai medici con problemi senza soluzione sono percepiti come una minaccia e spesso sono dimessi come affetti da squilibrio mentale, con l’epiteto di rottami bisbigliato alle loro spalle. Sono considerati esempi di protoplasma scadente i cui processi di pensiero nevrotico si riflettono sul loro intestino.
Così il loro intestino si mette a fare i capricci in modo tale da sfidare il meglio che la medicina moderna ha da offrire, che in questo caso è l’ignoranza combinata alla mancanza di compassione”.

Inoltre:

“Oggi, l’alterazione funzionale dell’intestino è un complesso di sintomi che non ha un collegamento con la patologia”.

Il primo ad interessarsi della disbiosi intestinale è stato lo scienziato russo Elie Metchinkoff il quale spese tutta la sua vita nel proposito di assicurare una maggiore longevità al genere umano e, grazie ai suoi studi compiuti presso l’Istituto Pateur, di liberarlo dalle malattie. Il culmine della sua carriera, così totalmente dedicata alla ricerca, venne raggiunto nel 1908 quando fu insignito del premio Nobel per la medicina.
Nel suo testo più conosciuto (“The prolongation of life;optimistic studies”) Metchnikoff ricorda come la cura degli anziani, ancora di più il lavoro preventivo su di essi, rappresenti una conquista dal momento che alla sua epoca si trattava di una visione totalmente nuova.
Lo studio del microbiota e la valutazione della disbiosi intestinale si muovono nel solco tracciato da questo grande scienziato, in cui la medicina non si limita ad attendere supinamente lo svilupparsi della patologia, piuttosto si muove in anticipo captando i segnali di alterazione funzionale del sistema biologico per porre rimedio prima che essi si trasformino in malattia.



March 24, 2015 Newsletter

Se cercate un degno sostituto al latte vaccino che non contenga né lattosio glutine, vi consiglio di provare il latte di miglio, un’ottima soluzione per garantire al vostro organismo un apporto di proprietà nutritive paragonabili a quelle del latte vaccino senza, però, incorrere nel rischio di reazioni allergiche. Non solo, consumatelo con serenità anche se avete problemi di colesterolo e di diabete.

Un vantaggio comune a tutto il latte di origine vegetale è l’assenza di colesterolo, e il latte di miglio non è da meno. Un ottimo alleato, quindi, per chi lotta contro il colesterolo alto, grazie anche alla grande quantità di lecitina e di colina contenuto.

Proprietà, invece, unica, che condivide solo con il latte di avena, è la capacità di controllare il diabete. Secondo alcuni studi il latte di miglio contiene un particolare enzima in grado di aiutare il nostro corpo a eliminare i grassi. È, infatti, risaputo che legumi e cereali, essendo carboidrati complessi, hanno un ruolo importante nella cura e nella prevenzione del diabete.

Dunque, il latte di miglio è indicato per le persone che soffrono di celiachia, intolleranza al lattosio, diabete e colesterolo alto e non è consigliato a chi ha problemi con l’intolleranza al nichel.

Dovrebbero però tenerlo in considerazione e aggiungerlo o sostituirlo, anche per brevi periodi, anche chi non soffre di nessun di questi disturbi. Il latte di miglio ha, infatti, diverse qualità nutrizionali. Ad esempio, è ricco di vitamine del gruppo B, soprattutto la B6, ed anche sali minerali come zinco, magnesio, potassio, calcio e ferro.

Il miglio è un cereale alcalinizzante. Ciò significa che consumandolo, anche sottoforma di latte, assorbiamo le tossine acide che si accumulano con una dieta sbilanciata, troppo ricca di alimenti acidificanti, come uova, carne, alimenti raffinati o fermentati. Il consumo di latte di miglio, insomma, aiuterebbe il nostro organismo a ristabilire il livello ottimale di PH.

Questa sua caratteristica andrebbe a beneficio del buon funzionamento di milza, stomaco e pancreas e, sicuramente, aiuterebbe tutti quelli che soffrono di acidosi. Inoltre, è facilmente digeribile e non irrita l’intestino, può essere, dunque, ben tollerato anche per chi soffre di colite o ulcere; per i quali l’assunzione di latte di mucca, certo, non giova.

Il latte di miglio non è molto diffuso, lo troverete sicuramente nelle farmacie e nei negozi specializzati. Il suo sapore naturalmente dolce lo rende perfetto per essere consumato a colazione, magari col caffè, oppure per la preparazione di deliziosi dolci senza glutine.

 



March 3, 2015 Newsletter

Ancora una volta il microbiota intestinale ci sorprende. I composti prodotti dal metabolismo dei batteri intestinali sono fattori determinanti nel delicato equilibrio tra la flora e l’organismo ospite e, di conseguenza per la salute del tratto intestinale. Ma non è ancora del tutto chiaro se e come questa stretta relazione ospite – flora, possa influenzare processi infiammatori in altri tessuti periferici, ad esempio a livello delle vie respiratorie.

Una ricerca pubblicata qualche giorno fa su Nature Medicine e condotta dal prof. Benjamin Marsland dell’Università di Losanna, ha consentito di individuare un importante meccanismo di protezione per le vie respiratorie attivato dalla flora intestinale.

Lo studio è stato condotto con un modello sperimentale di topi di laboratorio alimentati con una dieta ricca di fibre rispetto ad una dieta “controllo”, povera di fibre e disegnata secondo i principi della dieta occidentale ricca di cibospazzatura”.

L’osservazione sperimentale dei topi ha rilevato come i roditori alimentati sulla base di una dieta ricca di fibre risultassero meno vulnerabili all’asma e presentassero un minore grado di irritazione ed infiammazione delle vie respiratorie, rispetto ai topi controllo.

Si è osservato che il contenuto di fibre dietetiche fermentabili modificava la composizione del microbiota intestinale e polmonare, in particolare modificando il rapporto di batteri Firmicutes- Bacteroides. A sua volta, la flora intestinale così “selezionata”, metabolizzando la fibra alimentare, produceva un aumento della concentrazione circolante di acidi grassi a catena corta (SCFA), facilmente assorbibili dall’intestino che, entrando nel circolo sanguigno, sono in grado di attivare segnali immunitari che inducono a ridurre infiammazione ed irritazione.

Sono, quindi, questi acidi grassi a catena molto corta, secondo i ricercatori, i responsabili dei benefici effetti anti-asma. La scoperta spiegherebbe pertanto il netto aumento dell’asma allergica in funzione di una dieta che privilegia cibo confezionato rispetto a quello ricco di fibre.

Quindi la conoscenza della composizione del microbiota intestinale e del valore degli acidi grassi, rappresentano una nuova strategia di prevenzione per l’asma. La difesa delle nostre vie respiratorie passerebbe quindi anche dalla nostra flora intestinale, la cui composizione dipende molto dal tipo di alimentazione.

 



February 20, 2015 NewsletterRASSEGNA STAMPA
Vi presento la nuova rubrica che terrà il Prof. Di Fede sulla rivista Italia a Tavola. Parlerà di salute e benessere, alimentazione e nutrigenomica. Il primo articolo tratta una delle intolleranze che colpisce maggiormente la popolazione mondiale: l’intolleranza al lattosio
La diagnosi di intolleranza al lattosio, si può fare sin dai primi giorni di vita, grazie alle nuove procedure diagnostiche; i vantaggi del risultato corrispondono a benefici in termini di salute da parte del paziente

Il latte è un componente fondamentale della dieta dei Paesi occidentali e la sua tollerabilità da parte dei diversi individui non è assoluta. Alcuni soggetti suscettibili dopo l’introduzione di latte, in forme diverse, lamentano la comparsa di sintomi addominali che scompaiono con l’astensione dall’assunzione dell’alimento stesso e la cui intensità generalmente varia in funzione della quantità di latte assunto configurando il quadro di intolleranza al lattosio o deficit di lattasi, l’enzima che serve alla digestione del lattosio stesso.

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February 2, 2015 Newsletter

Imbio e i professionisti gravitanti nella sua orbita offrono una nuova possibilità di formazione, un convegno dal titolo “ Dalle intolleranze alimentari alla Nutrigenetica: stress ossidativo, metodiche a confronto; invecchiamento cellulare e neurologico”.

Evento in cui si parlerà di stress ossidativo, degli effetti che ha sull’organismo umano e delle relative applicazioni cliniche.Di disbiosi intestinale ed infiammazione, ma soprattutto del mangiar sano come perfetto metodo di prevenzione. Di invecchiamento cellulare e neurologico e della nutrizione consapevole come una delle più quotate pratiche antiaging .

Questi e tanti altri i temi che verranno trattati in questa occasione, in cui sarà possibile ascoltare dalla viva voce di specialisti del settore come meglio reagire ad alcune patologie e quindi ricevere dettagliate informazioni a riguardo.

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January 20, 2015 Newsletter

La comune FARINA 00 che si trova nei supermercati si ottiene attraverso la macinazione industriale del chicco di grano. Tale processo prevede l’eliminazione del germe di grano e della crusca, per consentire una maggiore conservazione del prodotto a discapito di importanti sostanze

nutritive come aminoacidi, acidi grassi, sali minerali e vitamine, che vengono persi durante il procedimento. Il prodotto che si ottiene è quindi ricco quasi esclusivamente di AMIDI, polisaccaridi responsabili dell’innalzamento repentino della quantità di zucchero nel sangue (picco glicemico), il quale richiama l’intervento di un ormone, l’INSULINA.

Tale ormone ha capacità anabolizzanti ed è quindi in grado di AUMENTARE LA QUANTITÀ DI DEPOSITI ADIPOSI ALL’INTERNO DELL’ORGANISMO e INNESCARE FENOMENI DI RESISTENZA INSULINICA

che, se esasperati, possono portare all’insorgenza del DIABETE DI TIPO II.

Discorso analogo può essere fatto per la FARINA DI RISO: pur essendo

priva di glutine, è tuttavia ricchissima di amidi e povera di proteine e quindi responsabile di un repentino innalzamento della quantità di zuccheri nel sangue con conseguente RILASCIO DI INSULINA e dei problemi ad essa connessi. Fortunatamente, negli ultimi anni molte aziende hanno cominciato a produrre farine maggiormente ricche in fibre o provenienti da cereali diversi dal grano, dando inizio al filone delle cosiddette “FARINE ALTERNATIVE”. Tra queste abbiamo:

  1. FARINA INTEGRALE DI FRUMENTO: conserva integralmente la crusca ed è per questo molto più ricca di fibre, fattore che contribuisce ad abbassare il picco glicemico.
  2. FARINA DI MANITOBA: è una farina di grano tenero molto ricca in proteine e con pochi Contiene anche la glutenina e la gliadina che, a contatto con l’acqua, formano il glutine.
  3. FARINA DI FARRO INTEGRALE: è prodotta della macinazione del farro, il più antico tipo  di frumento E’ una farina molto ricca di vitamine (A, B2 e B3) e di sali minerali (fosforo, potassio e magnesio). E’ adatta per la realizzazione di dolci, pasta e pane.
  4. FARINA DI SEGALE: è ricca di proteine e sali minerali; ha proprietà fluidificanti del sangue, rafforza e mantiene elastiche le arterie prevenendo l’aterosclerosi e, grazie al basso picco glicemico, è ideale anche nelle diete per diabetici. E’ adatta per la preparazione di pane e di alcuni tipi di dolci.
  5. FARINA DI AVENA INTEGRALE: è una farina ricca di fibre e con un migliore potere saziante rispetto alla farina di Grazie alla presenza di vitamine, minerali e altre sostanze nutritive si rivela un ottimo alimento energizzante ed’è inoltre in grado di rallentare l’assimilazione del glucosio e di abbassare il livello di colesterolo cattivo (LDL).

Accanto alle farine alternative con basso INDICE GLICEMICO, abbiamo anche quelle consigliate per chi soffre di CELIACHIA o di SENSIBILITÀ AL GLUTINE perché prive di tale proteina. Tra queste abbiamo:

  • FARINA DI CECI: ricca di minerali (calcio, fosforo, ferro), di proteine e vitamine (C, B). Si ricava dalla macinazione dei ceci essiccati e ne conserva tutte le proprietà. Grazie alle saponine presenti, inoltre, tale farina è molto utile per diminuire i livelli di colesterolo e trigliceridi nel Molto versatile in cucina, può essere utilizzata per dolci, pasta, gnocchi e panature.
  • FARINA DI MAIS: viene soprattutto utilizzata per la preparazione della polenta e di dolci caratteristici, mentre non è adatta per la panificazione, a meno di mischiarla con altri tipi di farine.
  • FARINA DI CASTAGNE: nota anche con il nome di farina dolce, essa è costituita da castagne precedentemente essiccate e infine E’ ricca di carboidrati e sali minerali e povera di grassi. Ideale per le più svariate preparazioni sia dolci (castagnaccio, torte, biscotti, frittelle) che salate (pasta, gnocchi, crepes).
  • FARINA DI QUINOA: viene ottenuta a partire dalla macinazione dei chicchi di questo pseudocereale di origine Si tratta di una pianta erbacea della famiglia delle Chenopodiaceae (la stessa famiglia degli spinaci o della barbabietola); si differenzia inoltre dai cereali per via del suo contenuto di lisina e per una maggiore ricchezza di amminoacidi. E’ ricca di sali minerali come calcio, ferro e potassio.
  • FARINA DI GRANO SARACENO: viene ottenuta dalla macinazione di una pianta erbacea della famiglia delle Polygonaceae (è quindi in realtà uno pseudo-cereale). E’ una farina ricca di amminoacidi essenziali e con un alto valore biologico: le sue proteine sono infatti paragonabili a quelle della carne e della soia
  • FARINA DI MANDORLE: è una farina con un buon contenuto di acidi grassi insaturi, proteine, zuccheri, vitamine (E, B) e sali minerali. Molto sfruttata nella preparazione di dolci, la farina di mandorla ha un elevato potere calorico e grazie ad un enzima, l’emulsina,che facilita la digestione dei glucidi.
  • FARINA DI SOIA: ottenuta dalla macinazione dei semi di questo legume, la farina di soia contiene proteine ad alto valore biologico, sali minerali, vitamine e acidi grassi essenziali come omega 3 e omega 6. Può essere utilizzato dai vegani come sostitutivo delle proteine della carne e delle uova.
  • FARINA DI CANAPA: una delle ultime novità sul fronte delle farine alternative, si ottiene dalla pressatura dei semi di questa Possiede proteine ad alto valore biologico, come quelle della soia, acidi grassi essenziali omega 3 e omega 6 e fibre.


October 22, 2014 Newsletter

Con l’arrivo dell’autunno comincia la periodica raccolta di funghi commestibili, la cui crescita è favorita dalle condizioni umide e dalla presenza di un suolo continuamente arricchito di nuova materia organica, le foglie che cadono dagli alberi. Tutto questo permette lo sviluppo e la crescita dei funghi che sfruttano la materia organica morta per svilupparsi nelle forme e colori che tanto affannosamente ricerchiamo nei luoghi più umidi e ombreggiati dei boschi.

Pochi sanno, tuttavia, che i funghi sono anche delle vere e proprie “spugne” di metalli pesanti e, tra questi, di nichel, sostanza chimica presente in natura praticamente in tutti i suoli.
Oltre al Nichel, alcune varietà di funghi possiedono anche tracce di lattosio, con conseguenti problemi in chi è particolarmente sensibile a questo zucchero. Bisogna inoltre ricordare che i funghi producono naturalmente sostanze antimicrobiche e tali sostanze, anche se in piccola quantità, sono ancora presenti nei funghi edibili, con effetti negativi sulla composizione della flora batterica intestinale.

Quando a far le spese di questa sovrabbondanza di molecole sono i lattobacilli e i Bifidobatteri presenti nel nostro intestino, Candida albicans, fungo naturalmente presente nel tratto intestinale e nostro commensale (ci aiuta infatti nella digestione degli zuccheri), diventa aggressiva, mutando la sua struttura e trasformandosi in una forma invasiva. Candida albicans, nella forma patogena, è capace di provocare microfessure nell’epitelio intestinale (DISBIOSI), portando inevitabilmente al passaggio, attraverso tali aperture, di macromolecole alimentari, non completamente digerite, verso il sangue, con l’insorgenza dei sintomi tipici di un’intolleranza alimentare come gonfiore, stanchezza, sonnolenza post-prandiale, aereofagia, stipsi, cefalea, dermatiti, nausea, irritabilità etc.

Anche coloro che soffrono di intolleranza ai lieviti devono far attenzione ai funghi edibili: i lieviti, infatti, fanno parte dello stesso ramo evolutivo dei funghi. Consumare troppi prodotti lievitati può quindi portare il nostro sistema immunitario a riconoscere e reagire allo stesso modo nei confronti dei funghi commestibili.

Scoprire se la causa dei nostri disturbi gastrointestinali è riconducibile ad un’intolleranza ai lieviti o ai funghi è molto semplice: attraverso la metodica ALCAT e in particolare il pannello
ALCAT 30 è possibile verificare la reazione del nostro corpo non solo ai lieviti (lievito chimico, lievito di birra e Candida albicans), ma anche ai funghi (Reishi, Maitake, Cordyceps, Champignon e Shiitake) per evitare spiacevoli e “lievitanti” sorprese al nostro organismo.



October 5, 2014 RASSEGNA STAMPA

«Per intolleranza alimentare si intende una reazione avversa dell’organismo verso alcuni alimenti o additivi, lenta nel tempo e che può coinvolgere diverse parti dell’organismo come intestino, stomaco, pelle, vie urinarie, fino a compromettere in certi casi le comuni attività lavorative e sociali. La differenza tra allergie e intolleranze alimentari è netta: l’allergia porta una reazione immediata dopo aver ingerito un alimento (per esempio bolle sulla pelle, orticaria, edema delle labbra). Per l’intolleranza invece si intende una reazione avversa verso un alimento o un gruppo di alimenti che possono appartenere alla stessa famiglia alimentare (ad esempio le solanacee: pomodoro, patata, peperone e melanzana) lenta nel tempo e soggetta ad accumulo nel caso di introduzione frequente dei cibi non tollerati ».

La definizione di intolleranza alimentare, fornita dal Prof. Giuseppe Di Fede, delinea un problema sempre più diffuso nella nostra società, e che interessa grandemente chi lavora nel settore della ristorazione. Sempre crescente è infatti il numero dei clienti che richiedono particolare attenzione proprio perché intolleranti a qualche alimento. Direttore Sanitario di I.M.Bio Istituto di Medicina Biologica Milano e Istituto Medicina Genetica Preventiva I.M.G.E.P Milano, Docente nel Master di Nutrizione Umana all’Università di Pavia, Vice Presidente dell’Associazione Ricerca Terapie Oncologiche Integrate A.R.T.O.I., Di Fede fornisce alcune indicazioni utili per accogliere in sicurezza questi ospiti, in particolare gli intolleranti al nichel: «Una delle intolleranze che sta dilagando a macchia d’olio è sicuramente quella al nichel e tra i cibi ricchi di nichel troviamo il cioccolato e cacao in polvere, pomodori, spinaci, lenticchie, asparagi, legumi, frutta secca ed essiccata. Tra i cereali più ricchi di nichel ricordiamo l’avena, il mais, il miglio e il grano saraceno. Per quanto riguarda gli alimenti non vegetali, tra le maggiori fonti di nichel sono i frutti di mare, le ostriche, il salmone, i gamberi e le cozze, le aringhe e gli sgombri.

Ma va fatta attenzione anche a cibi e bevande in lattina o in scatola: in questi cibi il contenuto di nichel può aumentare a causa del materiale del contenitore e del processo di lavorazione; questo vale anche per le pentole dove cuciniamo. Quando si accolgono clienti intolleranti al nichel pertanto va prestata attenzione anche alle pentole e accessori che vengono usati in cucina». Altrettanto diffuse sono le intolleranze al lattosio e al glutine. Tutte vanno comunque trattate con la massima serietà: il cliente deve sentirsi sicuro quando è seduto a tavola. La sua richiesta di evitare determinati gruppi di ingredienti deve essere presa alla lettera: assolutamente da evitare l’atteggiamento di chi minimizza il problema. Per un intollerante al lattosio spesso anche “solo” una noce di burro può essere fonte di problemi, così come lo è una spolverata di farina per chi non tollera il glutine.

Attenzione, quindi, e gentilezza, per mettere l’ospite a proprio agio. Apprezzatissimi sono quei – pochissimi –  locali che offrono alternative mirate, ma anche dove non sia possibile, si possono servire piatti preparati al momento “su misura”, oppure ricorrere a proposte già in menu che il cameriere avrà cura di indicare come adatte. «Il ristorante  non ha l’obbligo di essere “accessibile” a chi ha particolari problemi di intolleranze, ma sicuramente, visto l’aumentare di questa condizione, numerosi ristoratori tentano di capire e adeguarsi cercando di gestire un nuovo modo di fare ristorazione, così da potersi dedicare a una clientela, spesso più curiosa ed entusiasta di quella “comune” quando trova un locale che l’accontenta». A parlare è Tiziana Colombo, foodspecialist e foodblogger (www.nonnapaperina.it), oltre che autrice di un libro sull’argomento intolleranze. «Fino a non molto tempo fa – continua – chiunque avesse una necessità particolare doveva leggere attentamente la carta, evitare tutti i piatti incompatibili con la sua patologia o la sua dieta, domandare ai camerieri o ai cuochi, senza la certezza assoluta di stare per assaggiare qualcosa che non lo danneggiasse… insomma una serata di svago correva sempre il rischio di trasformarsi in un brutto ricordo. Oggi, invece, c’è una nuova, se pur neonata, nicchia enogastronomica dedicata ai “diversamente-gourmet”.

Sicuramente un ristoratore che vuole cominciare ad affrontare il problema intolleranze dovrebbe studiare il problema e chiedere delle consulenze specifiche. Ma in primis deve crederci e non sottovalutare il problema. Nel giro di qualche anno i ristoranti che non accetteranno che le intolleranze esistono saranno sempre più vuoti e quelli che invece prendono sul serio l’argomento sono sempre pieni già da ora».

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February 7, 2014 Newsletter

Una dieta personalizzata basata sul proprio DNA può far nascere un campione…

Esistono in letteratura moltissimi studi che evidenziano come la performance sportiva, soprattutto a livello agonistico, possa essere alterata da una scorretta alimentazione. Nel mondo sportivo odierno, dove sono i dettagli a fare la differenza, dove i decimi o i centesimi di secondo permettono di trionfare alle Olimpiadi o ai Campionati del Mondo, una sana e corretta alimentazione deve essere considerata come un trampolino di lancio per raggiungere l’obiettivo. I sintomi di un’intolleranza alimentare sono diversi, a volte, non si rendono neppure manifesti, rimangono subdoli generando un accumulo di infiammazione. In molti sportivi problemi di natura muscolare, articolare, stanchezza cronica, difficoltà di recupero post gara sono solo alcuni dei sintomi riconducibili ad un’intolleranza alimentare.

La maggior parte degli atleti che praticano sport professionistico di squadra segue spesso un’alimentazione standard, preimpostata, non personalizzata. Si tratta per lo più di menu’ ricchi di carne, pesce, zuccheri, verdure, pasta. E se il nostro atleta fosse geneticamente predisposto ad essere intollerante al glutine? Se il suo organismo fosse predisposto a non tollerare gli zuccheri?

Esperti nutrizionisti potrebbero storcere il naso evidenziando il fatto che non sempre una predisposizione corrisponde ad una manifestazione della patologia. Vero ma non sono forse questi i dettagli che fanno la differenza? Oggi esiste una nuova scienza, la nutrigenetica che studia i rapporti tra il patrimonio genetico, il DNA e la variabilità interindividuale. Con un semplice brush salivare, che ha il vantaggio di poter essere effettuato a qualsiasi età della vita, una volta sola, possiamo personalizzare l’alimentazione e migliorare le prestazioni fisiche. Seguire una dieta rispettosa delle proprie intolleranze alimentari in base al proprio DNA, significa fornire al proprio organismo la giusta benzina per poter esprimere al meglio le qualità fisiche. Monitorando l’alimentazione sin dalle prime fasi dell’agonismo sportivo, potremmo infatti permettere ad un atleta qualsiasi di diventare l’atleta che lui stesso ha sempre sognato di diventare.

Dr Sacha Sorrentino, Imbio Milano – Biologo Nutrizionista Num. iscrizione: AA_069116 – sacha.sorrentino@imbio.it


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