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Quando il cibo diventa uno strumento di gratificazione

Come rinunciare ad un cornetto al bar, ad un aperitivo in spiaggia o ad un dolcetto la sera sul divano dopo un’intera giornata di lavoro stressante, soprattutto ora che abbiamo un gran bisogno di socialità.

Il cibo, infatti, fin dall’antichità è sinonimo di convivialità ed è simbolo di cura e di condivisione, soprattutto ciò vale per alcuni cibi quali il cioccolato, il latte, i dolci e i carboidrati in generale.

A tutti noi capita di aver bisogno di ricompensa, così ricorriamo al cibo. Esso infatti colma dei vuoti, dà gratificazione, consola dall’abbandono, sostituisce un piacere che diversamente non possiamo procurarci e soprattutto, parla delle nostre emozioni e del nostro stile di vita.

Il concetto fondamentale di una dieta sana consiste nel rispetto del proprio fabbisogno energetico.
Ogni individuo consuma una certa quantità di energia, che occorre rifornire attraverso il cibo. Questa quantità è variabile e dipende da età, sesso, attività svolte durante la giornata, esercizio fisico e costituzione. Lo stile di vita incide fortemente su questi aspetti a causa dello stress che esso comporta.

Qual’è la connessione tra stress e cibo?

Forse la medicina ufficiale non dedica ancora sufficiente attenzione al problema dello stress e al suo legame con l’infiammazione, già definita nel 2004 il “killer segreto” nel Times. Vi è una correlazione tra stress e infiammazione poiché quando il nostro sistema immunitario si abitua al cortisolo, ormone prodotto dallo stress, l’infiammazione acuta si trasforma in cronica. Ciò provoca il rischio di malattie degenerative, infatti alla base delle patologie cardiovascolari, ma anche del diabete, del cancro e delle malattie neurodegenerative c’è uno stato infiammatorio cronico silente.

Inoltre, è stato dimostrato che livelli cronicamente elevati di cortisolo associati a livelli elevati di insulina (l’ormone che permette al corpo di utilizzare il glucosio) favoriscono il deposito di grasso intorno alla vita. Infatti il cortisolo induce all’assunzione di carboidrati per riportare i suoi livelli alla normalità, così si spiega la fame di pasta e pane di chi attraversa un periodo faticoso.

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Va, comunque, tenuto presente che vi sono cibi con spiccate proprietà antinfiammatorie di cui è bene nutrirsi con regolarità così da evitare i cibi che provocano infiammazione al nostro organismo.

Società ed individualità, quali sono i fattori di stress quotidiano che ci fanno venire voglia di dolci e pane?

Innanzitutto, l’uomo contemporaneo vive in una società (definita “liquida” dal sociologo Bauman) che dispone ad essere consumatori, quindi a non fare scelte libere ma sempre scelte condizionate, impone una vita frenetica allo scopo di adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusi, consumando sempre di più e rendendo l’individuo mai appagato da ciò che ha.

La nostra identità è sempre più labile e ci sentiamo sempre più impotenti, in cambio di una apparente libertà. Ciò comporta anche un indebolimento dei legami interpersonali e la sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti.

Siamo sempre più soli, in competizione a livello sociale, e frustrati perché non soddisfiamo mai i nostri desideri avendone sempre di nuovi.

A livello personale, invece, vi sono delle emozioni viscerali non ascoltate, spesso accade che non interpretiamo le nostre emozioni, ma agiamo pulsioni. Ciò causa uno stress di tipo cognitivo, poiché non abbiamo la giusta chiave di lettura degli eventi, avendo delle consapevolezze alterate degli stessi.

Leggiamo certi eventi fisici e psichici come “normali” ma non lo sono; ci siamo solo abituati ad essi, come ci si abitua a convivere col mal di schiena e con l’emicrania, così ci si abitua a vivere nell’infelicità e nello stress causato dal capo ufficio, dal lavoro logorante, dal compagno traditore, da una fase particolare della propria vita ecc. 

Nessuno ha una vita perfetta, ma bisogna riaccendere le passioni, le consapevolezze e comprendere il senso della dipendenza da particolari cibi indotta dallo stress a cui siamo sottoposti.

Alcuni cibi dolci, infatti, agiscono sulla serotonina, un ormone che migliora l’umore e dà benessere fornendoci un momentaneo piacere, ma creando la dipendenza dagli stessi  poiché è un cibo che non garantisce la stabilità glicemica e innesca un circolo vizioso per cui in breve tempo si desidera di nuovo il dolce.

Dovrei chiedermi allora perché ho bisogno di questa dipendenza? Quale piacere mi manca? Quali conflitti non sto ascoltando? Cosa sto compensando?

Alcuni cibi provocano sbalzi d’umore, quali sono i sintomi e come possiamo evitarli?

E’ anche vero che spesso è proprio il cibo a procurarci sbalzi d’umore, ansia e panico, cioè non solo lo stress ci induce a mangiare, ma vi sono dei cibi per noi tossici, direi, che ci causano:

  • ansia
  • irritabilità
  • affaticabilità eccessiva
  • scarsa concentrazione
  • diminuita capacità di ideazione

Vi è una reciprocità tra pensieri, emozioni del cervello e condizioni fisiologiche del nostro intestino a causa della stretta connessione tra sistema nervoso autonomo e sistema nervoso enterico.

L’appagamento che alcuni cibi ci forniscono induce:

  • torpore
  • pesantezza
  • disagio
  • frustrazione
  • calo di energia
  • ansia e tristezza

Le connessioni tra lo psichismo e l’apparato gastrointestinale sono ormai note e vanno valutate individualmente.

Quindi non vanno rafforzati i comportamenti alimentari dannosi e dipendenti che comportano una disregolazione delle emozioni, poiché una condizione di stress cronicizzato protratta nel medio-lungo periodo provoca oltre che una destabilizzazione emotiva (con sbalzi d’umore, ansia e depressione), anche molte alterazioni a livello fisico, nonché malattie psicosomatiche.

Vanno valutati i cibi adeguati al nostro organismo poiché verso alcuni potremmo essere diventati intolleranti a lungo andare ed altri possono generare meccanismi di controllo del piacere disfunzionali al nostro benessere; quindi un programma di gestione dello stress non può prescindere da una corretta alimentazione che ci consenta di ritrovare energie e soluzioni nuove.

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Dott.ssa Regina Valentini
Psicologa, Psicoterapeuta, Psicosomatista

Riferimenti:  Stress, Cibo, Cortisolo, Esami salivari, Psiche
Redattore: Dott.ssa Regina Valentini


Dopo la Pasqua e in generale inseguito alle festività, molti si soffermano a pensare a quanti dolci e in particolare cioccolato hanno mangiato, creandosi tantissimi sensi di colpa.

Il recupero della linea e dello stato di forma in generale diventa la preoccupazione più importante, non pensando anche agli effetti legati a possibili stati infiammatori. Ebbene sì, il cioccolato può essere definito croce e delizia: piace tanto e crea quella sensazione di appagamento, tuttavia nel tempo non solo può contribuire ad un aumento di peso, ma può far sviluppare anche disagi e disturbi.

Come viene realizzato il cioccolato?

Innanzi tutto analizziamo come viene prodotto il cioccolato, partendo dalla materia prima, ovvero i semi dell’albero del cacao.

Se il cioccolato è di buona qualità viene preparato utilizzando la pasta di cacao o meglio ancora le fave di cacao. Nella produzione industriale o comunque di minor pregio qualitativo, è realizzato miscelando il burro di cacao (la parte grassa dei semi di cacao) con polvere di semi di cacao, zucchero e altri ingredienti come il latte, le mandorle, le nocciole, il pistacchio o altri aromi.

Fin dai processi di lavorazione si intuisce come la qualità del prodotto finale dipende molto anche da come la materia prima viene trattata e dalle tipologie di ingredienti utilizzate. Risulta dunque evidente come esistano diverse tipologie di cioccolato, sia dal punto di vista qualitativo che come varianti di ingredienti.

Diversi studi scientifici sembrano confermare che il consumo frequente di cioccolato può sviluppare una sorta di dipendenza detta “cioccolismo”, fenomeno associabile alla sua capacità di far produrre ormoni del piacere, tra cui in particolare endorfine e serotonina.

Quali sono le proprietà del cioccolato?

Per beneficiare delle proprietà benefiche del cioccolato è opportuno optare per quello più amaro, ovvero il cioccolato fondente. Il cioccolato fondente, grazie al suo alto contenuto di cacao, rappresenta una delle più generose fonti alimentari di flavonoidi, notevoli antiossidanti.

In genere, tanto maggiore è la percentuale di cacao nel cioccolato, tanto superiore è la presenza di flavonoidi. In media, 100 grammi di fondente ne contengono 50-60 mg, mentre in un’analoga quantità di cioccolato al latte ne ritroviamo soltanto 10 mg; addirittura nulla è invece la percentuale di flavonoidi nel cioccolato bianco.

I flavonoidi, potenti antiossidanti, hanno la capacità di limitare gli effetti negativi associati ad alti livelli di colesterolo e all’ipertensione, prevenendo quindi problematiche cardiovascolari.

Nel cioccolato di buona qualità sono da considerare buone anche le concentrazioni di fosforo, potassio e soprattutto magnesio. Anche i grassi presenti nel cioccolato fondente non sono poi così del tutto nocivi. Si potrebbe dire che gli effetti metabolici dell’acido oleico (proprietà  ipocolesterolemizzante), palmitico (effetto neutro sul colesterolo) e stearico (proprietà ipercolesterolemizzante), essendo presenti il 33 % l’uno nel cioccolato, tendono ad annullarsi vicendevolmente, avendo un impatto teoricamente neutro sulla colesterolemia.

Intolleranza all’istamina: quanto e quale cioccolato scegliere per evitare il rischio di intolleranza.

È dunque buona regola scegliere un cioccolato dal contenuto in cacao maggiore possibile. Si consiglia di iniziare con alimenti contenenti percentuali di cacao pari o superiori al 65%, aumentando poi gradualmente tale valore per dare tempo al palato di abituarsi. Dunque cioccolato sì, ma con moderazione!

Gli sportivi e a chi conduce una vita attiva possono sentirsi più liberi nel consumo, ma non sono giustificati gli eccessi. I LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (IV revisione) – consigliano una porzione media di 30 g; ma attenzione, si tratta di una quantità stabilita nel rispetto di una frequenza al consumo sporadica. Volendo consumare il cioccolato fondente tutti i giorni ci si potrebbe accontentare di una quantità compresa tra i 5 e i 15 g, ma è sconsigliabile per il rischio di sviluppare intolleranza.

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I sintomi più comuni dell’intolleranza all’istamina, sostanza chimica prodotta dall’intestino che ricopre un ruolo di primo piano nelle risposte infiammatorie, soprattutto allergiche e nella secrezione gastrica sono diversi. Attenzione infatti per chi tende a soffrire di:

  • mal di testa
  • gastrite
  • intestino irritabile
  • dissenteria
  • prurito
  • arrossamento del viso e del collo
  • orticaria
  • nausea

La reiterata introduzione di cioccolato induce una significativa liberazione di istamina che porta ad una cronicizzazione della risposta infiammatoria e il conseguente sviluppo dei sintomi prima citati.

Tale problema può essere dovuto anche ad un deficit enzimatico, ovvero un’incapacità da parte dell’organimso di produrre DAO, enzima che si occupa della disintossicazione dell’istamina (spesso il problema è legato ad una mutazione genetica che porta quindi l’organismo a non produrre tale enzima).

In altri casi l’elevata liberazione di istamina induce un eccessivo consumo di DAO che quindi non risulta più sufficiente a compiere il suo ruolo.

Dunque il consumo eccessivo di cioccolato associato ad un deficit enzimatico-genetico crea un effetto sinergico pro-infiammatorio, che porta l’istamina ad entrare con maggior impatto nel circolo sanguigno e infiammare i vari tessuti.

L’aggiunta di aromi e altre sostanze come mandorle, pistacchi e nocciole, anch’essi liberatori di istamina, può amplificare la reazione pseudoallergica e irritare maggiormente  l’organismo.

Importante quindi non eccedere con il consumo di cioccolato e nel caso di sintomi prima elencati ipotizzare alla presenza di un’intolleranza alla istamina. Necessario a quel punto verificare attraverso metodiche certificate e intervenire con una corretta gestione alimentare personalizzata, basata sulla rotazione e in alcuni casi la quasi totale astensione dei cibi istaminici tra i quali in primis, ovviamente, il cioccolato.

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Dott. Alessio Tosatto

Biologo Nutrizionista

Riferimenti:  Intolleranze alimentari, Istamina, Cioccolato, Dieta
Redattore: Dott. Alessio Tosatto

 



October 5, 2014 RASSEGNA STAMPA

«Per intolleranza alimentare si intende una reazione avversa dell’organismo verso alcuni alimenti o additivi, lenta nel tempo e che può coinvolgere diverse parti dell’organismo come intestino, stomaco, pelle, vie urinarie, fino a compromettere in certi casi le comuni attività lavorative e sociali. La differenza tra allergie e intolleranze alimentari è netta: l’allergia porta una reazione immediata dopo aver ingerito un alimento (per esempio bolle sulla pelle, orticaria, edema delle labbra). Per l’intolleranza invece si intende una reazione avversa verso un alimento o un gruppo di alimenti che possono appartenere alla stessa famiglia alimentare (ad esempio le solanacee: pomodoro, patata, peperone e melanzana) lenta nel tempo e soggetta ad accumulo nel caso di introduzione frequente dei cibi non tollerati ».

La definizione di intolleranza alimentare, fornita dal Prof. Giuseppe Di Fede, delinea un problema sempre più diffuso nella nostra società, e che interessa grandemente chi lavora nel settore della ristorazione. Sempre crescente è infatti il numero dei clienti che richiedono particolare attenzione proprio perché intolleranti a qualche alimento. Direttore Sanitario di I.M.Bio Istituto di Medicina Biologica Milano e Istituto Medicina Genetica Preventiva I.M.G.E.P Milano, Docente nel Master di Nutrizione Umana all’Università di Pavia, Vice Presidente dell’Associazione Ricerca Terapie Oncologiche Integrate A.R.T.O.I., Di Fede fornisce alcune indicazioni utili per accogliere in sicurezza questi ospiti, in particolare gli intolleranti al nichel: «Una delle intolleranze che sta dilagando a macchia d’olio è sicuramente quella al nichel e tra i cibi ricchi di nichel troviamo il cioccolato e cacao in polvere, pomodori, spinaci, lenticchie, asparagi, legumi, frutta secca ed essiccata. Tra i cereali più ricchi di nichel ricordiamo l’avena, il mais, il miglio e il grano saraceno. Per quanto riguarda gli alimenti non vegetali, tra le maggiori fonti di nichel sono i frutti di mare, le ostriche, il salmone, i gamberi e le cozze, le aringhe e gli sgombri.

Ma va fatta attenzione anche a cibi e bevande in lattina o in scatola: in questi cibi il contenuto di nichel può aumentare a causa del materiale del contenitore e del processo di lavorazione; questo vale anche per le pentole dove cuciniamo. Quando si accolgono clienti intolleranti al nichel pertanto va prestata attenzione anche alle pentole e accessori che vengono usati in cucina». Altrettanto diffuse sono le intolleranze al lattosio e al glutine. Tutte vanno comunque trattate con la massima serietà: il cliente deve sentirsi sicuro quando è seduto a tavola. La sua richiesta di evitare determinati gruppi di ingredienti deve essere presa alla lettera: assolutamente da evitare l’atteggiamento di chi minimizza il problema. Per un intollerante al lattosio spesso anche “solo” una noce di burro può essere fonte di problemi, così come lo è una spolverata di farina per chi non tollera il glutine.

Attenzione, quindi, e gentilezza, per mettere l’ospite a proprio agio. Apprezzatissimi sono quei – pochissimi –  locali che offrono alternative mirate, ma anche dove non sia possibile, si possono servire piatti preparati al momento “su misura”, oppure ricorrere a proposte già in menu che il cameriere avrà cura di indicare come adatte. «Il ristorante  non ha l’obbligo di essere “accessibile” a chi ha particolari problemi di intolleranze, ma sicuramente, visto l’aumentare di questa condizione, numerosi ristoratori tentano di capire e adeguarsi cercando di gestire un nuovo modo di fare ristorazione, così da potersi dedicare a una clientela, spesso più curiosa ed entusiasta di quella “comune” quando trova un locale che l’accontenta». A parlare è Tiziana Colombo, foodspecialist e foodblogger (www.nonnapaperina.it), oltre che autrice di un libro sull’argomento intolleranze. «Fino a non molto tempo fa – continua – chiunque avesse una necessità particolare doveva leggere attentamente la carta, evitare tutti i piatti incompatibili con la sua patologia o la sua dieta, domandare ai camerieri o ai cuochi, senza la certezza assoluta di stare per assaggiare qualcosa che non lo danneggiasse… insomma una serata di svago correva sempre il rischio di trasformarsi in un brutto ricordo. Oggi, invece, c’è una nuova, se pur neonata, nicchia enogastronomica dedicata ai “diversamente-gourmet”.

Sicuramente un ristoratore che vuole cominciare ad affrontare il problema intolleranze dovrebbe studiare il problema e chiedere delle consulenze specifiche. Ma in primis deve crederci e non sottovalutare il problema. Nel giro di qualche anno i ristoranti che non accetteranno che le intolleranze esistono saranno sempre più vuoti e quelli che invece prendono sul serio l’argomento sono sempre pieni già da ora».

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November 30, 2012 Newsletter

L’allergia al nichel è sempre più diffusa tra gli italiani, non solo tra gli adulti ma anche tra i bambini. La soglia di reattività della nostra pelle, e la capacità di tollerare la presenza di più sostanze contenenti nichel, sembra, infatti, essersi abbassata a causa del contatto con un numero sempre maggiore di allergeni.

Il nichel è un metallo molto diffuso in natura, presente in diversi prodotti: bigiotteria, chiusure lampo, borchie, fibbie delle cinture, bottoni dei jeans, cuoio, creme, coloranti dei tessuti (soprattutto il blu). Anche se non è un ingrediente proprio dei cosmetici, e quindi nessuna etichetta lo riporta, può essere presente in tracce, per motivi d’impurità (strumenti o contenitori che lo rilasciano durante la produzione, bassa purezza degli ingredienti).

La reazione al nichel si manifesta di solito con infiammazioni della pelle di tipo eczematoso nel punto in cui avviene il contatto con il prodotto contenente il metallo, ma può diffondersi in tutto il corpo, con la comparsa di orticaria o bolle pruriginose. Si possono avere anche reazioni infiammatorie delle mucose, con sintomi che possono variare dalla cistite, alla colite, gastrite, esofagite, etc.

Suggerisco di scegliere saponi e detergenti non industriali (semplici ed ecologici), deodoranti ipoallergenici, prestare particolare attenzione alla scelta dei detersivi, consiglio quelli a marchio ecolabel, fare sempre un doppio risciacquo dei panni lavati in lavatrice.

Trattandosi di allergia da accumulo, anche la dieta è importante. Attenzione ai cibi in scatolette di metallo, e a quelli ricchi di nichel: cioccolato, liquirizia, kiwi e altri ancora compresi tra frutta e verdura. È indispensabile un consulto con un nutrizionista medico o biologo, esperto in intolleranze alimentari, in grado di gestire la rotazione degli alimenti contenenti nichel.

Per la diagnosi di allergia al nichel, non sempre agevole, esistono diversi test come i tradizionali prick test, serie sidapa dei metalli. In caso di risultati negativi o poco significativi, un altro test che valuta l’intolleranza al nichel e agli alimenti correlati è il test ALCAT. Si esegue su sangue venoso, quindi tramite prelievo, e analizza alimenti, conservanti e additivi alimentari. In seguito alla diagnosi, sotto consiglio dello specialista, sarà pianificata una dieta ad esclusione, con rotazione e reintroduzione degli alimenti risultati positivi al test.



September 30, 2012 Newsletter

Secondo una recentissima ricerca, condotta da un gruppo dell’Università di Adelaide, e pubblicata sull’ultimo numero dell’European Journal of Epidemiology, i bambini alimentati con diete sane in età precoce svilupperebbero, nel tempo, un quoziente intellettivo leggermente superiore, rispetto ai coetanei cresciuti con “diete spazzatura”.

Lo studio, che ha avuto come campione oltre 7.000 bambini, ha esaminato il legame tra le abitudini alimentari dei bambini a 6 mesi, 15 mesi e due anni, e il loro quoziente d’intelligenza (QI) a otto anni di età.

Sono stati analizzati una vasta gamma di modelli alimentari, valutando: gli aspetti tradizionali, le modalità di preparazione, l’utilizzo di prodotti freschi o preparati, l’allattamento al seno, il consumo di “cibi spazzatura” e di quelli verso i quali potrebbe esistere un’intolleranza.

Poiché nei primi due anni di vita la dieta fornisce le sostanze nutritive necessarie allo sviluppo del sistema nervoso, scopo dello studio è stato quello di analizzare il reale impatto delle abitudini alimentari sul QI dei bambini.

I risultati mostrano che i bambini allattati al seno a sei mesi e, alimentati con una dieta sana e regolare a 15 e 24 mesi (dieta ricca di legumi, frutta e verdura) hanno manifestato, a 8 anni, un QI superiore di due punti rispetto ai bambini cresciuti con una dieta ricca di biscotti, cioccolato, dolci, bibite e patatine fritte nei primi due anni di vita.

Sembrerebbe che un effetto negativo possa essere determinato anche dall’assunzione in età precoce di alimenti già preparati industrialmente e ricchi di conservanti e/o additivi alimentari, ma a questo riguardo i risultati appaiono discordanti.

Le evidenze raccolte sottolineano la necessità di nutrire i bambini con cibi sani fin dai primi anni di vita. Un’alimentazione corretta contribuisce, infatti, al completo sviluppo delle facoltà psichiche. Importante, inoltre, un apporto corretto di acidi grassi della serie omega 3/6, derivati da pesce e verdura, per favorire lo sviluppo generale del bambino e del sistema nervoso centrale.

Anche se le differenze di QI non sono esorbitanti, è stato comunque dimostrato il ruolo cruciale dei modelli alimentari, adottati nel periodo dai 6 ai 24 mesi, per sviluppo cognitivo dei bambini.

Invitiamo a controllare l’alimentazione dei bimbi fin dai primi giorni di vita; fondamentale per lo sviluppo e il nutrimento del neonato è l’alimentazione della madre. Un’alimentazione corretta ed equilibrata, infatti, influenzerà la crescita del bambino, riducendo la possibilità di sviluppare allergie alimentari, dermatite, colite.



February 1, 2009 Newsletter

Ma la dieta serve a far dimagrire le persone veramente o non serve a nulla? Dalle ultime ricerche emergono dei nuovi dettagli sull’uso e concetto di dieta.Il parere di alcuni esperti in campo nutrizionale affiancati da psicologi, afferma che il calcolo delle calorie e dei pesi conta meno delle emozioni. Anzi a volte è la causa scatenante delle oscillazioni di peso con effetto yo-yo dopo anni di diete di ogni tipo.

Il termine dieta viene dal greco “Dieta” che significa vita, stile di vita, ed è proprio a questo che bisogna mirare: il cambiamento o la parziale modifica del proprio stile di vita aiuta molto più che una bilancia per pesare gli alimenti prima di cucinare!
A questo proposito il sapere quale tipo di alimento è più utile per il nostro tipo di metabolismo, e quale ci aiuta meno o è meno favorevole, è importante in questo tipo di approccio nutrizionale.

Il test degli alimenti ALCAT® ci orienta sul tipo di alimento che ci fa sentire stanchi, svogliati, senza energie o memoria, che ci fa sentire gonfi con un senso di pienezza sin dai primi bocconi. Tramite un prelievo di sangue possiamo conoscere gli alimenti che ci disturbano e favorire altri alimenti che ci aiutano a stare in forma. Il primo farmaco è il cibo!

Il profilo pratico alimentare e le emozioni ad esso legate sono oggetto di studio da diverso tempo. Presso il nostro istituto da alcuni anni si pratica questo tipo di analisi, di aiuto e supporto determinante nel controllo del peso e del rapporto con il cibo.
Le ricerche fino ad ora e l’esperienza dei medici nutrizionisti e non, confermano che alla base di alcuni meccanismi metabolici ci sono alcuni mediatori chimici che modulano le sensazioni legate al cibo. Tra questi la serotonina gioca un ruolo rilevante. A tutti è nota la voglia di alcuni alimenti rispetto ad altri, come il carboidrato o il cioccolato e altri. La causa è nella produzione di quantità adeguate di serotonina. Il cibo intollerato fa produrre molta serotonina che viene rapidamente consumata e quindi questo innesca un meccanismo per il quale il determinato alimento è richiesto con maggiore frequenza. Ecco come la biochimica e in particola modo i neurotrasmettitori, ancora una volta, sono alla base delle nostre emozioni, come già negli anni settanta una ricercatrice Americana, C. Pert, affermava nel suo libro “molecole d’emozioni”.

Sapere verso quali cibi abbiamo delle intolleranze ci aiuta a modulare meglio la produzione di molecole deputate alla modulazione dei nostri bisogni emotivi e metabolici, quindi ci aiuta a controllare meglio il nostro rapporto con il cibo, modificare anche in piccola parte lo stile di vita e stare più in forma.

La medicina tradizionale e la medicina cosiddetta complementare offrono degli aiuti anche di tipo farmacologico o fitoterapico nel controllo del peso e del metabolismo.



October 5, 2008 RASSEGNA STAMPA

Trenta e passa gradi all’ombra, ristorantino vista mare, tavolata rumorosa e allegra, vino bianco fresco, pane a portata di canestro. Per “stare leggeri”, insalata di riso per tutti (servita con dadini di prosciutto, mortadella e piselli). A seguire, piatto a centro tavola di mozzarella e pomodoro da sbocconcellare in compagnia, fino al caffè. A parere degli esperti non si è trattato di un pranzo “leggero”, anzi. Sotto il sole, i commensali hanno inanellato (come vedremo più avanti) una serie di scelte alimentari sbagliate: a cominciare dal vino e proseguendo col pane, i salumi, il pomodoro, la mozzarella.

Ma quali sono i cibi da evitare, d’estate, in vacanza?

Gente ha chiesto di elencarli (e di spiegare per quale motivo sono sconsigliati) al professor Giuseppe Di Fede specialista di nutrizione e Dietetica Clinica che, a Milano, dirige l’Imbio (Istituto di Medicina Biologica) cui fanno riferimento, in tutta Italia, i centri che eseguono il test “Alcat” contro le allergie e le intolleranze alimentari. Non a caso, la statunitense Food and Drugs Administration, la più autorevole organizzazione mondiale in materia di salute, ha riconosciuto il test Alcat, sia per la metodica computerizzata che per gli estratti alimentari utilizzati per l’analisi, oltre al riconoscimento CEE, del test.

Alcol e acidosi
«D’estate, col caldo, anche gli alimenti più semplici e apparentemente “leggeri” rischiano di ammutinare fegato, stomaco, intestino e anche l’apparato circolatorio. Cominciamo dai disturbi più frequenti: dati alla mano, in vacanza, quasi la metà degli italiani segnalano, in forma più o meno grave, disturbi da acidosi di origine alimentare», spiega il professor Giuseppe Di Fede, «ma anche alcolica. I vini bianchi e le bevande ora di moda tra i giovani, contenenti sostanze alcoliche apparentemente “mascherate”, che provocano vasodilatazione con calo della pressione arteriosa. Nel contempo aumentano nel sangue gli acidi forti compromettendo il ph, cioè il valore che indica il giusto equilibrio. Inoltre, il fegato trasforma questi acidi grassi liberi in chetoacidi con conseguenze anche molto gravi. La sera, invece, è consentito un bicchiere di vino rosso che contiene i flavonoidi, con valenza antiossidante».

Il pane
«Con le temperature elevate il pane di farina bianca è meno digeribile e i lieviti tendono a provocare fermenti . Meglio evitarlo a pranzo e, la sera, è preferibile quello con farine integrali. Il motivo è per la fermentazione intestinale, che il pane lievitato, anche se a lievitazione naturale, crea dopo mangiato, dando un senso di pesantezza e rallentamento, da indurci a fare un pisolino pomeridiano, affaticando ulteriormente la digestione.

I pomodori
«Col caldo, l’assunzione di pomodori, può indurre una forma di acidosi che porta alla nausea anche a causa di una sostanza, la tomatina, che irrita le pareti intestinali. Quando poi i pomodori vengono associati a formaggi filati come la mozzarella, alimento a sua volta a base acida, raddoppia il pericolo di acidosi con un rallentamento del processo digestivo fino a manifestazioni di vomito e diarrea. Vanno evitati anche i pomodori al forno con i tipici ripieni di maionese e salse elaborate».

I salumi
«I prodotti del maiale, sia la carne, sia gli insaccati, sono a rischio col caldo estivo. La quantità di sale che contengono i salumi irigidisce le arterie e favorisce l’innalzamento della pressione arteriosa. Spesso, i classici dadini di mortadella, prosciutto o wurstel vengono usati d’estate per dare sapore a riso e pasta fredda, col risultato di rendere problematica la digestione: il sangue affluisce in forte misura verso lo stomaco e viene sottratto ai muscoli provocando senso di affaticamento e di torpore».

Le carni
«Oltre a quelle di maiale, vanno evitate quelle di pecora, capra e agnello. Anche di manzo nelle dimensioni importanti come la “fiorentina”. Sconsiglio le salsicce, sia di maiale, sia di carne mista, con manzo. Nel pesce occorre limitare i crostacei (gamberoni e aragoste) perché possono incrementare i valori del cosiddetto «colesterolo cattivo” nel sangue.

I fritti
«Tutto ciò che viene cucinato in olio bollente, sia pesce, sia carne, ma anche verdure e frittate. Soprattutto le classiche patatine si trasforma in autentico rischio per le arterie. Specialmente in estate».

I formaggi
«Vanno sicuramente evitati quelli stagionati e “duri”, mi riferisco e certe forme di pecorino, tipiche di alcune regioni centrali e meridionali, Sicilia e Sardegna: questi formaggi contengono forti concentrazioni di sale che è il nemico più temibile nella stagione calda».

Le salse
«Sono assolutamente da evitare maionese, senape, ketchup, sughi e intingoli elaborati per la preparazione di carni e alcuni tipi di pasta, come le lasagne, i canneloni e i tortelloni ripieni di carne mista, maiale e manzo. Il rischio è quello di formare veri e propri “tappi” per le arterie».

I dolci
«Mentre, per la colazione del mattino, le marmellate, soprattutto di frutta, sono indicate anche d’estate, vanno evitati tutti i dolci con creme e cioccolato, dalle torte ai bomboloni, krapfen, e panna in tutte le sue elaborazioni. I cibi con forte contenuto di zuccheri, aumentano la produzione di insulina e, di conseguenza, incidono sulla caduta altrettanto veloce dei valori glicemici. In spiaggia, la conseguenza è di una repentina caduta della pressione arteriosa».

Frutta esotica
«La frutta è alimento importante ma con la globalizzazione dei mercati molti sono portati a pensare che anche i prodotti in arrivo da paesi lontani hanno più o meno le stesse caratteristiche dei nostri. Non è così: mango, avocado, i mandarini cinesi, contengono una serie di zuccheri e di sali minerali che, soprattutto d’estate, possono creare anche seri disturbi digestivi come enteriti e coliti, meglio la frutta nostrana di stagione».

«ultima raccomandazione: è bene ricordare che esistono due tipi di allergie alimentari, quelle immediate e quelle ritardate. Le più pericolose e silenti: dipendono in pratica dallo stimolo ripetuto degli alimenti sui linfociti intestinali. Stratificano, in sostanza, quella serie di depositi che, alla lunga, possono diventare forieri di guai. Ecco perché è sbagliato dire: “Quel cibo non mi ha fatto male anche se sconsigliato, quindi continuo a mangiarlo. I conti, alla fine, rischiano di non tornare».

Fonte: Gente – Ago. 08

di Renzo Magosso



September 1, 2005 Newsletter

Il ritorno dalle vacanze estive, coincide con l’inizio delle attività lavorative per gli adulti e, per i più piccoli, con l’inizio della scuola e delle attività scolastiche.
Spesso risulta difficile abbandonare dei ritmi acquisiti durante il periodo di pausa estiva o le abitudini quotidiane mantenute per un lungo periodo, fin tanto da dimenticare i ritmi delle nostre giornate lavorative.

Prima di tutto per riprendere al meglio le nostre attività, bisogna prestare attenzione allo start del mattino, rappresentato dalla colazione; al risveglio fa molto bene bere un bicchiere d’acqua, al fine di allontanare i metabolici (scorie) prodotti dal nostro fisico durante la notte.
Il pasto della colazione dovrebbe essere a base di un frutto di stagione a scelta e uno yogurt; marmellate e cereali o fette biscottate a scelta, una spremuta o un succo. Questi alimenti rappresentano una fonte di vitamine e di minerali necessari al nostro organismo, il quale estrae da esse l’energia necessaria. Si rende talvolta necessario consumare a metà mattina e  pomeriggio uno spuntino che può essere rappresentato da pane e cioccolato, un frutto o uno yogurt.

Con l’inizio dell’autunno, si presentano i problemi legati alla stagione ed ecco che fanno capolino i virus influenzali, batteri capaci di colonizzare le alte vie respiratorie creando problemi di tipo bronchitico o influenzale se non nei casi più seri anche sinusiti frontali o mascellari.
Alcuni prodotti naturali e rimedi farmacologici, capaci di aumentare in modo aspecifico, cioè in maniera generale, le difese anticorpali contro virus e batteri, usati già da molto tempo e che sono entrate nelle abitudini quotidiane come la pappa reale o i propoli sono indubbiamente efficaci. Attenti però alle possibili reazioni allergiche per chi è sensibile o è allergico al polline.

L’Eleuterococco in gocce è un ottimo ricostituente e stimolante immunitario, assunto in ragione di 30 gocce mattina e sera per lunghi periodi con pause di 15 giorni; l’Alfa-Alfa o erba medica in soluzione alcolica o come sciroppo si presta bene come ricostituente nei periodi di convalescenza dopo una brutta influenza.
Ad esempio: 30 gocce mattina e sera o un cucchiaio di sciroppo al giorno anche per lunghi periodi, sempre con la pausa di 15 giorni.
Complessi vitaminici del gruppo B vanno usati con cautela e per brevi periodi in quanto possono creare accumulo o dare fenomeni di intolleranza con sintomi gastrointestinali anche importanti. Si possono assumere degli estratti vitaminici naturali in forma fluida al mattino dopo colazione a dosaggi fisiologici cioè non a dosi elevate ma come la natura ce le mette a disposizione.
In questa formulazione (polvere e liquido), bevuti per periodi di 20 giorni al mese e integrando sempre con un’alimentazione completa tipica mediterranea, vengono assorbiti in maniera completa dall’organismo.

Alcuni farmaci omeopatici derivati dal lisati batterici o virali possono essere utilizzati sotto forma di gocce.
Un prodotto utilizzato è l’INFLU, un preparato estratto da frammenti di virus e batteri che creano infezioni delle alte vie aeree, su base di sciroppo di glucosio adatto anche per persone intolleranti allo zucchero o diabetiche; per i bambini da 1 a 4 anni 3 gocce da mettere sulla lingua al lunedì e al giovedì al mattino al risveglio, dai 5 e 10 anni 6 gocce; dai 11 anni in su 8 gocce. Il periodo di assunzione va da metà settembre circa fino alla fine di Aprile.

 


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